[di Antonio Papisca, DIRETTORE DEL CENTRO DIRITTI UMANI DELL'UNIVERSITA’ Di PADOVA • 10.12.01]  TRANNE CHE IN CASO DI AGGRESSIONE, POSSIAMO USARE LE ARMI SOLO IN OPERAZIONI DELLA NATO, DELL’OSCE E DELLE NAZIONI UNITE. IN UN MONDO SEMPRE PIù INTERDIPENDENTE OCCORRE RILANCIARE CON DECISIONE LE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI.

PAPISCA: CONTRO IL TERRORISMO PIU’ FORZA ALL’ONU

É  inquietante la disinvoltura con cui, anche in ambienti istituzionali, si disattende il Diritto internazionale adducendo il motivo della inevitabilità della guerra. I principi fondamentali del nuovo Diritto internazionale sono il rispetto della eguale dignità delle persone, il rifiuto della guerra, il divieto dell’uso della forza per risolvere le controversie internazionali, l’obbligo di risolverle per via pacifica. La Carta delle Nazioni Unite stabilisce l’obbligo per gli Stati di destinare, una volta per tutte, parte delle loro forze armate a una forza militare permanente sotto autorità delle Nazioni Unite, addestrata a svolgere funzioni che non possono che essere di polizia. La Costituzione della Repubblica italiana, è bene ricordarlo, fu redatta quando la Carta delle Nazioni Unite era già in vigore ed era in elaborazione il testo della Dichiarazione universale dei diritti umani. L’Italia era un Paese “sconfitto” e la sua Costituzione doveva anche servire a farla ammettere all’Onu, cosa che avvenne nel 1955. Le affermazioni più significative della Costituzione sono l’articolo 2 (riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili della persona), l’articolo 10 (conformità dell’ordinamento italiano «alle norme dei diritto intemazionale generalmente riconosciute»), l’articolo 11 che cosi recita: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Il senso di quest’ultimo articolo si spiega in relazione al modello di ordine mondiale prefigurato dalla Carta dell’Onu, in particolare per quanto attiene alla struttura e alle modalità di gestione del sistema di sicurezza collettiva. In altri termini, l’uso del militare da parte dell’Italia, al di fuori della “eccezione” del diritto di autotutela da esercitarsì “a caldo” per respingere un atto di aggressione portato al proprio territorio da un altro Stato, può avvenire legittimamente soltanto nel contesto di operazioni intraprese dall’Onu, nonché dalla Nato, dalla Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) e dall’Unione europea (in prospettiva) in stretto coordinamento con le Nazioni Unite. Il ritornello”siccome l’Onu è íncapace, facciamo per conto nostro” è falso e pretestuoso. Che fare? In un mondo sempre più interdipendente e vulnerabile, la via legale e ragionevole della governabilità passa attraverso il rilancio delle istituzioni internazionali multilaterali, sedi trasparenti del confronto politico e della cooperazione. Il terrorismo va affrontato ‑ represso, prevenuto ‑ facendo funzionare gli attrezzi della sicurezza collettiva. Devitalizzare le istituzioni multilaterali a vantaggio di “vertici” per pochi e di “coalizioni belliche” sta facendo correre il serio rischio di tornare alla barbarie del farsi giustizia da sé. Per non rimanere intrappolati nella logica perversa della “inevitabilità”, occorre che gli Stati che più contano, e tra questi l’Italia, facciano confluire la loro forza dentro l’Onu e ne asseriscano, legittimamente, la democratizzazione e l’autorità. Tra gli obiettivi prioritari di questa strategia c’è la rapida messa in funzione della Corte penale internazionale, la costituzione di un corpo di polizia giudiziaria (militare e civile) delle Nazioni Unite, la creazione di un’Assemblea parlamentare delle medesime, la riforma del Consiglio di sicurezza, il potenziamento dell’Unione europea e il sostegno delle attività delle organizzazioni non governative indipendenti e solidariste.


(fonte: Famiglia Cristina)