[di Gaëlle Courtens • 15.01.04] L'Agenzia NEV ha intervistato il professor Paolo Ricca, teologo valdese, in occasione della prossima Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani  (SPUC) che si svolgerà in tutto il mondo dal 18 al 25 gennaio con il tema: "Io vi lascio la mia pace" (Giovanni 14,23-31)...

RELIGIONI IN DIALOGO. PAOLO RICCA: «LA PACE È IL MASSIMO REGALO CHE CI VIENE DA CRISTO, MA È IL PIÙ NEGLETTO»

L’Agenzia NEV ha intervistato il professor Paolo Ricca, teologo valdese, in occasione della prossima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (SPUC) che si svolgerà in tutto il mondo dal 18 al 25 gennaio con il tema: “Io vi lascio la mia pace” (Giovanni 14,23-31).
 
PROF. RICCA, SECONDO LEI, LA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI HA ANCORA UN SENSO? PERCHÉ PREGARE OGGI PER UN’UNITÀ CHE SEMBRA ESSERE SOLO DI FACCIATA?

Questo sarebbe un buon motivo per pregare, proprio perché è solo di facciata: non è ancora entrata nel vivo della sua gestazione e creazione, tanto più è importante pregare affinché non sia solo di facciata e affinché tocchi i punti nevralgici del dissenso interno al cristianesimo. Quindi, credo che la SPUC sia benvenuta, in fondo è ormai poco più che il ricordo di una speranza. Perché effettivamente le delusioni sono continue, e i segni positivi sul cammino della unità dei cristiani sono rari, anche se non sono affatto assenti. Per quanto riguarda l’ecumenismo devo dire che le grandi istituzioni ecclesiastiche sono praticamente ferme, a parte l’attività di dialogo che sì, va avanti, girando tuttavia su sé stessa. Non fa realmente avanzare le chiese. Di fatto le istituzioni sono come paralizzate, ipnotizzate dalla paura di cambiare, di creare qualche cosa di nuovo. Sotto questo profilo una fotografia realista della situazione non può che registrare la paralisi. D’altra parte, dovunque si parli in maniera coerente della visione ecumenica della chiesa e del mondo – all’interno delle chiese, a livello di base e di credenti – seguendo i principi ispiratori del movimento ecumenico che furono stabiliti più di un secolo fa, lì i cuori si aprono, lì c’è cambiamento, lì c’è un segno grande di speranza. La domanda dunque è: questi cambiamenti delle coscienze riusciranno prima o poi a cambiare le istituzioni? Questa è una domanda alla quale non sono in grado di rispondere, ma credo che sia una domanda pertinente.
 
A LIVELLO ISTITUZIONALE MANCA FORSE IL CORAGGIO PER CAMBIARE?

Credo che qui bisogna introdurre la dimensione del potere. Non si parla mai di questo nodo, ma i rapporti tra le chiese sono anche rapporti di potere. Uno può essere stupito di questa osservazione, ma poi de facto tutti i rapporti umani sono anche di potere. Lo è il rapporto umano più elementare, quello tra l’uomo e la donna. Così è tra le chiese: ma questo problema è difficile da sciogliere, perché è innestato su convinzioni teologiche. Prendiamo il problema vecchio di 1800 anni del “primato di Roma”. La rivendicazione da parte di Roma di essere sopra tutte le altre chiese è certamente una delle cause della divisione e del suo persistere; il primato è una questione di potere, naturalmente, ma non solo. E’ anche una convinzione di fede: è diventato un dogma nell’ambito del cattolicesimo. Il problema del potere si complica nel momento in cui si innesta su convinzioni di fede. E’ un problema enorme. Penso che per far avanzare la coscienza ecumenica collettiva, e farla avanzare insieme, bisognerebbe tematizzare il problema del potere, nelle chiese, tra di esse e all’interno del grande movimento ecumenico.
 
QUALE SIGNIFICATO SI PUÒ DARE, SECONDO LEI, AL TEMA SCELTO QUEST’ANNO, LADDOVE IL VERSETTO BIBLICO NON PARLA DI “PACE” TOUT-COURT, BENSÌ DI PACE COME REGALO: GESÙ CE LA LASCIA COME UNA SORTA DI EREDITÀ, O COME RISORSA?

Intanto bisogna capire bene qual è questa pace. Non è una pace qualunque, simile a quella che può nascere come accordo tra gruppi umani, tra nazioni, tra continenti, tra culture ecc. Non è soltanto la capacità di convivere, seppure sia questa già una grandissima sapienza che ancora non abbiamo imparato. Gesù parla qui di un’altra pace. E’ una pace triplice: pace con Dio, pace con sé stessi e pace con il prossimo. E al centro di questo trittico, di questo piccolo crocevia fondamentale, costitutivo della nostra esistenza, c’è lui, c’è Gesù: ecco perché dice la “mia” pace. E quindi, nella prospettiva evangelica, è frequentando Gesù che si scopre il modo di comprendere e vivere questo trittico di pace. Intercorre poi tra questi tre rapporti il più grande mistero che ci sia sulla terra: il perdono. Di fatti, quando Gesù ha cominciato a perdonare sono successi i pasticci, grandi scandali, la gente diceva: “Ma chi è questo? Come si permette di perdonare?” , cioè di prendere il posto di Dio; perché soltanto Dio può perdonare, ma non io. E questa è stata in fondo una delle grandi realizzazioni di Gesù, cioè far capire che il perdono può accadere sulla terra e non soltanto in cielo. Questa è una cosa inaudita, inedita, è veramente l’Evangelo, cioè la buona notizia. Questa terra può essere la casa del perdono. Questa mia vita, con tutte le sue ambiguità e contraddizioni, può essere illuminata da questa realtà misteriosa: siamo perdonati, cioè il male che abbiamo fatto, consapevolmente o inconsapevolmente, è cancellato.
 
GUARDANDO L’ANNO APPENA TRASCORSO PARE SIGNIFICATIVA LA SCELTA PROPRIO DI QUESTO TEMA.

Sì, perché il mondo muore, l’umanità muore. Siamo in una fase crepuscolare delle coscienze. L’impressione è quella di un odio che uccide e si uccide. Il kamikaze è proprio il simbolo del nostro tempo, potremmo dire una parabola. Anche Gesù si serviva di parabole: il kamikaze che si uccide per uccidere è proprio una parabola vivente e drammaticissima di quello che sta facendo la nostra civiltà, che è una civiltà omicida e suicida. Suicida nel senso che lo sviluppo porta alla morte della natura, degli animali, dell’ uomo. Ma cosa muore? Muore l’anima prima ancora del corpo. E’ la morte dell’ anima che ci deve preoccupare. Naturalmente anche i corpi muoiono, ed è una bestemmia anche quella, ma è in fondo una bestemmia riflessa rispetto a quella ancora maggiore che è la morte dell’anima. Una volta non era così: Caino uccide Abele per avere più spazio. Invece adesso neanche più quello. E qui si rivela però la natura profonda dell’ omicidio, che è un suicidio: tu uccidi l’altro soltanto perché sei già morto. Ti sei già ucciso ti sei già negato come uomo nel momento in cui ammazzi l’altro. Quello del kamikaze è il grido disperato, è la stupidità malvagia, intrecciata con l’altro grande mistero che la Bibbia chiama peccato.
 
QUESTO TEMA È STATO PROPOSTO DALLE CHIESE CRISTIANE – ORTODOSSE, CATTOLICHE E RIFORMATE – DELLA CITTÀ D’ALEPPO IN SIRIA. CHE SIA STATA QUESTA COMUNITÀ DI CHIESE A SCEGLIERE QUESTO TEMA NON È SICURAMENTE UN CASO.

Sì perché queste chiese vivono sulla propria pelle questa immensa minaccia mortale, materiale e spirituale, che è il non ricevere la pace che, come dicevamo all’inizio è appunto questo regalo, un regalo che non viene ricevuto. Questo, che è il massimo regalo che ci viene da Cristo e che ci viene da Dio, è il più negletto, il più trascurato e dimenticato.
 
FORSE PERCHÉ ABBIAMO DISIMPARATO A RICEVERE, PERCHÉ SOLO RICEVENDO SI RIESCE A DARE.

Abbiamo anche disimparato a ricevere. Imparare a ricevere è l’inizio di quella coscienza, di quella individualità reintegrata in sé, che dobbiamo diventare. Purtroppo la nostra società, come sappiamo benissimo, è tutta impostata sulla prestazione. Gesù ha indicato il bambino come modello, addirittura come parabola del regno dei cieli. Ora, cos’è il bambino se non uno che riceve? E’ la sua caratteristica fondamentale. Riceve tutto: la vita, l’insegnamento, il pane quotidiano; non può far nulla per sé, è totalmente dipendente. Non vogliamo perdere la caratteristica costitutiva del bambino che è la capacità di ricevere, e anche, forse, di dire grazie.