[di Michele Perazzani, per "Il Missionario", rivista dei missionari stimmatini 19.03.04] Cosa c'è all'origine del cambio di regime di Haiti? Il governo USA parla di «culmine di un processo democratico». Per il presidente haitiano Aristide, che afferma di essere stato sequestrato dalle forze speciali Usa, non è nient'altro che un «colpo di stato» in piena regola...

RIVOLUZIONE AD HAITI: ULTIMO FRUTTO DELL’ORDINE MONDIALE?

Cosa c’è all’origine del cambio di regime di Haiti? Il governo USA parla di «culmine di un processo democratico». Per il presidente haitiano Aristide, che afferma di essere stato sequestrato dalle forze speciali Usa, non è nient’altro che un «colpo di stato» in piena regola.

Per alcuni osservatori sembra essersi ripetuto lo stesso copione della “rivoluzione delle rose” nella Georgia di Shevardnadze, della deposizione di Taylor in Liberia la scorsa estate, del tentativo di colpo di stato in Costa d’Avorio; lo stesso scenario che l’anno scorso non è però riuscito nel Venezuela del non allineato Chavez (solo per citare alcuni esempi).

In tutti questi casi è funzionato più o meno così: un paese povero è governato da  un presidente democraticamente eletto, ma forse incapace e corrotto. Il malcontento è diffuso fra la popolazione, che è però rassegnatamente abituata a simili governanti. Improvvisamente scoppia un sommovimento popolare, che “stranamente” non trova una forte opposizione dell’esercito regolare.

Altrettanto “stranamente” vi è un contingente militare di un paese militarmente forte (USA, Francia o Russia) pronto ad intervenire. Ovviamente viene chiesto il via libera dell’ONU, che per evitare la guerra civile, affida l’incarico di tutelare i civili al contingente dello stato “forte”. Se l’ex-presidente è amato da buona parte della popolazione (vedi Gbagbo in Costa d’Avorio o Chavez in Venezuela), viene trovata una soluzione di compromesso (es.: governo di transizione con sostituzione di alcuni ministri chiave); se l’ex presidente non è affatto amato (vedi Aristide ad Haiti, Shevardnadze in Georgia, Taylor in Liberia), questi viene allontanato o costretto alle dimissioni.

Il paese in questione, dunque,  deve ridefinire la propria linea politica sotto la “tutela” militare di una forte potenza straniera. Questa potenza straniera era stata in passato un paese colonizzatore, oppure aveva forti interessi in ballo, e il presidente appena deposto stava instaurando rapporti politico-economici con altri stati forti.

Per alcuni sembra il ripetersi di un modello alternativo alle invasioni militari su larga scala, più in voga in Medioriente; un modello che consiste nel sostituire governanti scomodi in paesi strategicamente importanti con una parvenza democratica, mostrando che la rivolta parte dall’interno.

Per altri, Stati Uniti in testa, la dimostrazione che solo gli stati democratici militarmente forti sono in grado di garantire l’ordine mondiale e quello interno di stati incapaci di realizzare da soli una democrazia compiuta.
Ma quest’ultima teoria sembra sconfessata da alcuni politici e giornali americani. In particolare sulla questione haitiana. “Democrazia in frantumi ad Haiti” è il titolo dell’editoriale del New York Times. “Dopo la fuga del capo di stato haitiano democraticamente eletto Aristide, il presidente Bush ha dato il via libera allo sbarco dei primi marine. La decisione è giusta, ma sarebbe stato meglio averla presa giorni fa quando c’era ancora una speranza per ripristinare la pace in una cornice di democrazia costituzionale”.

Il Wall Street Journal riprende il parere critico del deputato democratico americano C. Rangel: “Chi è democraticamente eletto presidente di un paese si ritenga avvertito e non conti in futuro sul sostegno degli Stati Uniti”. Per l’Independent “la confusione in cui è caduta l’isola ha portato alla situazione poco piacevole in cui la Casa Bianca di fatto dà il suo appoggio al sesto colpo di stato avvenuto in Centroamerica in meno di cinque anni”.

Sul Washington Post, James Mann spiega  in modo dettagliato che la teoria della guerra preventiva nasce ben prima del terrorismo di Al Qaeda. E’ una risposta elaborata dagli strateghi repubblicani americani subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica. L’idea era quella di riempire il vuoto lasciato dalla fine della guerra fredda dando forma ad un mondo “dominato ora e in futuro dal potere militare degli Stati Uniti”.

Il candidato democratico alla presidenza USA, Kerry, ha criticato aspramente Bush per la sua reazione alla crisi di Haiti. «Le truppe dovevano essere inviate immediatamente, a difesa del presidente eletto Aristide», ha detto il candidato democratico. Kerry ha sottolineato che il comportamento americano ha inviato un messaggio sbagliato ai regimi democratici nel mondo. «Aristide non era un personaggio facile, siamo d’accordo, ma era stato eletto in modo democratico _ ha detto Kerry _ Non dovevamo lasciarlo cadere in quel modo». «Ci siamo mossi quando era ora di farlo e quando potevamo farlo» è stata la risposta di Powell (segretario di Stato USA).

Secondo Liberazione, quotidiano italiano, non è un mistero che le amministrazioni repubblicane coltivassero da tempo il progetto di spodestare Aristide. Un pregiato avamposto come quello haitiano, a qualche miglia di mare dall’odiata Cuba non è qualcosa a cui si rinuncia a cuor leggero.

Il 19 novembre 2002 il Brooking Institution (vicino alla Cia, incaricato di “consigliare” gli orientamenti politici del governo) crea un apposito gruppo di studi per «la democrazia ad Haiti»: Haiti democratic project. A guidarlo vi sono personaggi come il responsabile del Centro politica internazionale Morrel, il rappresentante statunitense presso l'”Organizzazione degli Stati americani” Noriega e alcuni ex ambasciatori statunitensi nell’isola. Il 18 dicembre l'”Istituto repubblicano internazionale” (Iri) organizza il trasferimento di una cinquantina di cospiratori verso la confinante Repubblica Dominicana.

E’ in quel frangente che viene avviata la formazione di Guy Philippe, l’ex commissario di polizia e attualmente acclamato leader dei ribelli haitiani.
Secondo Panorama, invece, l’ipotesi di complotto americano sembra più un romanzo che la realtà. Molto più verosimilmente sarebbero stati alcuni ricchi haitiani, in esilio negli USA, ad aver finanziato e sostenuto la rivolta nell’isola. Fra loro ci sono personaggi squalificati, legati addirittura al regime della famiglia Duvalier, che tanti danni ha provocato fra il 1957 e il 1986.

Le ipotesi da intrigo internazionale hanno spinto Casa Bianca e Pentagono a bollarle come ‘sciocchezze’. Fortunatamente sembra che fra tre mesi l’ONU sia in grado di sostituire l’attuale contingente franco-statunitense presente sull’isola; ponendo forse fine alle polemiche. Il Segretario ONU, Annan ha commentato laconicamente «Meglio tardi che mai».

Riassumendo: quello che sta accadendo in alcuni paesi poveri sembra fortemente influenzato dalla politica estera di alcuni “stati forti”. Questi ultimi ritengono che il fine (l’ordine mondiale), giustifichi i mezzi (l’ingerenza politica e militare nelle questioni interne di stati esteri).

quanto pare la stessa opinione pubblica americana sembra non condividere più questa linea. Sembra farsi strada un’altra idea di ordine mondiale, dove la garanzia della pace e della democrazia non viene più data da singoli stati forti, ma da un’organizzazione sovranazionale come l’ONU. Purtroppo l’ONU, negli ultimi anni, è stata boicottata proprio dagli USA, che non versa il corrispettivo previsto per il suo funzionamento, che rifiuta di aderire al Tribunale Penale Internazionale, e che interviene militarmente anche in contrasto con le decisioni ONU (come in Iraq).

Due Papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, sono stati tra i principali sostenitori di un ordine mondiale nuovo basato su un rafforzamento del ruolo dell’ONU. Rimarranno inascoltati?