SIRIA. QUNAYTRA E LA FOLLIA DI UN CONFLITTO

Quando ero più piccolo, ho visto la casa in cui ero nato e cresciuto svuotata di tutto quello che conteneva. Non solo i mobili, ma anche porte, infissi, sanitari e qualunque altra cosa si poteva staccare, portare via e riciclare. Tutto era stato tolto. Della mia casa era rimasto uno scheletro vuoto, un guscio senza vita, con muri e pareti completamente spogli e rovinati, privata di qualunque elemento che potesse dare un’aria di umano calore e accoglienza. Assomigliava a uno dei tanti siti in costruzione che avevo avuto modo di vedere in giro per il paese, oppure a una di quelle vecchie casupole abbandonate in cui ogni tanto si incappa vagando per la campagna. Era un fantasma, un relitto che aspettava nella sua immobile tranquillità un destino preannunciato: essere spazzata via.

QunaytraCredo, con il senno di poi, di essere uno dei pochi ragazzi occidentali che hanno fatto l’esperienza di vedere la propria casa natale attaccata dalla pala di un escavatore che con accanita tenacia ha distrutto tutto: il tetto, il balcone, le stanze, i pavimenti, i muri. Tutto, fino alle fondamenta, per lasciare soltanto un cumulo incoerente di mattoni in cattivo stato a ricordo dei piccoli spazi in cui io e mio fratello ci picchiavamo da bambini, in cui passavo le estati a leggere libri di Stephen King all’ombra di un’acacia, in cui suonavo con i mitici “Pensateci Voi” musiche che non piacevano a nessuno, ma che ci riempivano di sogni e gratificazioni mai più sperimentate nella vita adulta, in cui si erano avvicendate tragedie famigliari più o meno gravi. Tutto distrutto.

Riconosco che non è stato tra i momenti che hanno lasciato le tracce più profonde nella mia vita. Non penso quasi mai a questo evento, e neppure mi capita di sognare di vivere ancora in quella casa. Forse perché ero già adolescente quando è successo, e avevo ben altri drammi interiori da affrontare. Forse perché ho vissuto quei momenti attraverso l’obiettivo della telecamera, che filtrava un po’ la realtà, attutendo sia il dispiacere che l’eccitazione. Forse perché in fin dei conti non era altro che un destino che si compiva, una morte annunciata. Ricordo mia mamma piangere un po’, mio papà cercare di razionalizzare. Dopo, le macerie sono diventate una semplice coreografia per filmati divertenti. Forse l’effetto maggiore che questa vicenda ha avuto sulla mia sensibilità riguarda il periodo che precede la distruzione in sé, dal momento in cui i lavori per il raddoppiamento della linea ferroviaria ci sono stati annunciati. Ci sono stati alcuni anni che la famiglia ha vissuto con un ulteriore senso di fato imminente, una spada di Damocle sulla testa che si stratificava al pesante senso di cupezza e pessimismo già presente in casa fin da che ho memoria. In questo senso mi ha influenzato, ma ciò non toglie l’effetto spiazzante e doloroso di vedersi sradicare da sotto i piedi il simbolo stesso delle proprie radici e memorie: la casa.

E inevitabilmente il mio pensiero è tornato a quell’evento questa mattina, quando ho attraversato l’ultimo checkpoint dell’ONU per entrare nella città siriana di Qunaytra, che gli israeliani – dopo averla occupata – hanno interamente e sistematicamente raso al suolo prima di ritirarsi e lasciarla in mano ai legittimi proprietari. Un crimine di guerra. Gratuito.

QunaytraC’è voluto un nulla osta speciale per visitare la città, che ho ottenuto dal Ministero degli Interni a Damasco. I siriani hanno deciso di non ricostruire in quel posto, ma lasciare le rovine a testimonianza di uno scempio ingiustificato che non può non lasciare esterrefatto anche un sostenitore di Israele. Dopo averne sentito parlare per tanti anni, oggi per la prima volta ho toccato con mano le conseguenze reali della follia di questo conflitto, e della guerra in generale. E questo era soltanto un fossile di un episodio di circa 30 fa!

Avendo perduto la macchina fotografica, non ho potuto gratificare il mio bisogno di riprodurre graficamente quello che ho visto laggiù, ma l’analogia più prossima con cui posso descriverlo è proprio quella della distruzione fredda e crudele di case saccheggiate come lo era stata la mia. Con la differenza che a noi il danno era stato rimborsato congruamente dallo stato, qui invece la gente è stata ammazzata o fatta sgombrare brutalmente. Neppure la moschea e la chiesa ortodossa sono state risparmiate, e hanno seguito il destino della scuola, della banca, del mercato e dell’ospedale, ridotti a ruderi crivellati di proiettili di fucile, coi tetti collassati, buchi enormi nei muri, cemento, mattoni e polvere sparpagliati ovunque con un aleggiante puzzo di sterco animale congelato nell’aria. Gli occasionali poliziotti che girano per controllare la frontiera con i territori occupati, mi salutano con affettata tristezza. Per loro, mostrare Qunaytra agli stranieri è una specie di propaganda, come un invito a far parlare i turisti di quello che è successo lì. Perché il mondo non solo sappia, ma si renda anche conto. Mi sono sentito un po’ in dovere di propagandare per loro e forse è per questo che mi sono messo a scrivere. La loro dignità è stata violata da un invasore cento volte più potente, una potenza coloniale impunita e arrogante contro cui non possono far altro che nutrire odio inespresso, o espresso soltanto con vuote maledizioni e retorica accorata, ma per nulla graffiante.

Israele l’ho visto per la prima volta così: una montagna (il Golan) isolata dietro una bassa cortina di filo spinato con sopra antenne lampeggianti e torrette da cui ti senti spiato mentre passeggi tra le sbriciolate testimonianze di quello che ti può succedere se resisti all’idea che gente sbucata dal nulla possa un bel dì decidere che casa tua è casa loro.

Damasco, 12 aprile 2006.

Paolo Ferrarini


Paolo Ferrarini, nato a Nogara (Vr) nel 1977, dopo aver conseguito la maturità scientifica si è laureato nel 2002 all’Università di Venezia in Lingue e letterature orientali (arabo) col massimo dei voti e la lode. Nel 2001 è stato rappresentante degli studenti italiani all’Europarlamento di Strasburgo in occasione della discussione e votazione della Carta dello studente europeo. Ha visitato numerosi paesi europei ed extraeuropei tra i quali l’Egitto, la Giordania, le Repubbliche Baltiche, i Paesi Scandinavi, i Paesi dell’Est Europa, gli Stati Uniti d’America, la Siria, il Libano, lo Yemen ed il Kuwait. Proprio in Kuwait, nel 2002, ha svolto un tirocinio di tre mesi presso l’Ambasciata d’Italia, come ricercatore per l’ufficio culturale e commerciale. Attualmente risiede tra Beirut e Londra, dove – nel 2005 – si è specializzato nel Master in Linguistica applicata e traduzione arabo-inglese.

(Sulla ‘Guerra dei sei giorni’ tra Siria ed Israele vi proponiamo anche il punto di vista israeliano e di altre fonti storiche, n.d.R.)