[di Fabio Pipinato • 08.09.2001] Ormai e' storia: il Sud Africa sta tracciando la via maestra per ridare speranza al continente africano e non solo. Non e' l'ennesima speranza ma e' realta' sorretta dai fatti. Il percorso viene da lontano: da Gandhi, per esempio, che ha iniziato qui le sue lotte di liberazione...

SUDAFRICA – DA DURBAN UNA SPERANZA PER L’AFRICA

Ormai e’ storia: il Sud Africa sta tracciando la via maestra per ridare speranza al continente africano e non solo. Non e’ l’ennesima speranza ma e’ realta’ sorretta dai fatti. Il percorso viene da lontano: da Gandhi, per esempio, che ha iniziato qui le sue lotte di liberazione. E queste lotte sembrano non aver avuto pausa: la sconfitta politica dell’apartheid, quella legale delle multinazionali farmaceutiche ed ora l’abolizione totale di ogni forma di razzismo con la richiesta di risarcimento degli orrori compiuti con  la schiavitu’ ed il colonialismo. Quest’ultima richiesta viene dalla Conferenza sul razzismo, promossa dalle Nazioni Unite, che sta avendo luogo, in questi primi giorni di settembre, a Durban in Sud Africa.  In realta’ la cosa ha avuto una modesta eco solo ora, in occasione di un Meeting internazionale, ma e’ stata accuratamente preparata dal 22 al 24 gennaio a Dakar – Senegal in occasione di una Conferenza promossa dall’Organizzazione per l’Unita’ Africana (OUA) sempre contro il razzismo. Il documento finale, che ha trovato l’unanimita’ dei capi di stato africani, afferma che il mercato degli schiavi e’ stato una tragedia senza precedenti nella storia dell’umanita’ e che si e’ abbattuta particolarmente contro l’Africa, e prosegue invitando la comunita’ internazionale a riconoscere pienamente le ingiustizie praticate dallo schiavismo, dal colonialismo e dall’apartheid, tutte forme istituzionali di violazione dei diritti fondamentali. Tra i moltissimi misfatti compiuti dal colonialismo viene ricordata, tra le altre, l’occupazione belga del Congo. Tra il 1880 ed il 1920 fu compiuto un vero e proprio olocausto nel Congo con milioni di morti. Il documento di Dakar termina con la richiesta di compensazione che secondo il diritto internazionale trova legittimita’ in un precedente caso di 200.000 ebrei schiavizzati dal regime nazista; recentemente, i diretti o i discendenti, hanno avuto un qualche risarcimento. Prima la schiavitu’ e poi il colonialismo hanno, senza ombra di dubbio, devastato la dignita’ e l’economia continentale, ma solo gli ingenui possono pensare che le colpe stanno tutte a nord del mar Mediterraneo. Ancor oggi i dittatori presenti nella Regione dei Grandi Laghi, solo per rimanere nell’esempio, compiono brutalita’ non inferiori agli ex-coloni. Uno di questi, Paul Kagame, autoproclamatosi Presidente del Rwanda, capo delle forze armate e quant’altro, ha giustamente alzato la voce a Durban contro le nazioni europee ree di aver diviso i popoli africani. Il Belgio in particolare, afferma Kagame, ha responsabilita’ sino al genocidio rwandese del 1994. E’ tutto vero ma non dimentichiamo che il suo Rwanda sta partecipando, con gli alleati anglofoni, Burundi ed Uganda,  alla conquista della Repubblica Democratica del Congo, causando una tragedia non inferiore al genocidio rwandese o ai massacri perpetrati dai belgi. La sistematica violazione dei diritti umani nelle prigioni rwandesi non ha eguali al mondo. Non solo. Kagame accusa l’Europa ma si guarda bene dall’attaccare gli Stati Uniti ove e’ stato preparato in una Scuola Militare gia’ soprannominata “fucina di dittatori”. E’ normale che la richiesta di risarcimento non abbia trovato ne’ astenuti ne’ contrari in sede OUA ma qui si ripropongono gli stessi problemi, in parte risolti dalla buona legge italiana, pur essendo ancora in attesa di applicazione, sulla cancellazione del debito estero. Quali Paesi devono essere risarciti, a quanto ammonta il risarcimento, quali garanzie di utilizzo del denaro; ed ancora: verra’ favorito uno sviluppo umano sostenibile, o un ennesimo commercio di armi e un arricchimento delle classi dirigenti di alcuni Paesi africani che perpetuano un neo-colonialismo? Il problema e’ drammatico in quanto il 39% di questi paesi e’ governato da sistemi manifestamente antidemocratici. Una risposta politica, questa volta, potrebbe arrivare indirettamente dal presidente della Commissione Europea Romano Prodi. In occasione della consegna del Premio Internazionale Viareggio Versilia affermo’ che “Sostenere con coraggio e con investimenti le classi dirigenti africane che mostrano sensibilita’ democratica e’ un atto di lungimiranza politica. Impedire il commercio delle armi pesanti e leggere con il Sud del Mondo e fermare le “guerre canaglie” e’ la via per scrivere un progetto di pace. Avviare progetti che rimettano in piedi l’economia di questi paesi come il programma “Everything but arms” (tutto eccetto le armi), che ha aperto in modo unilaterale i nostri mercati alle produzioni provenienti dai 49 Paesi piu’ poveri del mondo, e’ indicare la strada dello sviluppo e della pace”. Era impensabile, negli anni ’80, durante gli anni della malacooperazione italiana, sentire interventi cosi’ puntuali. Ma il pericolo non e’ cessato. Di tutt’altro avviso, infatti, e’ l’attuale Presidente della Camera Pierferdinando Casini che in una intervista rilasciata al sottoscritto, durante l’ultima edizione di “Civitas – Salone del nonprofit”, ha dichiarato di voler innanzitutto salvaguardare i posti di lavoro in patria e che non e’ all’ordine del giorno dell’attuale governo un ridimensionamento dell’export di armi leggere. Eccezion fatta per gli Stati nord-europei relativamente coinvolti nel periodo coloniale, dagli altri Stati burocratici, protezionisti, ex-colonialisti, armati e sovrani non c’e’ da aspettarsi una politica unilaterale, e senza l’aiuto di altre Organizzazioni sovranazionali sara’ impensabile ogni forma di compensazione, cancellazione del debito e di buona cooperazione allo sviluppo. Cosa fare allora? Attraverso l’ONU che e’ l’unico organismo deputato a tale politica e che non casualmente ha promosso la Conferenza di Durban, si puo’ proseguire la proposta del presidente della Commissione Europea aiutando subito i Paesi impoveriti che, secondo i diversi rapporti ONU (dall’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite al Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Umano) dimostrano un’attenzione democratica. Cancellare quindi il debito estero e fornire credito o compensazione vincolata a soddisfare i bisogni essenziali delle popolazioni. Per i Paesi in transizione si congelano semplicemente i fondi che potrebbero essere utilizzati, nel frattempo, dalle stesse Agenzie e Programmi ONU o regionali (OUA) di sviluppo umano e sostegno democratico. E’ impensabile aiutare oggi un paese come il Burundi che, attraverso una estenuante trattativa diplomatica condotta da Nelson Mandela, sta ipotizzando un percorso di pace. Se si fornisce a questo paese denaro contante (cosa diversa e’ se si cancella il suo debito estero) si rischia di farlo cadere nell’ennesima ecatombe. L’Italia, come i suoi partner europei, non deve ripetere gli errori del passato. L’affare Telecom Serbska, per esempio, ha fornito denaro contante al dittatore Milosevic ed ha permesso a costui di evitare una rivoluzione interna nell’ex-Jugoslavia pagando le pensioni e stornando capitale per l’invasione del Kossovo. Per la realizzazione di questi percorsi di “global justice”, per usare un termine di Enrico Peyretti, non c’e’ altra via che il potenziamento di organizzazioni sovranazionali democratiche che figurerebbero come “terza parte” nel processo di condono del debito estero e di riparazione dei danni provocati dallo schiavismo e dal colonialismo, terminando quell’opera incompiuta iniziata nel dopoguerra che ha visto in parte la decolonizzazione politica ma non quella economica.


Autore del suddetto articolo è Fabio Pipinato. Egli e’ stato fino a  poco tempo fa direttore dell’eccellente sito di “Unimondo”, ed e’ attualmente cooperante in Africa.