[GRILLOnews.it - 20.05.2009] Pubblichiamo di seguito l'articolo segnalato alla Campagna di Indignazione Nazionale dalla segreteria della senatrice Amati, pubblicato il 10 aprile 2009 sul quotidiano del PD, Europa. Dispiace non trovare tra queste righe il parere contrario della senatrice, e del suo gruppo politico, al folle programma di acquisizione dei cacciabombardieri F-35. Nell'ultimo capoverso, addirittura, si legge una sorta di preoccupazione per il bilancio della Difesa: del resto nel corso dell'ultima Finanziaria, «nessun onorevole o senatore ha proposto di ridurre le spese per gli armamenti. Anzi, in perfetto stile bipartisan, Pdl e Pd hanno fatto a gara nell’affermare gli insufficienti stanziamenti per le forze armate», ricorda il mensile Nigrizia.

TAGLI ALLA DIFESA MA CARTA BIANCA PER ACQUISTARE I CACCIA D’ATTACCO


Pubblichiamo di seguito l’articolo segnalato alla Campagna di Indignazione Nazionale dalla segreteria della senatrice Amati, pubblicato il 10 aprile 2009 sul quotidiano del PD, Europa. Dispiace non trovare tra queste righe il parere contrario della senatrice, e del suo gruppo politico, al folle programma di acquisizione dei cacciabombardieri F-35. Nell’ultimo capoverso, addirittura, si legge una sorta di preoccupazione per il bilancio della Difesa: del resto nel corso dell’ultima Finanziaria, «nessun onorevole o senatore ha proposto di ridurre le spese per gli armamenti. Anzi, in perfetto stile bipartisan, Pdl e Pd hanno fatto a gara nell’affermare gli insufficienti stanziamenti per le forze armate», ricorda il mensile Nigrizia.

TAGLI ALLA DIFESA MA CARTA BIANCA PER ACQUISTARE I CACCIA D’ATTACCO



10 APRILE 2009 – SEN. SILVANA AMATI (PD) – Come relatrice di minoranza in commissione Difesa del Senato, ho illustrato i motivi per i quali abbiamo deciso di non partecipare al voto sul programma pluriennale per l’acquisizione del sistema d’arma JSF. Cioè sull’acquisto di 131 cacciabombardieri di quinta generazione, caccia d’attacco in grado di portare anche ordigni atomici, progettati e prodotti da un consorzio internazionale guidato dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, che vede al terzo posto l’Italia come impegno finanziario.

In realtà, noi senatori del Pd, abbiamo scelto di non entrare nel merito. Quando infatti si affronta un argomento che svilupperà i suoi effetti nei prossimi 15 anni, con oneri così consistenti per la spesa pubblica, circa 12,9 miliardi di euro, sarebbe lecito aspettarsi dal governo indirizzi e riferimenti certi, mentre non sono indicate le fonti di finanziamento e lo stesso piano industriale ha diversi punti deboli.

Nella valutazione dei programmi di difesa confluiscono due aspetti che è utile tenere presenti ed esaminare ciascuno per la parte di competenza. Mi riferisco all’aspetto relativo alle esigenze della difesa nazionale e quindi alle valutazioni tecnico-operative sulla validità e necessità di un determinato sistema d’arma, e a quelle riguardanti le valutazioni industriali. Tutti i paesi industrializzati danno grande attenzione agli offset, cioè a quel sistema di compensazione con il quale si definisce un accordo commerciale tra il venditore e il compratore impegnando a obbligazioni di natura industriale e commerciale per equilibrare economicamente o tecnologicamente la commessa ricevuta. Un offset al 100%, per qualità e quantità è un obiettivo quindi da proporsi anche per l’Italia, da difendere e raggiungere. La modalità con cui il governo ha redatto questo provvedimento, ci obbliga a fermarci all’esame di tutto ciò che riguarda gli aspetti economici e finanziari del programma.

È notizia dell’altro ieri che lo stesso presidente degli Stati Uniti, riferendosi alla levitazione dei costi di alcuni sistemi per la Difesa ha parlato di commesse impazzite e si sa che il ministro Gates avrebbe passato in rassegna tutti i programmi di acquisizione con il duplice obiettivo di sintonizzarsi alle nuove esigenze delle forze armate e di contenere il bilancio della Difesa. Voglio inoltre ricordare che il 30 marzo la Norvegia ha sospeso fino al 2012 la sua partecipazione al programma JSF. Per quanto ci riguarda, si tratta di un impegno finanziario molto significativo e sappiamo inoltre tutti che la cifra stimata di 12,9 miliardi di euro è destinata a levitare di molto. Le previsioni di costo del programma sono basate sul costo unitario di ciascun velivolo. Un costo che da quando è iniziato il programma è passato dagli iniziali 28 milioni di $ ai 42 milioni di $ del 2004 ed ora è stimato intorno ai 60 milioni di $. La stampa specializzata e fonti degli altri paesi coinvolti nel programma, indicano che il costo del velivolo convenzionale aggiornato ad oggi andrebbe rivisto in 110/125 mln $. Le stime riguardano il futuro, è però possibile un bilancio sul passato. Sembra infatti, che i ritorni industriali ottenuti alla data odierna, a fronte della spesa di 1.028 milioni di $, siano ancora inferiori a 150 milioni di dollari. Un secondo impegno di spesa riguarda la realizzazione di una linea nazionale Faco. Si tratta cioè di realizzare uno stabilimento industriale nell’area dell’aeroporto militare di Cameri (No) che svolgerà i compiti di assemblaggio e manutenzione. Nell’atto che ci ha inviato il governo la ricaduta industriale per lo stabilimento di Cameri viene indicata in circa 600 posti di lavoro nella fase di picco, presumibilmente non prima del 2016. Una affermazione altrettanto ottimistica viene fatta per quanto riguarda la spinta occupazionale nelle aziende dell’indotto, che, dice il documento del governo, «si dovrebbe quantificare in circa 10 mila posti di lavoro e potrebbe garantire la continuità occupazionale del programma Eurofighter».

Leggendo tra le righe, appare evidente che l’insieme di questi posti di lavoro sono sostitutivi e non aggiuntivi a quelli esistenti. Il che, del resto, appare naturale dato che il velivolo Jsf sostituirà le linee di volo degli Amx, Harrier e Tornado. Va anche detto che la rilevanza degli oneri finanziari e degli interessi coinvolti da questo programma, avrebbe richiesto la sua approvazione con una legge di rango primario, anche perché lo stesso atto del governo indica che il finanziamento potrà «avvenire con risorse tratte sia dal bilancio ordinario della Difesa, sia verosimilmente attraverso fondi extrabilancio». Non si dice però quali voci di spesa del bilancio ordinario dovranno essere sacrificate per le nuove esigenze.

Il bilancio della Difesa con in tagli apportati dal governo con la finanziaria relativa al triennio 2009-2011 è giunto al minimo storico rispetto al Pil attestandosi intorno allo 0,8% con la conseguenza di riduzioni drammatiche in settori strategici, quanto quelli degli investimenti, dell’addestramento e della manutenzione. Il 3 aprile si è riunita la commissione interministeriale che dovrà formulare una proposta da sottoporre al parlamento per un nuovo modello di difesa. Siamo al paradosso: prima ancora che a livello governativo si decida si chiede il via libera su impegni di spesa in grado di condizionare qualunque modello.

Fonte: «Europa» del 10.04.2009