[di Amedeo Tosi • Maggio 1998] Volontariato: più coordinamento e meno protagonismo. Queste le "attese e speranze" emerse al termine della tavola rotonda organizzata dall'Ulivo di San Bonifacio nella serata del 15 maggio 1998. Un incontro promosso per parlare del rapporto tra il cosiddetto "Terzo settore" e la pubblica amministrazione che non ha deluso le aspettative delle tante persone accorse ad ascoltare i quattro titolati relatori: Emanuele Alecci, presidente nazionale del MOVI (Movimento volontari italiani), Gianfranco Bettin, sociologo e amministratore del comune di Venezia, il veronese Carlo Melegari, presidente del Cestim (Centro Studi Immigrazione) e il presidente onorario della Fondazione "Zancan", monsignor Giovanni Nervo...

VOLONTARIATO: PIU’ COORDINAMENTO, MENO PROTAGONISMO

Volontariato: più coordinamento e meno protagonismo. Queste le “attese e speranze” emerse al termine della tavola rotonda organizzata dall’Ulivo di San Bonifacio nella serata del 15 maggio 1998. Un incontro promosso per parlare del rapporto tra il cosiddetto “Terzo settore” e la pubblica amministrazione che non ha deluso le aspettative delle tante persone accorse ad ascoltare i quattro titolati relatori: Emanuele Alecci, presidente nazionale del MOVI (Movimento volontari italiani), Gianfranco Bettin, sociologo e amministratore del comune di Venezia, il veronese Carlo Melegari, presidente del Cestim (Centro Studi Immigrazione) e il presidente onorario della Fondazione “Zancan”, monsignor Giovanni Nervo.

INSIEME SI PUO’
“La politiche sociali sono oggi possibili solo se si riescono a mettere in campo adeguate collaborazioni tra il settore pubblico, il privato e il mondo del volontariato” ha esordito Melegari prima di soffermarsi sull’esperienza che lo vede da molti anni impegnato sul versante dell’accoglienza e dell’aiuto agli immigrati. Sinergia che impone ad ognuno dei tre suddetti soggetti responsabilità che non possono venire disattese strada facendo, “perché altrimenti i problemi che ci si era prefisso di risolvere potrebbero diventare ancora più acuti”. Un effetto boomerang che ha segnato – e tuttora sta segnando – pesantemente la significativa iniziativa intrapresa nel 1990 dal Cestim:

UNA ESPERIENZA
Melegari racconta: “In collaborazione con la Mutua Autogestione di Verona (Mag) abbiamo creato una cooperativa che si era posta l’obiettivo di raccogliere dai privati delle somme di denaro da investire nell’acquisto di appartamenti che alleviassero la negativa situazione venutasi a creare con l’istituzione, da parte dell’amministrazione comunale, del dormitorio-ghetto, impropriamente battezzato “centro di accoglienza”, presso gli ex Magazzini Generali” E continua. “Una volta iniziato a svuotare il dormitorio e a accogliere nelle abitazioni piccoli gruppi di immigrati è stato possibile arrivare ad un accordo con la Pubblica Amministrazione, dato che i costi di gestione dell’intero progetto erano sensibilmente minori rispetto alla situazione del dormitorio. In questo modo -sottolinea ancora il responsabile del Centro Studi- eravamo riusciti a mettere insieme il Pubblico, i privati e il volontariato. Purtroppo il successivo passo indietro, sfociato con il ritiro dall’iniziativa da parte dell’attuale Amministrazione Comunale, ha caricato di responsabilità la cooperativa che oggi si trova nella condizione di dover chiudere. Un’esperienza, la nostra, che chiaramente ha avuto senso fino a quando il volontariato si è trovato ad essere uno degli interlocutori-protagonisti dell’iniziativa”.

SCELTE
Sulla stessa lunghezza d’onda è stato il successivo intervento del responsabile del MOVI, Alecci, che così ha provocatoriamente esordito: “Ci dobbiamo chiedere se il volontariato vuole aiutare i poveri o le organizzazioni che aiutano i poveri?”. Una battuta tesa a chiarire i rapporti che devono esistere tra le due diverse entità (volontariato e stato) e a mettere in luce che il mondo delle associazioni da solo non può certo risolvere tutti i problemi”. Ed ha aggiunto: “Di fronte ad uno Stato che diventa sempre più leggero, con sempre meno disponibilità economiche da riversare nell’ambito sociale e che tende a delegare al volontariato servizi e diritti che sarebbe chiamato lui a garantire, c’è da stare poco allegri”. Da qui deve scaturire un’opzione coraggiosa: “Un autentico impegno chiederà al volontario di non rinchiudersi più nelle sedi, ma dovrà diventare la strada, il quartiere, la sede dell’associazione”. In particolare saranno due, secondo Alecci, gli ambiti in cui il mondo del no-profit si dovrà cimentare: 1) avviare una strategia di dialogo e di collegamento libero, dal basso, almeno tra le realtà che operano nello stesso settore, con particolare riguardo all’informazione; 2) rispondere a problemi che diventano sempre più complessi attraverso una seria formazione permanente del volontario”.

OBBIETTIVI COMUNI
Atteso l’intervento del prosindaco e assessore alle politiche sociali di Venezia, Gianfranco Bettin: “Più che prendersi cura dei poveri, oggi l’esigenza è quella di prendersi cura dell’intera comunità” ha detto, prendendo prima in esame i settori in cui il volontariato esplica le proprie attività e, poi, affermando che “oggi molte persone, i pensionati in particolare, non chiedono assistenza fine a se stessa ma bensì di poter vivere bene il tempo che hanno a disposizione, anche operando nel volontariato”. Ed è quindi “valorizzando e coordinando questi soggetti e le varie realtà associative che si riuscirà a dare risposte concrete e durature”. Come? “Intanto -continua Bettin- promuovendo il dialogo tra i volontari e con la pubblica amministrazione, con la quale bisogna interagire fissando periodici obbiettivi comuni”. Non è mancato anche qui un accenno alla responsabilità: ” Il volontario, inoltre, dovrebbe riscoprire maggiormente il valore della gratuità ed il coraggio di esplorare nuovi settori di impegno, provocando una riflessione all’interno dell’intera comunità, altrimenti non sarà solo colpa della pubblica amministrazione se alcuni problemi, in particolare quelli legati alla convivenza civile, diventeranno sempre più gravi”.

BISOGNA SAPER SCEGLIERE
Monsignor Nervo ha prima voluto chiarire l’ambito della discussione per poi spingersi a riflettere e a consigliare gli operatori del terzo settore. “Per volontariato – ha detto – dobbiamo intendere il lavoro spontaneo di servizio non pagato. Per cui per tutto ciò che esula da esso, fino addirittura al camuffamento del volontariato in lavoro sottopagato o nero, nulla ha da spartire con la nobile offerta di disponibilità”. Dall’alto della sua esperienza ha poi ricordato che “tutti dicono: “non ci sono risorse per il sociale”. Io invece vi dico che mai come oggi esistono risorse. É chiaro che dobbiamo fare i conti con una impressionante impennata delle esigenze e dei bisogni indotti presenti nella società contemporanea. Bisogna quindi saper fare delle scelte. E occorre prima di tutto affrontare il problema delle priorità nella destinazione delle risorse. Se in una comunità certi valori morali e culturali hanno la priorità rispetto ad altri è chiaro che gli amministratori locali non li potranno relegare all’ultimo posto. É quindi anche nostro compito far sì che la cultura che l’associazionismo esprime venga presa in considerazione. E ciò può avvenire solo se chi opera all’interno del terzo settore ha una formazione anche in ambito politico, non vive di protagonismo, evita la deleteria concorrenza per l’accaparramento delle sovvenzioni e, soprattutto, vuole entrare in dialogo con gli altri. Solo così le comuni attese non rimarranno sterili speranze”.

Durante il dibattito, al quale sono intervenuti sia amministratori locali che componenti di associazioni, sono emerse sia le ristrettezze di bilancio con cui la pubblica amministrazione deve fare i conti, sia la necessità e disponibilità ad intraprendere un rinnovato dialogo tra chi (oltre 120 associazioni solo a San Bonifacio, molte delle quali di volontariato, ndr) opera nel Terzo settore, dando vita a quelle forme di coordinamento che da anni tutti auspicano.


Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Maggio/Giugno 1998 del giornale «il GRILLO parlante».