[Padre Alex Zanotelli • 06.04.03] Cambiare si può? Quasi tutti, almeno una volta, ce lo siamo domandato: è possibile cambiare questo nostro mondo? Mutarlo radicalmente, in meglio, in modo definitivo? Forse sì. Sul come, le ricette si sprecano...

ZANOTELLI: IL CORAGGIO DELL’INTEGRITA’ AL SERVIZIO DELLA PACE

Cambiare si può? Quasi tutti, almeno una volta, ce lo siamo domandato: è possibile cambiare questo nostro mondo? Mutarlo radicalmente, in meglio, in modo definitivo? Forse sì. Sul come, le ricette si sprecano. È però interessante chiederlo a qualcuno che le mani, negli anfratti più dolorosi e tristi del pianeta, se le è sporcate sul serio, dandosi da fare: Padre Alex Zanotelli. A colloquio con lui scopriamo che la chiave di una terra nuova, che finora ha popolato solo i nostri sogni, non è molto lontana: esiste e si può vedere, toccare, vivere. Fa parte di noi, non di complicate formule socio-economiche. È la strada fatta di una parola sola: integrità. Integrità significa nessun compromesso con la nostra Coscienza, nessuna illusione che con un colpo al cerchio e uno alla botte gli esseri umani possano procedere comunque verso uno dei futuri possibili, magari non il migliore in assoluto – ci diciamo – ma neppure il più disastroso. No, le cose non stanno così. Se la buona notizia è che possiamo fare qualcosa, la notizia successiva, né buona né cattiva, è che non sarà gratis. Non gratis, dunque, ma necessario: senza una rotta del tutto diversa, il nostro futuro beffardo potrebbe davvero essere “nessun futuro”.

«Dio è all’inferno e soffre con le sue creature»: non usa mezzi termini, Padre Alex, non quando si tratta di descrivere ciò che visto – di più, ciò che ha vissuto, insieme a migliaia di persone tra le più povere delle Terra – nella baraccopoli di Korogocho, alle porte di Nairobi, per dodici anni. «Sono i poveri a ricordarmi questa verità – racconta. Quando arrivai a Korogocho, l’impatto con la miseria mi fece temere che Marx potesse avere avuto ragione, e che la ricerca della trascendenza fosse solo oppio dei popoli. Invece no: i poveri possiedono l’esperienza del divino nonostante la loro disperazione. Ho provato anche a stuzzicarli, dicendo “guarda come
ti ha ridotto Dio”, ma mi sentivo rispondere “Cosa dici Alex?!”. Dio è con loro e condivide le sofferenze che provano». Ha tentato, anzi dovuto chiedersi «Chi sei, Dio?». Domanda inevitabile, essenziale, per evitare di impazzire, picchiando la testa contro il muro alla ricerca di un senso, di un significato a tutta quella sofferenza, a
quella barbarie, a quel vuoto di dignità umana che è la vita della baraccopoli. «Dio ha il volto di donna», è stata la semplice risposta che si è dato, che ci dà. Sorride e annuisce, quando gli si ricorda che Papa Luciani la pensava allo stesso modo. Poi continua: «Una donna genera, e può dare alla luce anche un bimbo ammalato. Farà di tutto per salvarlo, ma qualche volta il bimbo morirà tra le sue braccia. E lei proverà strazio, impotenza, non accettazione. Anche Dio genera, come la donna. Dopo averci generato, però, non può prenderci per i capelli e tirarci da una parte o dall’altra. Siamo comunque liberi di percorrere la nostra strada di morte, di desiderare la morte e di mettere in piedi tutti i macelli che crediamo di volere, nonostante quello che Dio fa per non vederci morire». Non è necessariamente il discorso di un religioso, quello di Padre Zanotelli: chiunque vive laicamente la spiritualità sostituisca alla parola Dio l’espressione Spirito, Vita o Principio Generatore, e si ritroverà in pieno nelle parole di quest’uomo che, per suo stesso dire, è sceso nei sotterranei della vita e della storia e porta ancora addosso l’odore della degradazione umana di Korogocho, «dove si sente la sofferenza di Dio -sottolinea-, che è poi quella dell’Uomo». La natura dell’Uomo. Se Dio ha sembianze femminili, che sembianze ha l’Umanità? Risponde: «L’Umanità è il Popolo dei Volti». Se ci si rende conto che il nostro vicino è un Volto, non l’abitante di una statistica, diventa molto più difficile fargli del male: «la vittima non la guardi in viso – continua -, la devi spersonalizzare prima di trasformarti nel suo carnefice. Questa meccanica va studiata. Da noi in Occidente è un problema: siamo diventati cose, tubi digerenti, numeri». La spersonalizzazione che rende tutti uguali fa sì che, come ha detto l’arcivescovo di Canterbury, non ci sia nessuna differenza sostanziale tra gli assassini dell’11 settembre e l’esercito dell’Occidente civilizzato che si lancia in una guerra cosiddetta preventiva. Privare gli individui della propria singolarità porta, infatti, a conseguenze estreme: le cataste di morti nei campi di concentramento di tutti i tempi, non più resti di esseri umani che avevano sogni, vite, emozioni, ma carcasse identiche, dalle quali è scomparso anche solo il ricordo di cos’era la Vita. L’origine della violenza. «Il genio della violenza è uscito dalla bottiglia e nessuno sa come fare a rimettercelo». Va avanti con la sua analisi, Padre Alex. Primo problema: citando gli scritti di René Girard, afferma che «ogni individuo sceglie i capri espiatori ai quali farla pagare per ciò che non va e per quello che non possiede, allo scopo di mantenere in tal modo la pace sociale». Secondo problema: la pace non si può imporre dall’alto, ma occorre comunque organizzare i singoli che vogliono fare qualcosa per influenzare il corso degli eventi. «Il marxismo ha detto che per cambiare l’Uomo occorre prima cambiare la Società. Analisi scorretta. La Chiesa al contrario afferma che la violenza nasce solo dal singolo. Analisi incompleta: come dice l’arcivescovo emerito di Durban (Sudafrica) Hurley, infatti, le singole persone convertite non sono sufficienti a cambiare la società sulla scorta delle proprie intuizioni evangeliche. Occorre aggregare la coscienza individuale per evitare che il Sistema in cui i singoli sono nati li riconverta. Come riuscire a farlo senza imporre la conversione per legge, che equivale a creare la Santa Inquisizione, la Dittatura del Proletariato, lo Stato dei Talebani? Non sappiamo come le società primitive gestissero la violenza. Sappiamo però che a partire dal 4000 a.c. gli imperi, le città stato, le nazioni controllavano la violenza rilasciandola quando serviva loro per fare le guerre; erano in grado poi di farla rientrare nel suo alveo, domando il genio e rimettendolo nella sua lampada. Oggi abbiamo perso questa capacità. La sacralità degli stati, dalla quale derivava il loro potere di controllo, non esiste più. Inoltre, la violenza è diventata apocalittica. L’unica soluzione possibile, per il momento, è rendere la violenza un tabù, vale a dire sacralizzarla negativamente proibendola e minacciando punizioni per chi contravviene. Solo in questo modo potremo evitare che il mostro si scateni e ci travolga tutti».
Il commercio internazionale di armi. Tradotta in termini concreti, la violenza vuol dire fabbricazione e commercio di armi, strumenti di distruzione a tutti i livelli. La prima cosa da fare non sarebbe, quindi, bandire le armi? Non sarebbe il metodo migliore per identificare concretamente ciò che dovrebbe diventare il nostro nuovo e maggior tabù? Possibile che non sia possibile promuovere un progetto internazionale di mappatura dei siti di fabbricazione e delle vie di commercializzazione delle armi in tutto il mondo? «Per raggiungere un simile obiettivo ci dovremmo prima disfare dei Servizi Segreti e deiPotentati (Mafie, Logge Massoniche), il Mondo Nascosto connesso con il Grande Mercato Internazionale», risponde. Alex l’avrebbe una proposta: «abolire il segreto di stato sul tema delle armi e del problema ad esse strettamente connesso, quello della droga». L’Afghanistan è stato l’esempio più eclatante di questo connubio di degradazione e di morte. «Molte cose si possono già sapere, però. L’associazione PeaceLink ha realizzato una prima forma di mappatura relativa ad una porzione del territorio italiano. Ma mancano alcuni dati, quelli spesso più rilevanti: cosa fanno esattamente le fabbriche e le triangolazioni utilizzate per l’esportazione illegale». Il tema delle armi non è nuovo per Padre Alex: ai tempi della direzione di Nigrizia se n’era occupato (e non erano mancate le crisi esistenziali: egli stesso ricorda di come si recasse in cappella con le lacrime agli occhi, domandandosi se fosse egli il matto o se fosse vero ciò che emergeva dall’evidenza dei fatti). Senza riprendere in dettaglio il contenuto delle denunce di allora, cita un libro, quello sulla morte di Ilaria Alpi scritto da alcuni giornalisti di Famiglia Cristiana (Barbara Carazzolo, Alberto Chiara e Luciano Scalettari per Baldini & Castoldi: ‘Ilaria Alpi, un omicidio al crocevia dei traffici’). Una storia che parla di aerei carichi di viveri partiti da Roma con la benedizione dei vertici politici di allora alla volta della Somalia, ma che facevano tappa in Sicilia dove scaricavano le derrate per caricare armi, esportate in cambio dell’autorizzazione del governo somalo a ricevere rifiuti tossici italiani sul proprio territorio.  Chi si rivede: George Orwell. Sembra sul serio riecheggiare George Orwell, Padre Alex, quando cita i dati sui veri costi del nostro sistema socio-economico mondiale, il quale basa la propria sopravvivenza anche sulla costruzione, la vendita e l’utilizzo delle armi convenzionali e non. Le armi assorbono la maggior parte delle risorse utilizzabili del nostro pianeta, mentre quasi tutto il resto se ne va nella sbornia produttiva e consumatrice di quel 20% di popolazione che da sola mangia l’83% della ricchezza a disposizione, e che fa di tutto per difendere il proprio stile di vita insostenibile per il nostro sistema economico ed ecologico. “La guerra – scriveva Orwell in ‘1984’ – è, essenzialmente, un modo di fare a pezzi, di dissolvere nella stratosfera, ovvero di sprofondare negli abissi del mare, quei materiali che altrimenti si sarebbero potuti usare per rendere più comoda la vita delle masse, e quindi, a lungo andare, renderle anche più intelligenti (S) Come principio, gli sforzi di guerra sono sempre progettati in modo da consumare tutte le eccedenze che possono restare dopo che si è venuti incontro ai bisogni indispensabili della popolazione. In realtà i bisogni della popolazione sono sempre stimati ad un livello minore di quello che realmente rappresentano, col risultato che sussiste una penuria cronica di metà almeno delle prime necessità della vita: ma tutto questo viene considerato,
naturalmente, come un vantaggio”. A pochi chilometri da Korogocho si trovano ville che la maggior parte dell’Occidente nemmeno si sogna, racconta Alex. «E’ questo il vero muro, che passa ovunque. Quello di Berlino, in confronto, era illusorio, e ci hanno fatto guardare a lungo quello di cemento perché non ci accorgessimo dell’altro, quello che divide, in tutto il mondo, i ricchi dai poveri. I volti dei poveri ci interpellano». Non a caso uno dei suoi scritti si intitola ‘I poveri non ci lasceranno dormire’, Monti Edizioni, dove cita cifre e fatti che lasciano sconvolti. «I poveri del mondo chiedono ascolto: la sera prima del mio rientro in Italia, i capi delle comunità di Korogocho mi hanno detto: ‘vai e racconta quello che succede qui’. Storie di miseria, ma anche di grande meraviglia per la forza con cui la vita, nonostante tutto, tenta in ogni modo di non morire. Ancora una volta, sono le donne a dare spesso l’esempio, grazie alla loro caratteristica migliore, che sarebbe bello fosse prassi comune: la tenerezza. Se è vero che nessuno fa agli altri niente di diverso da ciò che prima ha ricevuto, come ci insegna la criminologia, allora è proprio vero che i terroristi li abbiamo forgiati noi occidentali con le nostre mani, con una politica decisa da non più di 400 famiglie in tutto il mondo e da tutto il resto dell’Occidente ciecamente seguita per ignoranza, come se fosse l’unica possibile». Dobbiamo piangere i morti di tutte le tragedie umane: non solo quelli degli attentati, ma anche le vittime della fame, che ogni anno sono più di trenta milioni (pari a cinque olocausti nazisti messi insieme). Quale soluzione? Che cosa possiamo fare per passare dall’intuizione dei singoli alla dimensione collettiva? Siamo ancora lontani dal risultato, «balbettiamo ancora», dice Alex senza giri di parole. Si può solo decidere di lavorare in chiave culturale e antropologica, rimettendo innanzitutto in discussione il concetto di obbedienza tanto caro alle nostre gabbie culturali. Quando è rivolta al Sistema, infatti, l’idea di obbedienza «non è una virtù, ma la più subdola delle tentazioni», scandisce Alex. «Gesù ha inventato la nonviolenza attiva; non tutti l’hanno compresa (spesso le Chiese no), Gandhi era invece uno di quelli che l’ha utilizzata. Questo vale per i credenti; ma per i laici il principio non cambia: la violenza, dice René Girard, nasce dentro di noi prima che nella società. Per i credenti, la bomba atomica è la stupida sfida dell’Uomo contro Dio, quasi a volergli dimostrare il proprio potere di distruggere ciò che egli ha creato; per i non credenti, essa è la follia di poter far terminare in un pomeriggio la storia millenaria di una razza». La ricetta non è sempre facile da applicare, ma esiste: «Tornate a tutte le obiezioni! Usate tutte quelle che conoscete e inventatene di altre». Non si può passare per la scelta del colpo al cerchio e l’altro alla botte; «per i credenti, l’Ortodossia non è la recita del Credo, ma la scelta del Dio della Vita invece che del dio della distruzione; mentre per i non credenti, l’Etica è la scelta giusta all’interno dei valori supremi, quelli che sostengono la Vita e che non testimoniano la morte. Non è possibile far parte del Sistema e pensare di esserne fuori moralmente. La responsabilità si condivide in solido, non si può suddividerne il peso tra tutti coloro che partecipano all’errore -grande o piccolo che sia- in modo da renderlo meno gravoso da sopportare». Integrità, questa è la parola chiave.