«Si chiamava / Moammed Sceab»: così ha inizio una famosa poesia di Giuseppe Ungaretti, intitolata In memoria, composta quasi un secolo fa e dedicata ad un amico arabo che “non aveva più/ Patria. / Amò la Francia / e mutò nome».
Il protagonista di questo editoriale si chiama invece Mohamed Ba, che – venuto dal Senegal molti anni fa – ha trovato una nuova patria in Italia, amando questo Paese e non sentendo il bisogno di cambiare nome. È un artista e un mediatore culturale apprezzato, capace come pochi di fare dell’ironia sulle difficoltà dell’integrazione in un’Italia che sta cambiando pelle, e che vive con paura le trasformazioni di una società plurale. Lavora presso l’Ufficio Educazione Mondialità del PIME di Milano è ha spesso partecipato ai convegni del CEM, dimostrando una straordinaria disponibilità a mettersi in gioco: come traduttore o dando una mano al laboratorio degli adolescenti. Lo conosciamo bene, perciò, come un uomo giusto e impegnato contro ogni forma di discriminazione e a favore del dialogo e della convivenza pacifica.
È per questo – anche per questo – che non possiamo tacere su quanto gli è accaduto il 31 maggio, quando è stato oggetto di una vile e insensata aggressione. Mentre, verso le ore 19, Mohamed aspettava un tram a Milano, è stato accoltellato allo stomaco da un uomo che parlava perfettamente italiano, indossava occhiali scuri e teneva in una mano un casco da motociclista: così, senza alcuna ragione. Si badi: non c’è stato un alterco, né una provocazione di sorta. Freddamente, l’uomo ha impugnato il coltello vibrando due colpi contro Ba. Poi, come per mettere la propria firma a quanto aveva compiuto, gli ha sputato addosso, e se ne è andato passeggiando, indisturbato, mentre la gente attorno, impaurita, scappava. E a Mohamed, incredulo e sanguinante, non è rimasto che trascinarsi verso il centro della strada, per cercare di muovere a compassione qualche automobilista.
Un momento di follia? Un raptus? Mentre attendiamo che qualche indagine faccia luce su come ciò sia potuto accadere, ci tormenta il pensiero che questo grave episodio si inserisca in un clima di razzismo e di ostilità per qualsiasi forma di diversità che da tempo si respira in Italia, senza che la classe dirigente si renda conto dell’estrema pericolosità di tale situazione. E dobbiamo anche sottolineare la scarsa copertura mediatica che esso ha ricevuto, immaginando cosa si sarebbe scritto «a colori della pelle invertiti». Per quanto ci riguarda, questa triste vicenda ci spinge a continuare a operare a favore del dialogo, dell’educazione interculturale e della fratellanza tra i popoli, cercando di far sì che tali aggressioni non abbiano a ripetersi. E da queste pagine gli rinnoviamo la nostra vicinanza e amicizia, cogliendo l’occasione per ringraziarlo – una volta di più – per tutto ciò che ci ha regalato in tanti anni. Augurandoci che le tante attestazioni di solidarietà ricevute possano aiutarlo a superare, non solo la convalescenza, ma anche il dramma psicologico che sta attraversando.
Di Sceab, Ungaretti concludeva la sua poesia scrivendo che «forse io solo / so ancora / che visse». Di te, caro Mohamed, per fortuna siamo in tanti a sapere che ancora vivi, e a esser certi che non verrà meno la tua fiducia nell’uomo. Nonostante tutto.
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Fonte: Missionari Saveriani