[Adriano Sella • 27.03.04] Tutti hanno ormai percepito che viviamo dentro una società altamente consumistica. Infatti siamo bombardati dalle pubblicità, sempre più sofisticate e seducenti, che ci inducono a consumare sempre più prodotti, trasformando tutti i bisogni superflui in necessità...

ADRIANO SELLA: «LIBERIAMOCI DAL CONSUMISMO DEL FARE!»

Tutti hanno ormai percepito che viviamo dentro una società altamente consumistica. Infatti siamo bombardati dalle pubblicità, sempre più sofisticate e seducenti, che ci inducono a consumare sempre più prodotti, trasformando tutti i bisogni superflui in necessità. E così siamo costretti a lavorare sempre più per conseguire un potere d’acquisto molto alto, in modo da riempire le nostre vite e le nostre case di tante cose. La vita odierna incarna sempre più quel paradigma:  vivere per lavorare.  E non più lavorare per vivere. Il nostro premier ha invitato, varie volte, gli italiani a consumare di più per far accelerare l’economia italiana che si trova ferma. Ecco, allora, la condanna che ci pone questa economia capitalista: consumare, consumare e consumare per diventare sempre più “tubi digerenti”, come dice p. Alex Zanotelli.
 
Ma c’è anche un consumismo del sapere che sta rovinando la vera cultura sistematica e riflessiva, come ha fatto emergere il sociologo Francesco Alberoni (Corriere della Sera – 23/02/2004):

Incontro sempre più frequentemente persone di tutte le età che hanno la pretesa di imparare solo ascoltando o guardando, senza poi leggere, riflettere, ripetere. E incontro sempre più gente che fa fatica a seguire un ragionamento completo e a ricordare una esposizione ordinata (…) Usando il pensiero superficiale, frantumato e intuitivo, si fa fatica a calcolare le conseguenze delle decisioni, delle azioni proprie e degli altri. Mi domando se alcuni errori madornali che continuano a compiere come individui o come collettività, nonostante tutti i progressi tecnologici, non dipendono anche da questo indebolimento della razionalità sistematica”.

Inoltre, ricorda Alberoni, i responsabili di questo consumo di piccole notizie, di frasi brevi,  di battute, senza un ragionamento completo e una argomentazione sono: la televisione con i suoi spettacoli (talk show), la pubblicità, gli sms, la videomusic, il rapido scorrere su Internet. Sono tutti fattori che non aiutano a pensare in maniera profonda e sistematica. Siamo bombardati da notizie dalla mattina alla sera, ma tutto rimane ad un livello superficiale senza la capacità e il tempo di andare al di là della semplice notizia per coglierne le cause, le motivazioni profonde, le conseguenze, i meccanismi di azione e il messaggio per la vita.

Oggi, in Italia, abbiamo una televisione a cui è rimasto il solo compito di farci diventare sempre più obbedienti alle leggi del consumo”, dichiara Beppe Grillo (prefazione del libro I poveri non ci lasceranno dormire, Editrice Monti 2002).
 
Esiste anche un consumismo religioso quando la fede viene vissuta come se fosse un prodotto da consumare. Affermava il grande teologo latino-americano José Comblin che la logica del mercato libero si fa sempre più strada anche nelle nostre Chiese cristiane. Infatti, c’è una grande preoccupazione di preparare, sottoforma di celebrazioni, dei prodotti religiosi confezionati molto bene per riuscire ad avere molti fedeli che li consumano. L’importante non è la qualità della fede ma la quantità dei fedeli. Questi sono criteri tipici del capitalismo neoliberista.

E allora, si corre da un luogo all’altro dove sorgono delle apparizioni, oppure da un santuario all’altro per ricevere maggiori grazie e benedizioni. I sacramenti diventano sempre più privatizzati e le parrocchie rimangono dei distributori di sacramenti con tutte le loro tariffe, o addirittura con la possibilità di scegliere quella parrocchia o diocesi dove si paga meno. Anche le Messe hanno un prezzo perché bisogna darci un’intenzione, soprattutto per i cari defunti, e vengono consumate, vendute e acquistate come un buon prodotto per la vita eterna. Questo mercato delle Messe contraddice altamente l’essenza dell’Eucaristia che è Azione di Grazia per far memoria di Colui che si è offerto gratuitamente per la salvezza dell’Umanità, anche se hanno tentato di vendere le sue vesti.
 
C’è anche un consumismo di esperienze di vita. Incontro sempre più persone che fanno molte esperienze di vita nel campo sentimentale e affettivo, nel mondo del lavoro, del volontariato e della solidarietà. Sembrano mangiatori di esperienze, cercando  nuove emozioni e sentimenti sempre più forti. Ma tutto viene vissuto in maniera “light”, ossia superficialmente senza scendere in profondità. Sempre più m’imbatto con giovani che hanno una grande sete di fare tante cose, facendo propri molti impegni in vari campi della vita e alla sera si trovano stanchi e stressati, perché, a volte, sono costretti a partecipare due incontri differenti nella stessa serata, potendo però accompagnare solamente metà di ciascun incontro.
 
Insomma, ci troviamo di fronte ad un consumismo che non più quello vecchio, cioè consumare prodotti, ma uno nuovo costruito sul troppo fare. Anche quelli che portano avanti una vita sobria, avendo ridotto l’acquisto di prodotti e di cose, s’imbattono in questo nuovo consumismo perché assumono molti impegni nel campo sociale, volendo partecipare a vari gruppi che lottano per un mondo di solidarietà e di giustizia. Consumando così una infinità di azioni e di impegni dalla mattina alla sera, senza mai fermarsi e correndo di qua e di là per partecipare a tutto. Infatti, incontro sempre più persone che sentono questo problema, ma non riescono a priorizzare, cioè a fare delle scelte. Anzi, s’infilano in tante iniziative, perché fare tante cose dà la sensazione di essere di più e di raggiungere prima l’obbiettivo. Mentre è proprio questo il problema: il consumismo del fare è una grande minaccia della qualità dell’azione, perché non permette a cogliere la profondità di tutta la portata storica, dando così intelligenza all’agire. La quantità del fare è senza dubbio il cancro dell’azione profetica, ossia quell’azione che rivela il cuore dell’umanità e l’essenza dell’impegno etico. 

Faccio un esempio:  anche la solidarietà può condurre al consumismo del fare tante cose a favore degli altri, preoccupandosi più nell’aggiungere azioni su azioni per sentirsi bene nel fare solidarietà. Ma senza la capacità di dare intelligenza alla solidarietà si cade nell’assistenzialismo, oppure nell’elemosina, senza riuscire a cambiare i meccanismi, le strutture  e i sistemi di ingiustizia e di impoverimento. E’ necessario quindi priorizzare per poter andare al di là della semplice azione di solidarietà, sapendo cogliere tutta la sua profondità storica che ci porta a cogliere le profonde esigenze di una vera solidarietà capace di cambiare la realtà strutturale, diventando così profezia perché, oltre a smascherare forme false e ingannatrici di solidarietà, annuncia percorsi possibili e percorribili di vera solidarietà.
 
Dobbiamo recuperare la sobrietà del fare perchè dà spazio alla dimensione meditativa e contemplativa, ossia quella condizione che ci aiuta a scavare in profondità e a cogliere il senso del nostro fare, raggiungendo così quella linfa che dà sapore al vivere perché  lo indirizza verso la sua essenza, dove scopre la sua giustezza e la sua piena liberazione. E’ questa capacità di captare la profondità della storia, cogliendone le coordinate di vita veramente giusta e solidale, che ridà alla storia una solidarietà intelligente perché capace di liberare finalmente le persone e i popoli, senza più opprimerli e costringerli a sopravvivere con l’assistenzialismo, o addirittura chiedendo elemosina.

Purtroppo, in questa società definita del fracasso, manca la dimensione del silenzio. Infatti, c’è gente che non riesce neppure a stare un minuto in silenzio e subito accende la radio o la tv. Troppe persone non riescono a fermarsi neppure per un attimo, staccando la spina, ma devono fare sempre qualcosa, altrimenti non si sentono bene. Ecco l’ansia del fare che fa sempre più prede e rendere la vita di, ormai, troppi una realtà stressante e sempre di corsa, svuotandola sempre più del suo senso. Per questo abbiamo sempre più gente stanca di questa vita e che non ne può più. Bisogna, allora, avere la forza di fare delle scelte, priorizzando, e non lasciarsi imprigionare dal consumismo del fare. E allora è urgente liberarci da questo consumismo del fare, per recuperare quel silenzio fecondo che ci fa immergere nella profondità della storia dell’umanità.

Non più quantità del fare, ma qualità dell’agire. Come ci poneva profeticamente don Tonino Bello, vescovo dei poveri e della pace, quando ci parlava che non si tratta di fare delle cose, ma di fare delle scelte, ossia non altro ma oltre (cfr. Il Vangelo del coraggio, Edizioni San Paolo 1996). Solamente liberandoci dal consumismo del fare, che aggiunge sempre più altri impegni o cose, riusciamo a superare gli orizzonti di bassi profili e captare l’oltre. In sintonia con il forte appello di Tonino Bello: “Purtroppo, il dramma dell’assuefazione all’esilio minaccia anche noi cristiani. Ci stiamo adattando alla mediocrità. Accettiamo senza reagire gli orizzonti di bassi profili. Viviamo in simbiosi con la rassegnazione. Ci vengono meno le grandi passioni. Lo scetticismo prevale sulla speranza, l’apatia sullo stupore, l’immobilismo sull’estasi. La nostra religiosità incolore si stempera in gesti stereotipi, in atteggiamenti etici senza entusiasmo, in pratiche rituali che hanno il sapore delle minestre riscaldate nelle pentole d’Egitto. Più che essere schiavi dell’abitudine, abbiamo contratto l’abitudine della schiavitù (…) Coraggio, gente! Se le cose stanno davvero così, la Pasqua vi prosciughi, fino all’ultima goccia, i ristagni di disperazione che si sono sedimentati nel cuore. E, insieme al coraggio di esistere, vi ridìa la voglia di camminare”.
 
Che il Risorto ci liberi dal consumismo del fare e ci spinga verso l’oltre: una Pasqua che ci farà vivere non più da morti viventi ma da risorti!
 
Adriano Sella
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