[di Gerolamo Fazzini • 29.05.02] “Leggiamo il Vangelo come se non utilizzassimo denaro, usiamo i soldi come se il Vangelo non esistesse”. Padre Alex Zanotelli ama citare questa frase di un teologo americano per chiedere ai cristiani del Nord del mondo di cambiare radicalmente stile di vita. Non che non abbia ragioni per farlo...

ALEX ZANOTELLI: L’ORO, IL TEMPO E IL VANGELO

“Leggiamo il Vangelo come se non utilizzassimo denaro, usiamo i soldi come se il Vangelo non esistesse”. Padre Alex Zanotelli ama citare questa frase di un teologo americano per chiedere ai cristiani del Nord del mondo di cambiare radicalmente stile di vita. Non che non abbia ragioni per farlo. A me, tuttavia, pare che la questione decisiva sia un’altra. E ha a che fare con il tempo, il più gelosamente custodito dei nostri tesori. Già la cultura popolare aveva identificato il tempo con l’oro, in senso nobile: la deriva economicista in atto lo ha associato banalmente al denaro (time is money). Non c’è bisogno di scomodare filosofi e teologi per ricordare che, più che il conto in banca, è il tempo, e più precisamente il modo e lo stile con il quale inanelliamo i giorni, a esprimere chi siamo e cosa per noi conta nella vita. La riprova? Dopo tanta retorica sul volontariato, basta pensare alla carenza preoccupante, anche nelle nostre parrocchie, di gente che regali tempo ed energie per svolgere ruoli decisivi quali catechisti o educatori. E se non mancano benefattori pronti a staccare un assegno per finanziare progetti, non stanno forse diventando una razza in via d’estinzione i giovani che dedicano parte del proprio tempo libero o delle vacanze a esperienze nel segno della gratuità e della condivisione? Niente prediche, per carità. Resta il fatto che i criteri secondo i quali parliamo, di volta in volta di tempo perso o guadagnato, per un cristiano non possono non avere a che fare con la fede. Per quanto suoni paradossale, richiami a un uso più saggio e consapevole del tempo vengono dalla cronaca. “Ritrovare il tempo” era il titolo della Fiera del libro di Torino: un imperativo laicissimo, dietro il quale traspare una nostalgia per le cose fondamentali della vita, che la frenesia quotidiana rischia di offuscare. È paradossale che sia la cultura laica ad avere un soprassalto del genere. A lungo hanno provato a farci credere che il tempo non fosse importante nei rapporti. È la qualità che conta, pontificavano gli esperti sui settimanali à la page, forse per non far sentire in colpa i troppi genitori in carriera che ai figli riservano ormai le briciole del week-end. Ora la clamorosa marcia indietro. Dunque, vivere il tempo in modo alternativo è oggi una via privilegiata per testimoniare la differenza cristiana. Una comunità capace di “sprecare tempo” nella preghiera (per il solo gusto di “stare con Gesù”), capace di educare giovani e adulti a regalare qualche ora la settimana per condurre i piccoli alla fede o per condividere le sofferenze dei più poveri, è un segno di contraddizione formidabile nella nostra società votata al profitto, che non sopporta i “tempi vuoti”. E non sa – impotente com’è davanti alle trasgressioni del sabato sera – educare a un tempo che sia davvero libero. Si dirà: perché di tutto questo si parla su una rivista missionaria? Perché quella del missionario è un’esistenza interamente votata al dono di sé. Non di una frazione, ma di tutta la vita, e di tutto il tempo che essa contiene. Pochi, come i missionari, sono (o dovrebbero essere) liberi dalla schiavitù dell’orologio: hanno scelto di “sprecare” la vita a servizio di coloro cui sono inviati. Non di rado senza conseguire quei benedetti-maledetti risultati che l’ansia da prestazione, insita nel Dna della cultura odierna, esige come necessari. Ebbene. Forse gli interessati non se ne rendono conto. Ma proprio dai missionari, la cui vita è ritmata più dagli imprevisti che dall’agenda, potrebbe venire qualche indicazione utile a un ripensamento dei ritmi quotidiani. Proprio loro, che conducono l’esistenza in posti privi dei comfort che andiamo cercando in vacanza, potrebbero parlare con cognizione di causa di ciò fonda l’autentica “qualità della vita”. Sapranno– è il caso di dirlo – cogliere l’attimo propizio? Sapranno, i missionari, contribuire a evangelizzare lo stile di vita dei cristiani, in un’Italia nella quale – come ha scritto don Mazzi all’indomani dello scandalo-doping al Giro – occorre riscoprire che “non siamo macchine fatte solo per lavorare o per vincere una gara sportiva”?