ANARCHICO E SOLITARIO, ECCO IL «PRETE SALVEGO» CHE AMAVA I MONTI

Il giorno di Ferragosto nella chiesa della frazione Ceredo di Sant’Anna d’Alfaedo, don Luigi Adami, suo fraterno amico, lo ha ricordato in una messa animata con i salmi cantati dal coro La Falìa di Velo nella versione poetica di padre David Maria Turoldo e accompagnati all’organo da Bepi De Marzi. Il Vangelo della visita di Maria alla cugina Elisabetta è lo spunto per don Luigi per parlare delle strade percorse in montagna da don Alberto, del suo camminare per incontrare gli altri, nonostante si definisse «prete salvègo», «selvatico» per i più, «tramite per arrivare al vero Dio» invece per chi ne capiva l’anima e lo spirito. È il succo anche del nuovo libro di Alessandro Anderloni «Il prete dei castagnari» (Edizioni La Grafica), presentato al termine della cerimonia religiosa dallo stesso autore e da Bepi de Marzi e che sarà oggetto di una nuova presentazione domani 19 alle 18 nel teatro parrocchiale di Velo. Il libro prende lo spunto dalla tesi con la quale lo scorso anno Anderloni si era laureato in Lettere e quel materiale è servito per una rielaborazione e un ripensamento lungo 350 pagine sulla vita e le opere di don Alberto. Il titolo è mutuato da una celebre frase del sacerdote: «Investi nel millennio. Pianta castagnari», un invito a considerare la vita un passaggio del quale dovremmo lasciare solo tracce positive per le generazioni future. «Ho accelerato l’uscita del volume dopo i drammatici e tristissimi fatti di Genova nell’ambito del G8», rivela Anderloni, «perché anche don Alberto, a 77 anni, fu perseguito e perquisito dalle forze dell’ordine su mandato di qualcuno “in alto”. Gli contestarono ricettazione e detenzione di armi da fuoco, a 77 anni, dopo una vita passata a studiare e amare la sua montagna, lui che anche durante la Resistenza non aveva neppure voluto tenere con sé la rivoltella che gli avevano offerto i partigiani ed esiste ancora la ricevuta della sua riconsegna in municipio. Non gli perdonarono mai il coraggio di dire la verità. Per questo fu etichettato e lasciato da una parte, anche dalle gerarchie della Chiesa di cui condannava le collusioni con il sistema capitalistico. Un sistema che aborriva perché regolato solo dalla logica del denaro», ricorda Anderloni. Di fronte alla violenza calcolata degli Stati e delle loro polizie, don Alberto sosteneva che ogni legge punitiva è ingiusta. Deprecava ogni forma di violenza, condannava le guerre, anche le cosiddette guerre umanitarie, inventate, volute e benedette per il solo guadagno dei capitalisti, quelli che chiamava «dinosauri del Quaternario», cioè dei nostri giorni. «Gridò contro le multinazionali, contro l’informazione controllata e censurata, contro la gestione del potere politico, che diventa la gestione della ricchezza di pochi e della povertà di molti. È quanto volevano dire in modo pacifico e nonviolento anche migliaia di persone che sono andate a Genova e sono state aggredite e picchiate. Abbiamo visto solo scene di violenza, non abbiamo sentito nessuno parlare del perché esistano le ingiustizie nel mondo, perché si continuino a produrre armi e ci sia la maggioranza della popolazione mondiale sempre più povera e depredata», aggiunge Anderloni. Il riferimento alla Lessinia è inevitabile, come lo è stato per don Alberto, ritiratosi sui monti di casa dove lo spirito anarchico poteva gridare la sua libertà: andando a caccia, costruendosi una casa con le sue mani (Isba la chiamava), avviando una cooperativa di lavoro, facendo anche il prete a modo suo. «Cosa direbbe di una Lessinia che subisce l’oltraggio di cave sconsiderate, aperte per arricchirsi ed esportare marmi altrove e non per servire a chi vive sul posto; di un Parco che, pur avendolo a suo tempo contestato, è oggi diventato rifugio e casa per quella selvaggina che a lui tanto piaceva, ma che è depredata con sistemi illeciti o uccisa da bocconi avvelenati?», si chiede Anderloni. Un preludio di Bepi De Marzi apre il volume ricordando i fatti di Genova, dove anche la Chiesa «che raramente mostra di opporsi all’arroganza della ricchezza, ha camminato nei cortei della nonviolenza, nel sorridente e disperato desiderio di giustizia e di pace: con le decine di associazioni cattoliche e cristiane c’erano anche suore, frati, preti, con l’appoggio dichiarato coraggiosamente da qualche raro prelato dissociato dall’opportunismo e dal servilismo vaticano. Cosa direbbe don Alberto se fosse ancora qui, seduto ai piedi di un solenne castagnaro?», si chiede De Marzi e risponde: «Forse sarebbe turbato come noi davanti a una Chiesa che accetta un vescovo mago e tormenta cristiani coraggiosi». «Don Benedetti non ha fatto miracoli, non ha distribuito benedizioni e nemmeno ha tuonato in sermoni celebrativi o dissertato sulla fame dei poveri e sui vuoti meccanismi della fede seduto nei salotti mondani; don Alberto, dal potere ecclesiastico, dalle curie, dalle gerarchie che non ha mai voluto riconoscere, è stato tenuto sotto osservazione come un malato inguaribile. Perciò non verrà beatificato, in questo tempo che elargisce riconoscimenti e carriere, terrene e celesti, come mai era accaduto prima», commenta il compositore vicentino. Il prete dal Seré non richiamava folle con il pretesto del miracolo o degli effetti speciali, non aveva la smania della testimonianza, era piuttosto un “prete salvègo”, di cui si può solo intuire il tormento e l’inquietudine del «silenzio di Dio”, il vuoto angosciante di “non aver mani che accarezzino il volto», come recita una poesia di Turoldo.

 


Il prete dei castagnari di Alessandro Anderloni. Preludio di Bepi De Marzi. Edizioni La Grafica  per informazioni sul libro: [email protected]    www.lefalie.cimbri.it