[«ARENA 1», 4 OTTOBRE 1986] CONTINUA L’INIZIATIVA PROMOSSA CON L’APPELLO «BEATI I COSTRUTTORI DI PACE»

[GrilloNews.it – 17.01.2024] Pubblichiamo un articolo apparso sul mensile «Azione nonviolenta» nel novembre del 1986, dopo la prima “arena di pace” («Arena 1») organizzata dal movimento Beati i Costruttori di Pace. In esso sono rinvenibili i profetici documenti approvati al termine dell’assemblea. Temi e problematiche in gran parte ancora attuali.

 

Immagine dell’articolo apparso sul mensile «Azione nonviolenta» nel novembre del 1986

[Mao Valpiana – Novembre 1986] Sabato 4 ottobre, festa di San Francesco, dodicimila persone hanno risposto all’Appello “Beati i costruttori di pace” e si sono incontrate all’Arena di Verona, per dare vita ad una particolarissima assemblea: non una tradizionale manifestazione per la pace, con marcia e slogans, ma una profonda riflessione e tante proposte sui temi della nonviolenza, della fame nel mondo, del disarmo, dell’educazione alla mondialità, dell’ecologia, dell’obiezione di coscienza, della pace.

I lettori di Azione Nonviolenta conoscono bene la storia dell’appello (vedi A.N. n.2 e n.3 del 1986) firmato da oltre 3.000 religiosi del Triveneto e divenuto famoso a causa della polemica scatenata dai quotidiani per la dichiarata “disponibilità” all’obiezione fiscale alle spese militari.
Nel maggio scorso l’appello – corredato dalle firme di adesione – è stato consegnato, tramite la Commissione Giustizia e Pace, alla Conferenza Episcopale del Triveneto. I Vescovi si sono impegnati ad intervenire con un proprio documento in occasione dell’incontro ecumenico di Assisi del 27 ottobre. Ma l’Appello “Beati i costruttori di pace” ha provocato altre simili iniziative in Piemonte, in Lombardia, in Emilia Romagna, in Puglia, dove laici e religiosi, insieme, si sono pubblicamente pronunciati.

I promotori dell’Appello non hanno voluto lasciar cadere tante aspettative e tanto fermento nato nella base. Nel mese di settembre in tutte le diocesi del Triveneto sono state convocate assemblee (non di dibattito, ma di ricerca e confronto su esperienze ed obiettivi) per formulare proposte operative, indicazioni di ricerca sulle sette tematiche contenute nel testo del documento.

Centinaia di persone, gruppi di base, parrocchie hanno partecipato a questi incontri di lavoro. Poi i portavoce si sono incontrati una domenica a Mestre per fare la sintesi di quanto emerso per ogni tematica. Il 4 ottobre, in Arena, sono stati riportati i risultati delle assemblee zonali. Per il loro particolare significato riportiamo integralmente i testi di questi documenti, che hanno tutti i pregi ed i limiti di un’elaborazione collettiva.

La lettura dei documenti è stata alternata da testimonianze che nulla hanno avuto a che fare con una passerella di personalità. L’ospite più atteso, Bayres Naudé, segretario del Consiglio delle Chiese del Sudafrica, non è potuto arrivare in Italia perché il governo di Pretoria gli ha negato il permesso di espatrio. Anche per questo, padre Alessandro Zanotelli, direttore di «Nigrizia», ha proposto per la prossima primavera, sempre all’Arena di Verona, un’assemblea di solidarietà con la lotta del Sudafrica.

Sono intervenuti due scienziati: Franz Alt ed Enrico Turrini, tedeschi, che hanno dichiarato la loro “non-collaborazione” con il progetto di scudo stellare, ed hanno rilanciato la proposta di un “Concilio” mondiale sulla pace che coinvolga tutte le Chiese e tutte le religioni, ed un “giubileo” per il debito dei Paesi del Terzo Mondo.

Era il giorno di San Francesco, e non poteva mancare un frate a portare la sua testimonianza di nonviolenza. Il cappuccino Giorgio Ramolo ha proposto l’obiezione di coscienza, in ogni sua forma, «per rompere il circolo vizioso della guerra», ed il disarmo unilaterale «come via di fiducia rischiosa per costruire la pace».

Vi è stata poi la testimonianza dall’America Latina di Carlo Castillio, teologo peruviano, che ha riproposto il messaggio di Oscar Romero ai soldati: «vi prego, vi ordino: non sparate più». L’Assemblea in Arena è stata anche un’occasione festosa per tanta gente di incontrarsi, di scambiare materiale, esperienze, di pensare e proporre nuove iniziative. È stata una manifestazione importante, di grande maturità; impensabile solo qualche anno fa. Davvero, senza retorica, tutti si sono sentiti protagonisti.

Non è stata la manifestazione di un nuovo movimento per la pace, hanno sottolineato i promotori, ma il segno tangibile che credenti e laici fanno parte dello stesso movimento, che cresce dal basso e vuole costruire la pace in prima persona, senza aspettare che siano i grandi della Terra a decidere di proclamarla.
All’Arena si sono registrati però anche degli assenti. Dai vertici della Chiesa, dai Vescovi, non è giunto, anche se atteso, nessun segnale. Si è preferito stare a guardare senza compromettersi; e intanto la base cammina, cresce, va avanti…

Pubblichiamo i documenti approvati, frutto della sintesi di diverse assemblee zonali.

EDUCAZIONE ALLA PACE E ALLA MONDIALITÀ (1)

Le assemblee sulla educazione alla Pace e alla Mondialità sono state le più numerose: segno di una forte esigenza, ma anche indicazione di una carenza di strumenti e mezzi sul piano operativo. L’argomento è di una vastità e complessità tali che ci è stato difficile sintetizzare i vari interventi. Abbiamo scelto di fornire una elencazione delle varie indicazioni attorno a tre nuclei principali: a) informazione; b) rapporto tra le culture diverse; c) metodologia per una educazione alla Pace.

C’è la consapevolezza della grande responsabilità degli educatori di fronte alla drammaticità della situazione storica che viviamo. La produzione delle armi, la violazione dei diritti dei singoli e dei popoli, come lo squilibrio economico Nord/Sud del mondo e la distruzione delle risorse naturali oggi ci interpellano. Chi infatti, se non le istituzioni educative, devono farsi carico dell’informazione sulla minaccia alla Pace nel mondo, dato che il problema della Pace coincide col problema della stessa sopravvivenza dell’Uomo sulla Terra?

Una particolare attenzione a richiesta riguarda perciò la informazione, primo gradino per prendere coscienza, per combattere l’indifferenza e il quieto vivere e per poter decidere.
L’evento di Chernobyl, nella sua novità assoluta, ha confermato, se ce n’era bisogno, che per poter decidere su grosse questioni tecnico-scientifiche e sulle scelte energetiche bisogna saperne di più.
Tutti lamentano la frammentarietà e la parzialità dell’informazione esistente e il fatto che il tema della Pace non sia ancora considerato centrale nelle istituzioni educative sia civili che ecclesiali. In particolare si chiede a queste ultime (nella predicazione, nella catechesi, nella animazione pastorale, nella stampa diocesana) una visione meno individuale e intimistica della realtà e più coraggio nell’individuazione delle cause strutturali dei fenomeni e del collegamento diretto tra la Pace e la Giustizia sociale.

Proporre la centralità di una cultura di Pace nelle istituzioni educative, sia civili che ecclesiali, dando il massimo dell’informazione, vuoi dire in concreto: organizzare corsi di aggiornamento sull’educazione alla Pace per insegnanti e catechisti; collegare la scuola alle organizzazioni e ai singoli che già svolgono una azione educativa in favore della Pace; istituire biblioteche, centri di documentazione, audiovisivi sui temi della Pace; raccogliere e diffondere unità didattiche già esistenti e produrne delle nuove; individuare all’interno dei programmi ministeriali gli spazi esistenti per un progetto di riconversione dei curriculi scolastici in vista dell’educazione alla Pace; controllare in modo critico e selettivo la scelta dei libri di testo.

Accanto all’informazione, appare fondamentale per fare dell’educazione alla Pace e alla Mondialità, rapportarsi con la diversità delle culture, attivare la pratica dello scambio. Ciò significa: suscitare l’attenzione per i “diversi” che fanno parte del nostro mondo; dare appoggio al servizio civile e al
volontariato internazionale; accogliere le testimonianze dirette del Terzo Mondo favorendo una “pendolarità” tra Nord e Sud del mondo che sia frutto di scelta non individuale, ma condivisa dalla comunità; favorire l’incontro tra Religioni diverse, tra credenti e non credenti sul tema della Pace.

Infine sembra essenziale chiarire alcuni aspetti metodo logici di un’educazione alla Pace, che possono essere così sintetizzati: educare alla Pace è educare alla politica, intesa come risoluzione collettiva dei problemi, nel superamento del proprio individualismo; mettere in relazione i due livelli della nostra possibilità d’intervento, che sono il micro e il macro livello, cioè saper vedere le connessioni tra il nostro quotidiano e le azioni internazionali; fare emergere nell’insegnamento la dimensione del “conflitto” (presente nei rapporti interpersonali come nella storia del nostro tempo), offrendo strumenti per soluzioni nonviolente e non distruttive, ed educando a scelte chiare e coraggiose; fare in modo che
l’educatore sia un soggetto alla pari con l’alunno nella ricerca per la Pace; unificare l’ora di religione e l’ora alternativa nella scuola trattando il tema dell’educazione alla Pace, alla Mondialità e ai valori etici universali ricomponendo così la frattura creatasi fra gli studenti con il ben noto provvedimento ministeriale.

FAME – LIBERAZIONE – SVILUPPO (2)

Non ci può essere Pace nel mondo finché non verrà risolto il problema della fame e non ci sarà liberazione e sviluppo per tutti. Già Paolo VI nella Popolarum Progressio diceva che «lo sviluppo è il nome nuovo della Pace». Queste sono le nostre proposte:

1) Sui problemi della Fame, Liberazione e Sviluppo esiste disinformazione sulla loro reale portata, e distorsione sulla interpretazione delle cause e meccanismi che generano queste situazioni. Pertanto è necessario che da parte dei singoli ci sia uno sforzo per entrare in contatto diretto con queste realtà in modo da avere un’informazione continuativa e senza intermediari.
Invitiamo ad acquistare la stampa, religiosa e laica, che dà maggiormente spazio a queste tematiche, rifiutando quella che tace o distorce l’informazione.
Si creino strumenti d’informazione popolare (ciclostilati, giornalini, ecc.) e, per chi ne ha la capacità e possibilità, di inserirsi nei mezzi d’informazione di diffusione più ampia.
Auspichiamo che la numerosa stampa missionaria già esistente concentri maggiormente l’attenzione su queste tematiche, intensificando la pratica degli appelli ed editoriali comuni.

2) Pensiamo che niente possa sostituire l’esperienza diretta per acquisire una conoscenza più corretta dei problemi e per uno scambio reciproco di valori sui quali fondare una nuova qualità di vita. A questo fine suggeriamo di: potenziare maggiormente il volontariato internazionale; di impegnarsi in microrealizzazioni e nella partecipazione a campi di lavoro nei Paesi del “Terzo Mondo”; di instaurare contatti diretti con movimenti popolari di liberazione (favorendo le soluzioni nonviolente) e di valorizzare la presenza dei terzomondiali nel nostro Paese.

3) Pensiamo che la realtà dei terzomondiali in Italia è grave sia per il loro numero, sia per le loro condizioni di vita.
Diventa così importante elaborare forme concrete di solidarietà come l’accoglimento ed il sostegno materiale e un interessamento e impegno costante perché venga cambiata la repressiva legislazione vigente, soprattutto nei confronti di coloro che vengono per cercare lavoro. In particolare proponiamo di impegnarci perché vengano tolti i limiti geografici che impediscono l’ottenimento dello status di “rifugiato politico”.

4) Siamo convinti che tutti questi problemi devono “toccare” anche la vita personale perché una delle cause della disuguaglianza a livello mondiale è costituita dal nostro tenore di vita improntato al consumismo. Per questo è necessario fare una vera e propria obiezione di coscienza alla ricchezza e allo spreco, non solo da parte dei singoli, ma anche come testimonianza di gruppi e di comunità per una maggiore efficacia nel superamento della nostra società consumistica.

5) La soluzione di questi gravi problemi non si raggiunge se da una presa di coscienza personale non si passa ad una azione politica. Per questo chiediamo che ognuno promuova e sostenga il coinvolgimento dei politici in questi problemi, ed eserciti un maggior controllo su di essi, a tutti i livelli, mediante incontri, sollecitazioni (anche epistolari), pressioni (anche mediante l’obiezione elettorale), soprattutto per guanto riguarda il loro operato in politica internazionale.
È anche necessario sostenere gli Organismi Non Governativi rappresentativi di interessi mondiali e popolari (Amnesty International, Caritas, ecc.) per superare le strette ottiche nazionalistiche degli Stati nella soluzione dei problemi internazionali.

6) È necessario prendere in considerazione e concentrare gli sforzi su alcuni problemi che richiedono un particolare impegno politico, come il debito estero dei Paesi poveri o situazioni locali violente esistenti in varie parti del Sud del mondo.
Sul problema del debito segnaliamo la proposta ecumenica, lanciata per l’Italia da Pax Christi e le riviste missionarie, di un giubileo che inizi dalla sospensione, per un anno, dal pagamento degli interessi sui debiti dei Paesi del “Terzo Mondo”.

7) Il complesso problema del sottosviluppo richiede soluzioni tecniche oltre che politiche, frutto di una sistematica ricerca scientifica; venga privilegiato perciò un particolare interessamento di tutti affinché gli istituti di ricerca (facoltà universitarie, scuole superiori, équipes di studio), esistenti sul territorio, siano sempre più coinvolte in queste problematiche.

RAPPORTO CON I MOVIMENTI PER LA PACE (3)

I partecipanti alle assemblee del rapporto con i movimenti per la Pace provenivano da matrici diverse. Da tutti è emerso con forza che il problema della Pace va a toccare in profondità la coscienza, per cui è uno specifico di ogni persona. Spesso negli incontri ci si etichetta, anche se, con rispetto, come “credenti” o “non credenti”. È stata respinta questa concezione perché rimane una distinzione ideologica senza andare a toccare la verifica storica.

Beato è chiunque opera per la Pace. Il movimento per la Pace è un referente storico non in base ai riconoscimenti ufficiali, ma quando riesce a provocare tutte le istituzioni, Chiesa compresa. Non ha bisogno nè di essere demonizzato nè benedetto, ma accolto e valorizzato. Da tutti i cattolici presenti nelle assemblee è stato messo in evidenza che il movimento per la Pace offre due grandi possibilità, che costituiscono allo stesso tempo due grossi problemi.

Il primo è l’ecumenismo. Gli obiettivi della Pace riguardano le urgenze valide per tutti gli uomini e quindi non possono essere perseguiti in vista o in nome di settori di parte. Non possiamo più distinguerci tra “credenti” e “non credenti” per cose che sono necessarie per tutti. Molto spesso invece prevale il concetto di “nemico”, con l’idea sacralizzata della guerra in nome della difesa della patria; ciò non per motivi evangelici, ma politici e per mantenere i propri privilegi e sicurezze.
Anche il linguaggio rivela un atteggiamento: non parliamo più di “noi” e gli “altri”, di “vicini” e di “lontani”: se veramente ci riferiamo a Cristo dovremmo parlare solo di “fratelli”.

Nelle assemblee è emerso anche un certo rimprovero al mondo cattolico per la sua impermeabilità e diffidenza nei confronti del movimento per la Pace. In particolare è stato fatto notare come non sono giustificabili alcuni giudizi sulle strumentalizzazioni e sulla violenza del movimento per la Pace, che invece in questi cinque anni ha dimostrato di praticare la nonviolenza.

Il secondo invece è l’ateismo: non possiamo ancora rimanere all’interno della condanna dell’ateismo teorico solo per giustificare la scelta politica del mondo occidentale, ma verificare quali sono le forme storiche dell’ateismo. Se peccato è ciò che ha provocato la morte del Figlio di Dio, il peccato mortale oggi è ciò che procura la morte dei figli di Dio.

Rimane comunque lo sforzo e la ricerca reciproca di superare le difficoltà legate alla diversità della cultura laica e di quella cattolica. Perciò i principali obiettivi proposti dalle assemblee sono: la prima, di maggiore coordinamento concreto fra tutte le realtà che si muovono sul problema della Pace, sia dentro che fuori dalla Chiesa; la seconda consiste nel provocare le istituzioni pubbliche affinché sostengano e offrano spazio a tutte le iniziative che riguardano le tematiche della Pace; essa infatti è uno dei principi della nostra Costituzione. Questi spazi inoltre costituirebbero un terreno neutrale in cui sarebbe possibile un dialogo paritario, libero da diffidenze e paure di strumentalizzazioni tra tutte le forze che nella società operano per la Pace.

DISARMO (4)

Ci troviamo di fatto dentro ad una vertiginosa corsa al riarmo. Le cosiddette “guerre stellari” ne rappresentano l’ultimo terribile passo. Il riarmo pone quattro particolari problemi:

1) mantiene un sistema fondato sulla violenza e la guerra, giustificando la produzione e il possesso di un’arma assoluta con il pregiudizio di un nemico assoluto che sta a giustificare una sistematica demonizzazione dell’avversario;

2) crea sempre più grave dipendenza economica e politica dei Paesi del “Terzo Mondo”, provocando direttamente la crescita della miseria;

3) costituisce di fatto una minaccia diretta alla democrazia perché, sulle scelte politiche ed economiche relative al militare e riguardanti la vita e la morte di Paesi e popoli interi, si sottrae il diritto costituzionale di controllo e di partecipazione parlamentare e popolare. È la storia dell’installazione dei missili, della partecipazione alle “guerre stellari”, della produzione, traffico clandestino e commercio delle armi;

4) porta al formarsi del nuovo connubio tra l’industria statale e quella privata per la produzione bellica che comporta ammodernamento di tecnologie e forte decentramento del lavoro fino a coinvolgere anche il piccolo imprenditore artigiano, mantenendo nelle mani di poche persone il controllo e l’assemblaggio dei prodotti di morte attraverso le grandi aziende.
La corsa agli armamenti inoltre ha sconvolto il senso e la struttura dell’attuale sistema di difesa. Sta qui la radice del profondo malessere tragicamente emerso in questi giorni nell’esercito. Morire di naja non è solo una questione individuale, ma strutturale. Se si vuole seriamente camminare verso il disarmo, condizione primaria per la Pace, sono indispensabili:

  • la valorizzazione di ogni atto comunitario che allarghi la coscienza popolare e spinga le forze sociali e politiche ad una reale denuclearizzazione del territorio;
  • una corretta e qualificata informazione su tutte le realtà attinenti al militare, anche all’interno delle comunità cristiane catechesi, centri pastorali e missionari diocesani, ora di religione). È stato chiesto esplicitamente che vengano rese pubbliche le indicazioni della Pontificia Accademia delle Scienze riguardo all’SDI;
  • coinvolgimento delle forze politiche, sindacali e sociali anche su questi precisi obiettivi: 1) no all’SDI; 2) no al nucleare militare e civile, ponendo seriamente il problema del risparmio energetico e delle energie alternative; 3) operare per una urgente riconversione industriale dal bellico al civile;
  • sono indispensabili inoltre lo smantellamento nella coscienza popolare, oltre che istituzionale, del concetto che la unica difesa possibile sia quella armata;
  • si favoriscano progetti e graduale introduzione di sistemi di difesa popolare nonviolenta, cominciando con la smilitarizzazione di alcuni corpi professionali dello Stato come per esempio, le Guardie Forestali, i Vigili del Fuoco, la Protezione Civile. Si apra maggiormente al sociale coinvolgendo più seriamente anche il volontariato;
  • far pressione perché l’Italia, Paese di particolare valore strategico tra Est ed Ovest, ponga gesti politici anche unilaterali di disarmo e diventi reale ponte di collegamento tra Nord e Sud.

OBIEZIONI DI COSCIENZA (5)

Anche in un regime democratico, di fronte a scelte della maggioranza che contrastano gravemente con i valori della propria coscienza e appaiono compromettere in modo irreversibile il bene dell’intera umanità, riteniamo legittima, come pratica di opposizione nonviolenta, l’obiezione di coscienza e la non-collaborazione.

La prima e più logica forma di obiezione in democrazia è quella elettorale, che non significa astensione dal voto, ma mira a cambiare le scelte governative mediante l’elezione di persone impegnate concretamente per la Pace. In questo modo il voto non diventa più una delega in bianco ai politici, ma comporta una costante verifica del loro operato. Si propone perciò una scelta dei candidati non più su basi esclusivamente ideologiche, ma sul loro impegno concreto sulle problematiche della Pace.
Di fronte all’urgenza e alla gravità dei problemi e alla lentezza dell’iter parlamentare, alla coscienza del singolo possono apparire necessarie altre forme di obiezione come annuncio profetico della Pace.

Segnaliamo:

1) l’obiezione di coscienza al servizio militare, legalmente riconosciuta, vede oggi l’ostruzionismo costante nell’applicazione della legge vigente da parte del Ministero della Difesa che prolunga enormemente i tempi del riconoscimento e dell’assegnazione, destinando gli obiettori a centri per i quali non hanno competenza specifica. È importante che in tempi brevi venga varata una nuova legge che tolga l’assurdità del “vaglio della coscienza”, la penalizzazione dei tempi di assegnazione e di servizio, ripristini i rapporti diretti tra gli obiettori e i centri di destinazione. Si fa appello alle comunità cristiane perché ci sia un impegno di sensibilizzazione affinché i giovani si orientino preferibilmente verso il servizio civile e ci si adoperi perché esso sia sempre più qualificato e responsabile, mediante corsi di formazione. Venga estesa la pratica, da parte delle Amministrazioni Comunali, di inviare contemporaneamente alla “cartolina precetto” anche una adeguata informazione sulla possibilità del servizio civile. Nei confronti dei militari ci sia da parte delle comunità cristiane e civili capacità di accoglienza, stimolo ed interesse affinché essi vivano i valori della Pace anche con il rifiuto di prestarsi all’uso delle armi di sterminio;

2) si richiamano le coscienze ad essere portatrici dell’annuncio profetico della Pace anche attraverso la disponibilità all’obiezione fiscale che non è evasione, ma uno stimolo alla ricerca di una difesa di tipo nonviolento da concretizzarsi con opportuni interventi legislativi;

3) obiezione di coscienza alla produzione delle armi. Si fa appello alla comunità perché esprimano solidarietà nei confronti degli operai obiettori, anche attraverso la costituzione di comitati d’appoggio. Con l’impegno personale e comunitario, si stimolino le organizzazioni sindacali ad un impegno incisivo in relazione alla riconversione delle industrie belliche esistenti nel proprio territorio;

4) obiezione bancaria: invitiamo i risparmiatori a non investire in banche e società coinvolte con notevoli capitali in progetti militari o in operazioni di sostegno a regimi che ledono gravemente i diritti umani come il Sudafrica.

NONVIOLENZA (6)

La nonviolenza costituisce il cuore del problema della Pace, perché ne mette in luce le radici e i meccanismi più profondi.
Quando parliamo di violenza non intendiamo solo quella della guerra, ma anche quella presente in molti aspetti della vita personale, sociale ed economica. La violenza della guerra è soltanto l’espressione ultima di un modo violento di impostare il rapporto tra gli uomini. La pratica della nonviolenza si estende per questo a tutti i settori e livelli della vita umana. La nonviolenza però non significa passività, paura, non azione, vigliaccheria… Ma atteggiamento attivo e forte nei confronti della violenza, smascherandone e denunciandone i meccanismi, preferendo di accettare su di sè le conseguenze della violenza e superarla positivamente. Implica anche una scelta globale di vita improntata alla povertà, semplicità, lealtà nei rapporti, rispetto dei diritti umani e amore che non esclude nessuno, nemmeno il nemico.

Siamo convinti che la concezione nonviolenta della vita, che ha trovato in Gandhi il suo principale interprete in epoca contemporanea, è in perfetta sintonia anche con il messaggio cristiano. I cristiani perciò dovrebbero assumere la nonviolenza come scelta profetica diventandone attivi promotori.

Queste le nostre proposte:

1) constatiamo che la non violenza non è conosciuta in modo adeguato e su di essa ci sono molti pregiudizi; di conseguenza la prima cosa da fare è una capillare informazione attraverso tutti i mezzi d’informazione;

2) proponiamo che nella scuola la nonviolenza sia introdotta come metodo educativo privilegiato, perché fa leva in primo luogo sull’autoeducazione, mettendo in luce gli aspetti, positivi delle relazioni umane e valorizza le culture e le tradizioni locali;

3) la nonviolenza deve diventare il metro con cui giudicare la logica violenta delle strutture della società (carcere, ospedali psichiatrici, caserme, case per anziani) ed il valore su cui costruire il progetto politico di una società diversa;

4) ci si impegni con tutti i mezzi possibili affinché lo Stato italiano riconosca e organizzi una Difesa Popolare Nonviolenta in alternativa alla difesa armata;

5) proponiamo di preparare progetti concreti di studio e di ricerca sulla Pace e la Non violenza da presentare alla Regione Veneto nell’ambito della legge regionale sulla Pace.

QUALITÀ DELLA VITA (7)

La Pace non è soltanto assenza di guerra e superamento della Fame, ma è anche armonia. Armonia tra diversi, armonia con l’ambiente e la natura. Qualità della vita è pienezza di vita. La vita è minacciata oggi non soltanto dalle guerre e dalla Fame, ma anche dagli inquinamenti. Vogliamo un mondo dove tutti possano vivere in Pace: i bambini di oggi, nel Nord e nel Sud; e le generazioni del futuro dell’Est e dell’Ovest.

Vogliamo poter cantare sempre e tutti, come Francesco, a “Frate Vento” e “Sor Acqua”, senza la paura di essere contaminati da venti radioattivi o avvelenati da acque amare. Vogliamo che i credenti possano sempre dire «Laudato sii, mi Signore, con tutte le tue creature».

Per questo proponiamo:

1) Un particolare impegno di tutti nel campo dell’informazione. La ricerca scientifica e il progresso tecnico, oggi nel mondo, hanno come scopo, prioritario, non la qualità della vita, ma la superiorità in campo economico e militare (la volontà, cioè, di essere più competitivi in economia e più forti negli armamenti). Si trascurano così le elementari norme di sicurezza, non si studiano gli effetti collaterali delle nuove tecnologie, non si prendono le dovute precauzioni perché il progresso tecnico non diventi un regresso ecologico e una minaccia costante alla vita; ma soprattutto, in nome di un egoistico profitto e di una assurda “sicurezza nazionale”, non si fa una corretta informazione sui pericoli che ci minacciano. C’è voluto Chernobyl per aprirci gli occhi!!! Ora non li vogliamo chiudere. Vogliamo vederci chiaro, per prendere ognuno, e tutti insieme, le nostre responsabilità, a nome anche delle generazioni future.

Concretamente: abbonarsi a riviste serie e specializzate che trattano questi problemi, e divulgarle; interessarci perché anche nelle scuole e nelle parrocchie entrino queste tematiche; proporre alle biblioteche comunali l’acquisto di libri e riviste di ecologia; promuovere conferenze, dibattiti, gruppi di studio e di ricerca sui temi ambientali ed ecologici, in particolare su quelli che riguardano il proprio territorio; già nella fase informativa si cerchi di collegare sempre i nostri problemi ambientali con i problemi della Pace e del sottosviluppo.

2) Dall’informazione all’educazione: è necessario fin da piccoli educarci al rispetto dell’ambiente, degli animali, delle piante, all’austerità e ad un uso essenziale delle cose senza sprechi, inquinamenti, riciclando il più possibile ciò che altrimenti sarebbe sprecato. È un modo nuovo di amare i fratelli più piccoli, quelli che un giorno abiteranno la nostra stessa terra.

Adoperiamoci perché nella catechesi entrino queste tematiche e perché in occasione di battesimi, prime comunioni, cresime e matrimoni si faccia festa non dando sfoggio di superiorità economica (con lussi, sprechi e grandiosità), ma condividendo la gioia con i più poveri ed infelici. Auspichiamo la costituzione in ogni diocesi della Commissione Giustizia e Pace.

3) Dall’educazione all’azione: l’azione più immediata, e possibile a tutti, è la testimonianza personale e di gruppo. Testimonianza di un modello alternativo di vita e di sviluppo, dove prioritaria non è più la volontà di supremazia sugli altri e il gusto di possedere, usare ed abusare delle cose, ma piuttosto la gioia di condividere con gli altri, perché tutti si possa crescere e vivere insieme comunicando i reciproci valori. E la proposta di una vita più austera come cammino per poter incidere dal basso all’attuale sistema di produzione e distribuzione dei beni improntata all’egoismo e alla legge del più forte.

Gli stessi cambiamenti nello stile e tenore di vita che, dal Sud del mondo, i poveri ci chiedono perché ci sia pane per tutti, ci chiedono anche le generazioni future, perché l’acqua si possa sempre bere e l’aria respirare senza paura di inquinarci la gioia di vivere.

Ormai l’azione è una sola: quella per la sopravvivenza dell’intera famiglia umana. Dobbiamo camminare insieme: ecologisti, pacifisti, terzomondisti, movimenti per la difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale; dobbiamo prendere contatti con quanti nel territorio si interessano a questi problemi e si organizzano, e dobbiamo estendere i collegamenti e l’organizzazione anche al di fuori dei confini nazionali, perché la meta è una sola: la vita per tutti.

Non è la fondazione di un nuovo movimento, ma l’impegno a potenziare tutti quelli che già esistono, nel rispetto della loro specificità; superando però i settorismi, gli antagonismi, il frammentario inconcludente e le divisioni ideologiche. Avremo vinto tutti se saremo riusciti a salvare la vita sulla Terra; in caso contrario, rimarrà sconfitta l’umanità intera e tutte le sue ideologie o concezioni di vita. La priorità non può più essere un “anti” (anticapitalismo, anticomunismo), ma un “per”: per la vita di tutti, fin dal concepimento, a cominciare dai più minacciati di estinzione.

Questa mentalità nuova vogliamo portare in tutte le istituzioni; da quelle religiose e politiche; da quelle locali a quelle nazionali. Soprattutto negli istituti di ricerca, università, perché le nuove tecnologie siano veramente un progresso per la vita di tutti e non una ulteriore minaccia di morte.

Qui bisogna insistere per l’obiezione di coscienza alla ricerca scientifica di morte. Senza violenze e prepotenze, vogliamo approfittare di tutti gli spazi che si aprono: nei consigli pastorali, nei comitati di quartiere, nei partiti e nelle giunte, fino al Parlamento e alle assisi internazionali. Non è una ulteriore e logora scalata al potere, ma un uso più responsabile del proprio diritto di voto, un controllo popolare sui poteri e sulle politiche, perché non prevalgano in essi le logiche di supremazia e di spartizione o le miopi ottiche nazionalistiche (che ormai sono ottiche di morte) ma siano sempre più vigenti quelle della vita, e della vita per tutti.