[di Sergio Paronetto • 29.03.02] Cari amici, le polemiche relative alle manifestazioni antigovernative di questi giorni, prima e dopo l'orrendo assassinio di Marco Biagi, interpellano gli operatori di pace. Mi tornano alla mente le parole di don Lorenzo Milani ("Lettera ai giudici", 1965) a proposito dei sindacati italiani:  "le uniche organizzazioni che applicano su larga scala le tecniche non-violente". 

ASSASSINIO BIAGI, LOTTE SOCIALI E NONVIOLENZA

Per lui la non violenza è  “tecnica dell’amore costruttivo per la legge”.  Le leggi degli uomini, egli osservava, vanno onorate se sono  “la forza del debole”. Altrimenti, bisogna “avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene fare scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, e che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”. E’ inevitabile, oggi, per un cittadino attivo sentirsi responsabile nei confronti di questioni come la giustizia uguale per tutti, l’indipendenza della magistratura, la libertà dell’informazione, il pluralismo della Rai-Tv, l’accumulo-conflitto di interessi, il lavoro, l’immigrazione, la qualità della convivenza civile. I vescovi, ultimamente, sono intervenuti per la revisione della legge Bossi-Fini riguardante l’immigrazione, per la difesa sia della legge 185 sul commercio delle armi, per il rispetto del famoso articolo 18 dello  Statuto dei lavoratori. Il vescovo di Locri-Gerace, G. Carlo Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, ha preso posizione contro le decisioni del governo sull’articolo 18: “si sta cercando lo scontro con i sindacati; è un provvedimento che procura grande amarezza perché schiaccia e uccide le persone, non gioverà ai sindacati, ai lavoratori, al Sud ma nemmeno al mondo imprenditoriale” (“Il Sole 24 ore 16.03.02). Anche lui, già prete operaio a Verona negli anni Sessanta, diffonde l’odio sociale? Evocare il conflitto politico e sociale in corso come causa del delitto Biagi significa rovesciare la realtà.  Significativa, a mio parere, l’osservazione di Umberto Eco: l’assassinio sembra fatto “per impedire il disaccordo” (“La Repubblica” 21.3.2002). Cioè per bloccare lo sviluppo democratico. I conflitti (politici, sociali, ideali), infatti, appartengono all’esercizio della democrazia. La loro gestione positiva disegna il campo operativo della  nonviolenza come forza che trasforma i conflitti in momento di crescita democratica per tutti. La mobilitazione civile costituisce il miglior antidoto alla violenza. La lotta nonviolenta non si arrende alla facile e ignobile identificazione tra lotta sociale e odio. Intende espandere la lotta democratica proprio per vincere la violenza. Opera perché il conflitto sociale non si traduca in odio e non venga  distrutto dalla violenza: quella strutturale pervasiva  (spesso nascosta),  quella diretta, immediata (visibile). I  teorici dell’odio sociale come causa del terrorismo esprimono una  logica politica analoga a quella dei terroristi. Dire che un clima sociale “antagonista” arma la mano dei terroristi significa accreditare il terrorismo come interlocutore sociale. Ritenerlo omogeneo al conflitto. Regalare la dinamica sociale ai violenti. Quindi, quindi svilire la democrazia. Ricattare i cittadini. Umiliarne la dignità. Indebolire ulteriormente i più deboli. La tendenza a identificare la protesta con la violenza contiene un’ideologia di violenza perché spinge a tacere. A stare fermi. Espropria i cittadini della libertà di parola e della possibilità di agire. Intende la pacificazione sociale come resa al più forte o appiattimento su chi comanda. Anche la polemica sui toni più o meno accesi del confronto può essere fuorviante. Fa pensare alla favola del lupo e dell’agnello. Tutti possono esagerare. Ma in merito alle accuse rivolte ai “girotondisti”, ai “giustizialisti” o ai sindacalisti, occorre ricordare le frasi governative sulla “guerra civile” o sul “complotto comunista” della magistratura, sul “non faremo prigionieri”, sul “repulisti” alla Rai-Tv,  sulla violenza dei “pacifisti” a Genova, sulla disponibilità a sparare contro di loro (espressione poi ritirata perché “imprudente” dal Ministro dell’Interno), sulla giustizia identificata con la logica di impunità e di privilegio presente in molte leggi varate a gran velocità nelle prime settimane di governo, sulla necessità di convivere con la mafia, sul tricolore come carta igienica, sull’Europa bolscevica, sulle “orde” degli immigrati invasori e distruttori della nostra identità e altro. In ogni caso, è bene ricordare che, al di là di rarissimi casi (le classiche eccezioni che confermano la regola), la violenza politica e sociale è sempre “reazionaria”. Primo, perché uccide, annullando la radice dei diritti umani. Secondo, perché diffonde ulteriore violenza e degrada il clima umano della convivenza. Terzo, perché umilia chi lotta da sempre nella democrazia e per la democrazia. Quarto, perché chiude gli spazi di azione, militarizza la società. Quinto, perché regala ai potenti (spesso violenti) l’occasione per accreditarsi come pacificatori e presentarsi come salvatori. Sesto, perché favorisce l’instaurarsi di un regime autoritario, destabilizza per stabilizzare i centri di comando o le “oligarchie dei custodi”. La storia italiana, purtroppo, è un laboratorio di azioni violente manipolate o assecondate da “zone oscure” dell’apparato statale piegato a logiche di parte. La bibliografia sui “poteri occulti” (violenti) è ampia. Ricordo, tra tutti, la Relazione Anselmi sulla Loggia massonica P2,  gli Annali dell’editrice Einaudi (n.12, a cura di Luciano Violante) sulla criminalità in Italia, il libro “Il vizio delle memoria” di Gherardo Colombo. Un recente convegno del Centro Studi di Pax Christi sui “diritti minacciati” e la rivista “Mosaico di pace” hanno ultimamente messo in evidenza la coincidenza tra il Piano di Rinascita di Licio Gelli e i programmi del governo Berlusconi. La nonviolenza è realista, abita i conflitti, intende prevenirli e superarli con l’etica della responsabilità. E’ forza di verità e impegno per la giustizia. E’ “potenza dell’ amore” che trasforma e libera, direbbe M.Luther King.  Per il futuro della democrazia il suo monito – “o nonviolenza o non esistenza”-  diventa prioritario e decisivo.