[di John Pilger, The New Statesman • 17.03.04] Un mito simile alla favola delle armi di distruzione di massa dell'Iraq guadagna forza su entrambe le sponde dell'Atlantico. E' quello secondo il quale John Kerry offre una diversa visione del mondo da quella di George W Bush. Osservate crescere questa grande menzogna mentre Kerry viene incoronato come il candidato democratico ed il movimento "chiunque fuorché Bush" diventa una celebrata causa liberal...

BUSH O KERRY? SE GUARDATE ATTENTAMENTE IL PERICOLO E’ LO STESSO

Un mito simile alla favola delle armi di distruzione di massa dell’Iraq guadagna forza su entrambe le sponde dell’Atlantico. E’ quello secondo il quale John Kerry offre una diversa visione del mondo da quella di George W Bush. Osservate crescere questa grande menzogna mentre Kerry viene incoronato come il candidato democratico ed il movimento “chiunque fuorché Bush” diventa una celebrata causa liberal.

Mentre l’ascesa al potere della banda Bush, i neoconservatori, ha preoccupato in ritardo i media americani, il messaggio dei loro equivalenti nel Partito Democratico è stato di scarso interesse. Ma le somiglianze sono irresistibili. Poco prima dell'”elezione” di Bush nel 2000, il Project for the New American Century, il gruppo di pressione neoconservatore, ha pubblicato un programma ideologico per “mantenere la preminenza globale degli USA, precludendo l’ascesa di una grande potenza rivale e conformare l’ordine della sicurezza internazionale in linea con i principi e gli interessi americani”. Tutte le sue raccomandazioni per l’aggressione e la conquista  sono state adottate dall’amministrazione.

Un anno più tardi, il Progressive Policy Institute, un braccio del Consiglio Direttivo Democratico, ha pubblicato un manifesto di 19 pagine per i “Nuovi Democratici”, che comprendono tutti i principali candidati del Partito Democratico e specialmente John Kerry. Questo evocava “il coraggioso esercizio della potenza americana” al cuore di “una nuova strategia democratica, basata sulla tradizione del partito di vigoroso internazionalismo”. Una simile strategia “manterrebbe l’America più sicura che con la politica del fai da solo dei repubblicani”, che si è alienata i nostri alleati naturali e sovraccaricato le nostre risorse. Noi miriamo a ricostruire le fondamenta morali della leadership globale degli USA…”.

Quale è  la differenza con il vanaglorioso sproloquio di Bush? Esclusi gli eufemismi, non ve ne è nessuno. Tutti i candidati presidenziali democratici sostengono l’invasione dell’Iraq, eccetto uno: Howard Dean. Kerry non soltanto ha votato per l’invasione, ma ha espresso il suo disappunto che non sia andata secondo i piani. Ha detto alla rivista Rolling Stone: “Mi aspettavo che George Bush rovinasse tutto così malamente? Penso che nessuno se lo aspettasse”. Né Kerry né nessuno degli altri candidati ha chiesto la fine della sanguinosa ed illegale occupazione; al contrario, tutti hanno chiesto più truppe per l’Iraq. Kerry ha chiesto altri “40.000 militari in servizio attivo”. Ha sostenuto il continuo sanguinoso attacco di Bush all’Afghanistan ed i piani dell’amministrazione per “restituire l’America Latina alla leadership americana” sovvertendo la democrazia in Venezuela.

Soprattutto, egli non ha in alcun modo messo in discussione la nozione della supremazia militare americana nel mondo che ha portato a più di 750 il numero delle basi USA. Nemmeno ha alluso al colpo di stato del Pentagono a Washington ed al suo obiettivo dichiarato di “completo dominio dello spettro”. Per quanto riguarda la politica “preventiva” di attaccare altri paesi di Bush, anche essa è ottima. Persino il più liberal del gruppo democratico, Howard Dean, ha detto che era preparato ad usare “le nostre coraggiose ed eccezionali forze armate” contro ogni “minaccia imminente”. Questo è quello che ha detto lo stesso Bush.

Quello a cui i Nuovi Democratici sono contrari è la schiettezza della banda di Bush, la sua cruda onestà se preferite, nel dichiarare apertamente i suoi piani e non dietro l’usuale velo o nell’usuale specioso codice del liberalismo imperiale e della sua “autorità morale”. I Nuovi Democratici del tipo di Kerry sono tutti per l’impero americano; comprensibilmente essi preferirebbero che quelle parole rimanessero taciute. “Internazionalismo progressista” è molto più accettabile.

Come i piani della banda Bush furono scritti dai neoconservatori, così John Kerry, nel libro della sua campagna, “A Call to Service”, copia quasi parola per parola il manifesto guerrafondaio dei Nuovi Democratici. “E’ giunto il momento”, scrive, “di rivivere una audace visione di internazionalismo progressista” assieme ad una “tradizione” che onora “la decisa strategia di impegno e leadership internazionale forgiata da Wilson e Roosevelt… e difesa da Truman e Kennedy nella guerra fredda”. Riflessioni quasi identiche appaiono a pagina tre del manifesto dei Nuovi Democratici.

Come Democratici siamo fieri della tradizione del nostro partito di deciso internazionalismo e forte primato nel difendere l’America. I presidenti Woodrow Wilson, Franklin D Roosevelt e Harry Truman hanno guidato gli Stati Uniti alla vittoria in due guerre mondiali… Nella guerra fredda alla fine trionfarono le politiche di Truman. Il presidente Kennedy sintetizzò l’impegno dell’America nella “sopravvivenza ed affermazione della libertà”.

Prendete nota delle menzogne storiche in quella dichiarazione: la “vittoria” degli USA con il suo breve intervento nella Prima Guerra Mondiale; l’eliminazione del ruolo decisivo dell’Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale; l’inesistente “trionfo” dell’elite americana sui fatti avviati internamente che fecero cadere l’Unione Sovietica e la famosa devozione di John F Kennedy alla “libertà” che sovrintese alla morte di circa tre milioni di persone in Indocina.

“Forse la sezione più ripugnante di questo libro”, scrive Mark Hand, direttore di Press Action, il gruppo americano di monitoraggio dei media, “è quella dove Kerry discute della guerra del Vietnam e del movimento contro la guerra”. Auto proclamatosi eroe di guerra, Kerry aderì per breve tempo al movimento di protesta al suo ritorno dal Vietnam. In questa doppia veste, egli scrive: “Dico alle errate interpretazioni di quella guerra sia dei conservatori che dei liberal che è tempo di passarci sopra e riconoscerla come un’eccezione, non come un corretto esempio dell’impegno militare degli USA del 20° secolo”.

“In un solo passaggio”, scrive Hand, “Kerry cerca di giustificare i milioni di persone massacrate dai militari USA e dai loro surrogati durante il 20° secolo e suggerisce che non è più necessario l’interesse per i crimini di guerra degli USA in Vietnam… Kerry ed i suoi colleghi nel movimento ‘internazionalista progressista’ sono tanto guerrafondai quanto le loro controparti della Casa Bianca… Arriva novembre, chi avrà il vostro voto? Coca Cola o Pepsi?”

Il movimento “chiunque fuorché Bush” si oppone all’analogia Coca-Pepsi e l’attuale causa della loro ira è Ralph Nader. Sette anni fa in Gran Bretagna venivano coperti da una simile derisione quelli che facevano notare le somiglianze tra Tony Blair e la sua eroina Margaret Thatcher, somiglianze che da allora sono state provate. “E’ un mito piacevole e conveniente che i liberal siano i fautori della pace ed i conservatori i guerrafondai”, ha scritto il commentatore del Guardian Hywel Williams. “Ma l’imperialismo dei liberal può essere più pericoloso a causa della sua natura indefinita, il suo convincimento di rappresentare una forma superiore di esistenza”.

Come i blairiti, John Kerry ed i suoi amici Nuovi Democratici provengono da una tradizione di liberalismo che ha costruito e difeso imperi come imprese “morali”. Che che il Partito Democratico abbia lasciato un più lungo sentiero di sangue, furto e sottomissione dei repubblicani è un’eresia per i crociati liberal, la cui sanguinaria storia pare richieda sempre un manto nobile.

Come giustamente fa notare il manifesto dei Nuovi Democratici, il “deciso internazionalismo” dei democratici è cominciato con Woodrow Wilson, un megalomane cristiano che credeva che l’America fosse stata scelta da Dio “per mostrare la via alle nazioni di questo mondo, come esse percorreranno i sentieri della libertà”. Chalmers Johnson scrive nel suo nuovo meraviglioso libro “The Sorrows of Empire” (Verso).

Con Woodrow Wilson vennero poste le fondamenta intellettuali dell’imperialismo americano. Theodore Roosevelt… aveva rappresentato una visione militaristica dell’imperialismo guidata dagli europei sostenuta da niente di più sostanziale della nozione che il destino manifesto degli Stati Uniti fosse governare le razze inferiori dell’America Latina e dell’Asia orientale. Wilson stese su questa la propria idea iperidealistica, sentimentale ed antistorica [del dominio mondiale dell’America]. Esso era un progetto politico non meno ambizioso e non meno appassionatamente sostenuto della visione del mondo del comunismo lanciato quasi nello stesso periodo dai capi della rivoluzione bolscevica.

E’ stata l’amministrazione democratica wilsoniana di Harry Truman, dopo la Seconda Guerra Mondiale, che ha creato lo “stato della sicurezza nazionale” militarista e l’architettura della guerra fredda; la CIA, il Pentagono ed il Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Come unico capo di stato che abbia utilizzato armi atomiche, Truman autorizzò i militari ad intervenire ovunque “per difendere la libera impresa”. Nel 1945 la sua amministrazione istituì la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale come agenti dell’imperialismo economico degli USA. Più tardi, utilizzando il linguaggio “morale” di Woodrow Wilson, John F Kennedy invase il Vietnam e scatenò le forze speciali USA come squadre della morte; ora esse operano in tutti i continenti.

Bush è stato un beneficiario di questo. I suoi neoconservatori non derivano dalle radici tradizionali del Partito Repubblicano, ma dall’ala dei falchi del Partito Democratico, come l’establishment dei sindacati, la AFL-CIO (nota come la “AFL-CIA”), che ha ricevuto milioni di dollari per sovvertire sindacati e partiti politici in tutto il mondo, e l’industria bellica, costruita ed allevata dal senatore democratico Henry “Scoop” Jackson. Paul Wolfowitz, il principale fanatico di Bush, ha cominciato la sua vita politica a Washington lavorando per Jackson. Nel 1972 George McGovern, un’aberrazione, fronteggiava Richard Nixon come candidato contro la guerra dei democratici. Abbandonato in partenza dal partito e dai suoi potenti sostenitori, McGovern venne schiacciato.

Bill Clinton, eroe dei blairiti, ha imparato questa lezione. I miti tessuti intorno all'”era dorata del liberalismo” di Clinton sono, in retrospettiva, risibili. Gustate questo ossequioso pezzo da prima pagina del principale corrispondente politico del Guardian, che riferisce del discorso di Clinton al congresso del Partito Laburista nel 2002:

Ieri Bill Clinton ha fatto un’affascinante orazione… in un sottile e delicatamente equilibrato discorso che ha catturato l’immaginazione dei delegati del Winter Gardens di Blackpool… Gli osservatori hanno anche descritto il discorso come uno dei più solenni e toccanti nella storia dei congressi del partito. Patricia Hewitt, segretario al commercio e industria, lo ha descritto come “assolutamente brillante”.

Un editoriale d’accompagnamento si entusiasmava: “Con tono intimo, quasi da conversazione, parlando soltanto da annotazioni, Bill Clinton ha dato un discorso da vero maestro politico… Se qualcuno dovesse recensirlo, cinque stelle non basterebbero… Che discorso. Che professionista. E che perdita per la guida dell’America e del mondo”.

Nessuna idolatria era abbastanza. Al festival letterario di Hay-on-Wye, il leader della “terza via” e dell'”internazionalismo progressista” ha ricevuto una lunga fila di persone dei media e seguaci di Blair che lo hanno acclamato come un capo perduto, “un campione del centrosinistra”.

La verità è che Clinton è stato poco diverso da Bush, un criptofascista. Durante gli anni di Clinton, vennero tolte le principali protezioni del welfare e la povertà aumentò nettamente in America; venne proposto un sistema di “difesa” missilistico multimiliardario noto come Guerre Stellari II; fu approvato il maggiore bilancio bellico della storia; venne rifiutato il controllo delle armi biologiche, assieme ad un completo trattato sul bando degli esperimenti nucleari, l’istituzione di una corte criminale internazionale ed un bando mondiale alle mine antiuomo. Contrariamente al mito che ne assegna a Bush la responsabilità, l’amministrazione Clinton ha in effetti distrutto il movimento per combattere l’effetto serra.

In aggiunta, vennero invasi Haiti e l’Afghanistan, venne rinforzato il blocco illegale di Cuba e l’Iraq venne assoggettato ad un assedio medievale che costò più di un milione di vite mentre il paese veniva attaccato ,in media, ogni tre giorni; la più lunga campagna di bombardamenti angloamericani della storia. Nel 1999 Clinton guidò l’attacco alla Serbia, una “crociata morale”, vennero bombardati trasporti pubblici, fabbriche civili, impianti alimentari, ospedali, scuole, musei, chiese, storici monasteri e fattorie. “Hanno esaurito gli obiettivi militari nelle prime due settimane”, disse James Bissett, l’ex ambasciatore canadese in Jugoslavia. “E’ cosa che sanno tutti che la NATO passò allo stadio tre: obiettivi civili”. Con il loro attacco con missili cruise al Sudan, i generali di Clinton hanno colpito e distrutto una fabbrica che produceva la maggior parte delle forniture farmaceutiche dell’Africa subsahariana. L’ambasciatore tedesco in Sudan riferì: “E’ difficile valutare qunte persone siano morte come conseguenza in questo povero paese… ma diverse decine di migliaia pare una stima ragionevole”.

Coperti da eufemismi, come “costruire la democrazia” e “mantenimento della pace”, “intervento umanitario” e “intervento liberal”, i clintoniani possono vantare un record imperiale molto più riuscito di quello dei neocons di Bush, in gran parte perché Washington garantiva agli europei un ruolo cerimoniale, e perché la NATO era “al fianco”. In un segnapunti di morte e distruzione, Clinton batte senza sforzo Bush.

Una domanda che ai Nuovi Democratici piace porre è: “Cosa avrebbe fatto Al Gore se non fosse stato defraudato della presidenza da Bush?” Il principale consigliere di Gore era il superfalco Leon Fuerth, che diceva che gli USA dovrebbero “distruggere il regime iracheno, radici e rami”. Joseph Lieberman, il compagno di corsa di Gore nel 2000, cooperò nel far passare al Congresso la risoluzione per la guerra all’Iraq di Bush. Nel 2002 Gore stesso dichiarò che un invasione dell’Iraq “non era essenziale nel breve termine” ma “nondimeno, tutti gli americani dovrebbero riconoscere che l’Iraq pone realmente una seria minaccia”. Come Blair, ciò che Gore voleva era una “coalizione internazionale” per coprire piani elaborati da lungo tempo per la conquista del Medio Oriente. La sua lamentela contro Bush è stata che, andando da sola, Washington potrebbe “indebolire la nostra capacità di guidare il mondo nel nuovo secolo”.

Le collusioni tra i campi di Bush e Gore erano comuni. Durante le elezioni del 2000, Richard Holbrooke, che probabilmente sarebbe diventato il segretario di stato di Gore, cospirava con Paul Wolfowitz per assicurare che i loro rispettivi candidati non dicessero niente della politica USA nei confronti del ruolo sanguinoso dell’Indonesia nel sudest asiatico. “Paul ed io abbiamo contatti frequenti”, disse Holbrooke, “per essere certi di tenere Timor Est fuori della campagna presidenziale, dove non sarebbe utile agli interessi americani o indonesiani”. Lo stesso può dirsi per la feroce ed illegale espansione di Israele, della quale non una parola è stata ed è detta; è un crimine con il pieno sostegno sia dei repubblicani che dei democratici.

John Kerry ha sostenuto la rimozione di milioni di americani poveri dai ruoli del welfare ed appoggiato l’estensione della pena di morte. L'”eroe” di una guerra documentata come atrocità ha lanciato la sua campagna presidenziale di fronte ad una portaerei ormeggiata. Ha attaccato Bush per non aver fornito finanziamenti sufficienti al National Endowment for Democracy che, ha scritto lo storico William Blum, “fu istituito dalla CIA, letteralmente, e da 20 anni destabilizza governi, movimenti progressisti, sindacati e chiunque altro sia nella lista nera di Washington”. Come Bush, e tutti quelli che hanno preparato la strada per Bush, da Woodrow Wilson a Bill Clinton, Kerry promuove i mistici “valori della potenza americana” e quella che lo scrittore Ariel Dorfman ha chiamato “la piaga del vittimismo… Niente è più pericoloso: un gigante che ha paura”.

Le persone che sono a conoscenza di tale pericolo, ma sostengono i suoi fautori in una forma che trovano gradevole, pensano di conciliare tutto ciò. Non possono. Michael Moore, il regista, dovrebbe saperlo meglio di chiunque; nondimeno appoggiava il bombardiere della NATO Wesley Clark come candidato democratico. L’effetto di questo è di rafforzare il pericolo per tutti noi, perché dice che è OK bombardare ed uccidere e poi parlare di pace. Come il regime Bush, i Nuovi Democratici temono le vere voci di opposizione ed i movimenti popolari: cioè, l’autentica democrazia, sia all’interno che all’estero. Il furto coloniale dell’Iraq ne è un esempio. “Se fate troppo velocemente”, dice Noah Feldman, un ex consigliere legale del regime USA a Baghdad, “potrebbe essere eletta la gente sbagliata”. Tony Blair ha detto lo stesso del suo modo inimitabile: “Non possiamo finire con l’avere un’inchiesta sul fatto che la guerra in Iraq fosse giusta o sbagliata. Questo è qualcosa che noi dobbiamo decidere. Siamo noi i politici”.


Pubblicato nel New Statesman – www.newstatesman.co.uk