[ Agi • 25.10.04] Negli ultimi 10 anni le persone che vivono sotto la soglia di povertà sono circa 7 milioni e dei nuovi poveri, l’80% ha tra i 20 ed i 60 anni; il 54% è costituito da donne. Celibi e nubili sono il 33% ma la quota dei coniugati è più alta: 46,5%. Oltre il 15% sono senza fissa dimora, il 51,3% vive con dei familiari, il 27,2% sono conoscenti, il 21,5% vive da solo...

CARITAS. 7 MILIONI DI POVERI, L’80% TRA I 20 E I 60 ANNI

Negli ultimi 10 anni le persone che vivono sotto la soglia di povertà sono circa 7 milioni e dei nuovi poveri, l’80% ha tra i 20 ed i 60 anni; il 54% è costituito da donne. Celibi e nubili sono il 33% ma la quota dei coniugati è più alta: 46,5%. Oltre il 15% sono senza fissa dimora, il 51,3% vive con dei familiari, il 27,2% sono conoscenti, il 21,5% vive da solo.

È questa in sintesi la fotografia fatta dalla Caritas in collaborazione con la fondazione E. Zancan, la Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), contemplata in “Vuoti a perdere”, ossia il Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta curato da Walter Nanni e Tiziano Vecchiato.

Il rapporto 2004 individua poi le cosiddette forme di disagio sociale di cui soffrono gli italiani: shopping compulsivo, lavoro patologico, dipendenza da Internet e da telefonino, gioco d’azzardo, depressione, demenze, malattia di Alzheimer e, dulcis in fundo, lavoro atipico flessibile.

“Numerose persone oggi si trovano a vivere – si legge nel Rapporto – situazioni emergenti di disagio non sempre riconosciute come tali e proprio per questo più pericolose”. Dunque la lotta alla povertà non ha dato i frutti sperati: in 10 anni i poveri sono oltre 7 milioni. Ma chi sono oggi i poveri in Italia? La Caritas è in grado di dirlo avendo monitorato tra gennaio e marzo 2004 le persone che si sono rivolte nelle sue diocesi (14 al Nord, 30 al Centro e 28 al Sud) per trovare aiuto. Ebbene, delle 11.629 persone che hanno chiesto aiuto, l’80% ha tra i 20 ed i 60 anni, gran parte tra i 30 e i 40. Il 62,6% degli utenti non sono italiani e di questi il 40% è senza permesso di soggiorno: indice del riproporsi in termini significativi – sostiene la Caritas – del fenomeno degli irregolari nonostante l’ultima regolarizzazione del 2002. I cittadini stranieri che ricorrono alla Caritas sono più giovani: più del 90% ha tra 20 e 55 anni, in prevalenza donne (55,7%), in maggioranza coniugati (53,6%) e con un titolo di studio medio-alto. I trequarti sono disoccupati rispetto al 58% dei cittadini italiani. Tra i nostri connazionali alta è la presenza dei pensionati: circa il 13%, ossia 1 su 8.

La povertà e l’esclusione sociale per le nuove patologie (depressione in testa: ne soffrono 17 italiani su 100) e le nuove forme di lavoro atipico (passate tra il ‘99 e il 2002 dall’11% al 16% rispetto all’occupazione standard) non si possono considerare “una fatalità – dice il rapporto – quasi un tributo da pagare per lo sviluppo di un paese: la permanenza di un’alta quota di povertà è una sconfitta per la democrazia e per il modello di sviluppo sottostante”.

Dunque, l’area di chi deve cavarsela è ampia. “Una soluzione molto praticata dalle famiglie – ha detto Giuseppe Pasini, direttore della Fondazione Zancan – è il debito differito con il quale si punta a spostare più in avanti il problema di come pagare e si spera in tempi migliori: e questo permette di mantenere un tenore di vita apparentemente buono pur senza sapere quanto potrà reggere”. E il debito differito non solo riguarda i giovani con lavori flessibili ma pure altre fasce significative della società – avverte ancora il Rapporto – come le persone che andranno in pensione dopo il 2008: costoro infatti non avranno la certezza di vivere dignitosamente solo con il loro reddito pensionistico.

L’approfondita analisi dello status sociale delle famiglie italiane fa emergere dunque una diffusa povertà (il 10% percepisce il 2,3% del reddito nazionale contro il 10% più ricco che ne guadagna il 26,5%); una distribuzione diseguale della ricchezza (il 10% ne possiede una fetta del 45,1%); una crescita ulteriore di chi era già ricco (il 5% ha aumentato la quota di reddito dal 27 al 32%, mentre l’1% dei super-ricchi l’ha accresciuta dal 9 al 13%), accanto alle nuove forme di disagio sociale strettamente connesse – conclude il Rapporto – con un modello di sviluppo che non dà cittadinanza a valori come la solidarietà e l’uguaglianza con il rischio di smantellare il sistema di welfare.