[di Luciano Pasqualotto • Gennaio 1998] La scuola è, per definizione, il luogo dell'istruzione, dove si affinano abilità, si sviluppano nuove competenze, si acquisiscono conoscenze e saperi che permetteranno la partecipazione piena alla vita della società, sulla base di una comune identità culturale.

DISAGIO EVOLUTIVO E PROBLEMI SCOLASTICI

La scuola è, per definizione, il luogo dell’istruzione, dove si affinano abilità, si sviluppano nuove competenze, si acquisiscono conoscenze e saperi che permetteranno la partecipazione piena alla vita della società, sulla base di una comune identità culturale. Dopo la famiglia, la scuola rappresenta inoltre il luogo dove bambini e ragazzi passano la maggior parte del loro tempo; è un ambiente educativo, nel quale vi sono operatori qualificati (gli insegnanti) che osservano e si relazionano con gli alunni al fine di promuoverne la crescita integrale. Un altro elemento da considerare è la marcata strutturazione del tempo scolastico: la scansione rigida di orari, spazi, attività richiede a bambini e ragazzi uno sforzo notevole di adattamento. Anche i rapporti interpersonali, con i compagni e soprattutto con gli adulti, rappresentano un appuntamento quotidiano a cui nessuno può sottrarsi, nonostante possa essere talvolta “costoso” sul piano emotivo: quante volte la ritrosia ad iniziare un nuovo giorno di scuola nasce proprio dalla difficoltà ad “affrontare” un compagno o un insegnante! Infine la scuola è il luogo dove ogni scolaro viene continuamente valutato, a volte in maniera discreta e sfumata, altre volte in modo più evidente, attraverso giudizi di cui non è sempre facile sopportare il peso. Se l’esser di continuo esposti al “giudizio di idoneità” sul nostro operato da parte di altri è una situazione altamente stressante anche per un adulto, figuriamoci per i nostri bambini. Data questa situazione, che è senz’altro impegnativa ma che può essere positiva nella misura in cui è finalizzata all’educazione degli alunni, è comprensibile che molte difficoltà emergano proprio a scuola. Alcune sono direttamente connesse agli apprendimenti, i quali richiedono infatti, fin dalle prime classi, un’efficienza di gran parte delle funzioni cognitive: percezione, memoria, elaborazione delle informazioni, abilità nei processi associativi, fino a funzioni che richiedono un gran numero di processi di elaborazione, come ad esempio la lettura con comprensione del testo. Studi recenti stimano l’incidenza di queste difficoltà intorno al 5-10% nell’età scolare. In alcuni casi gli stessi insegnanti riescono a recuperare le funzioni carenti, ma più spesso si rende necessario un trattamento psicopedagogico mirato sul deficit. L’esito di questi interventi dipende da molti fattori, tra i quali sono particolarmente determinanti la rilevanza del problema e la tempestività con cui si agisce. In ogni caso, poiché il sistema scolastico chiede prestazioni elevate e tende ad una ipervalutazione del cognitivo, se queste difficoltà non sono affrontate adeguatamente molti bambini e ragazzi rischiano di essere sempre più penalizzati e indotti a maturare un concetto negativo di sé e del proprio saper fare, oltre che ad un progressivo rifiuto della scuola. Di certo, per questi problemi, a poco giova la tradizionale “ripetizione”, ed in molti casi anche i genitori lo hanno imparato a proprie spese. A scuola diventano “visibili” anche altri problemi, non di rado più gravi, sul piano dei comportamenti. Nella nostra pratica professionale ci vengono spesso segnalati alunni che presentano instabilità caratteriale, fragilità nelle frustrazioni, timidezza ed ansia eccessive, depressione, ossessività verso la perfezione, competitività negativa, fino a qualche caso di bullismo. Queste manifestazioni sono sintomi di un disagio evolutivo che la situazione scolastica contribuisce a “scatenare”, ma le cui cause vanno spesso cercate altrove. In alcuni casi l’espressione di tale disagio assume persino una veste psicosomatica, esprimendosi come “mal di testa”, depressioni e stanchezze non riconducibili a specifici problemi di salute. Purtroppo queste manifestazioni sono spesso trascurate durante i primi anni di scuola e diventano invece fonte di gravi preoccupazioni per insegnanti e genitori al termine del ciclo elementare ed all’inizio della scuola media, quando “non si sa più cosa fare” e come gestire i ragazzi, avviati ormai verso l’adolescenza, che presentato tali difficoltà. L’auspicio di quanti, come noi, operano in questo ambito sarebbe quello di poter agire in modo più tempestivo sugli stati di disagio, affinché la loro gravità non sia tale da richiedere poi un intervento intensivo e prolungato nel tempo. Di fronte a queste situazioni è sempre necessaria un’analisi pedagogica che chiarisca le condizioni educative in cui sono cresciuti i bambini ed i ragazzi. Talvolta è sufficiente modificare alcuni atteggiamenti messi in atto dai genitori o dagli insegnanti perché le manifestazioni più evidenti si riducano o scompaiano. Più spesso è necessario operare per una più positiva rappresentazione delle proprie capacità e dei rapporti che il ragazzo vive a casa e a scuola, liberando risorse emotive ed intellettuali “bloccate” una scarsa stima di sé oppure da aspettative mal poste o improprie. E’ importante quindi che i genitori approfondiscano alcuni segnali di disagio che i bambini manifestano nei primi anni di scuola, per poter individuarne le cause ed eventualmente definire i necessari interventi di supporto. In queste tipologie di difficoltà appare quantomai appropriato un approccio di tipo pedagogico, finalizzato cioè non tanto alla diagnosi clinica di un eventuale disturbo quanto al cambiamento delle condizioni che provocano il problema, siano esse interne o esterne, educative o di altra natura. Per tutti, la strada non può essere che quella di promuovere lo “star bene” dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti attraverso la buona gestione delle risorse proprie e dei mondi vitali in cui crescono.


Questi articoli sono stati pubblicati sul numero di Gennaio/Febbraio 1998 del giornale «il GRILLO parlante».