[da ADISTA • 09.07.02] La globalizzazione fa bene, chi la contrasta è nemico dei poveri e del Terzo mondo. Lo scrive "Tempi"¸ settimanale vicino alla Compagnia delle Opere, il braccio economico di Comunione e liberazione (e lo ribadisce Giorgio Vittadini, presidente della CdO, in un'intervista su "Avvenire" lo scorso 7 giugno), che, in occasione del vertice Fao (vedi notizie precedenti), dedica un ampio servizio "ai virtuosi nemici dei poveri" - da p. Alex Zanotelli che "inveisce" contro "la globalizzazione che uccide" ai "Principi della Chiesa che della falsa carità si fanno illustri mentori" -, colpevoli di contribuire al fallimento di ogni occasione in cui si cerca di programmare una "governance della globalizzazione", dal G8 di Genova al vertice Fao di Roma.

GLOBALIZZAZIONE: LA SINGOLARE LETTURA DELLA COMPAGNIA DELLE OPERE

La globalizzazione fa bene, chi la contrasta è nemico dei poveri e del Terzo mondo. Lo scrive “Tempi”¸ settimanale vicino alla Compagnia delle Opere, il braccio economico di Comunione e liberazione (e lo ribadisce Giorgio Vittadini, presidente della CdO, in un’intervista su “Avvenire” lo scorso 7 giugno), che, in occasione del vertice Fao (vedi notizie precedenti), dedica un ampio servizio “ai virtuosi nemici dei poveri” – da p. Alex Zanotelli che “inveisce” contro “la globalizzazione che uccide” ai “Principi della Chiesa che della falsa carità si fanno illustri mentori” -, colpevoli di contribuire al fallimento di ogni occasione in cui si cerca di programmare una “governance della globalizzazione”, dal G8 di Genova al vertice Fao di Roma.
“La realtà della globalizzazione è fatta, come ogni realtà umana, di luci ed ombre, ma le luci sono molto più numerose e intense di quanto il catastrofismo ideologico e apocalittico dei No Global riescano a far credere a tanti”, si legge sul n. 23 di “Tempi”. “Non è vero che la globalizzazione ha aumentato il numero degli affamati: lo ha abbassato, anche se più lentamente di quanto desiderato. Non è vero che la globalizzazione ha aumentato il numero dei poveri: l’ha fatto diminuire. Non è vero che la globalizzazione ha peggiorato la qualità della vita nei Paesi più poveri: l’ha migliorata. Non è vero che l’apertura dei mercati al commercio internazionale è svantaggiosa per i Paesi in via di sviluppo (Pvs): quelli di loro che hanno intensificato il commercio con l’estero stanno meglio di quelli che non l’hanno fatto. Non è vero che la presenza delle multinazionali aumenta lo sfruttamento dei lavoratori nel Terzo mondo: al contrario, migliora le loro retribuzioni. Non è vero che la globalizzazione sta deforestando il pianeta: la percentuale di terre boscose sta aumentando. Non è vero che l’aria e l’acqua sono più inquinate: lo sono meno di vent’anni fa. Non è vero che il debito estero del Terzo mondo sta esplodendo: quello relativo sta, seppur lentamente, diminuendo.”
Tuttavia, lo ammette anche “Tempi”, qualche problema c’è. La diseguaglianza fra i più ricchi e i più poveri sta aumentando: se nel 1960 il 20 per cento dei più ricchi del mondo aveva un reddito 30 volte più alto di quello del 20 per cento dei più poveri, oggi è 82 volte più alto. “Ma non è un effetto della globalizzazione”, precisa “Tempi”: “è una tendenza in atto da quando è nata la moderna economia capitalista nel XVIII secolo”, come se l’internazionalizzazione dei mercati – cioè la globalizzazione – non fosse una fase avanzata del capitalismo moderno. E comunque non per questo la situazione è negativa: “nei Paesi poveri – prosegue – l’avvento della diseguaglianza reddituale è in realtà una buona notizia, perché segnala un miglioramento complessivo della situazione. Nelle società precapitaliste, infatti, c’è poca diseguaglianza perché quasi tutti sono poverissimi, nelle società in via di modernizzazione invece c’è maggiore diseguaglianza perché la nuova ricchezza non è spalmata omogeneamente”, perciò “le condizioni di quasi tutti finiscono per migliorare, benché in modo diseguale”.
Quindi, più globalizzazione meno povertà. Purtroppo però, si legge ancora, “ci ritroviamo circondati di maestri narcisisti che introducono i discepoli non alla realtà totale, ma ad un senso di colpa opprimente”. Il problema dei popoli poveri “è solo e sempre quello di essere sfruttati dai popoli ricchi, non c’è nessun bisogno di aiutarli a cambiare gli aspetti retrogradi e antiumani delle loro culture”, mentre per quanto riguarda il Nord del mondo ci si riduce “al farisaismo del ‘consumo critico’: si ‘boicottano’ per motivi etici determinati prodotti provenienti dal Terzo mondo, senza chiedersi se questo non farà che peggiorare le condizioni dei poveri di laggiù, privati di un’occasione di reddito senza alternative; si chiama ‘commercio equo’ quella che rischia di essere una forma di assistenzialismo paternalista (pensate al potere discrezionale di chi decide chi sono i poveri che “meritano” di entrare nel circuito, o alla mortificazione di energie imprenditoriali locali che sarebbero capaci di confrontarsi col mercato)”. Si tratta di scelte miopi e “narcisistiche” che privilegiano “l’apparire giusti” piuttosto che “l’essere giusti”, cioè l’onere di “assumersi la responsabilità degli effetti ultimi, intenzionali o non intenzionali, delle proprie azioni”. (da ADISTA)