I BILANCI DI GIUSTIZIA

E’ un fatto verificabile che ad un aumento dei beni e servizi consumati oggi non corrisponda più un aumento del benessere e della felicità, bensì una loro significativa diminuzione. Il dogma materialista del “più hai meglio stai” sta franando alla verifica della realtà.

Le scienze sociali hanno ampiamente dimostrato che, superata una determinata soglia nella quantità di beni posseduti – che chiameremo punto di equilibrio del benessere ottimale (Figura 1.0, punto A) – ad ogni aumento quantitativo dei livelli di consumo non corrisponde più un simmetrico aumento del benessere, ma una progressiva diminuzione della qualità della vita. In questa curva del benessere, raggiunto il punto dell’iperconsumo/degrado sociale ed ambientale (punto B), si osserva un livello di benessere molto basso, paragonabile al disagio/sofferenza causato dalla miseria estrema.

Chi, partendo dal punto B, riduce gli alti livelli di consumo vedrà la sua vita salire progressivamente sulla curva del benessere/felicità, fino a raggiungere il punto di benessere ottimale (punto A). Se i consumi fossero ulteriormente ridotti, fino a declinare verso il punto C, si sperimenterebbe, specularmente allo stato di iperconsumo/degrado sociale ed ambientale, un deterioramento estremo dello stato di benessere caratteristico dei livelli di indigenza.

Che il benessere dell’uomo occidentale stia diminuendo è verificabile sia per via empirica che statistica. Aumenta il prodotto sociale – sotto l’impulso dell’ideologia liberista della crescita economica illimitata – ma i suoi indicatori divergono da quelli del benessere sociale reale, che, negli ultimi trent’anni, sta decrescendo in termini inversamente proporzionali alla quantità di beni prodotti.

Una ricerca statistica effettuata in Germania ha messo in risalto la quantità di oggetti posseduti in media da una famiglia europea: sono circa diecimila. Una montagna di oggetti, ognuno dei quali colonizza la nostra vita e ci depriva del nostro tempo, in una tragica sequenza ciclica, ogni volta che dobbiamo desiderarli, sceglierli, acquistarli, trovare sempre nuovi posti per deporli, pulirli dalla polvere (diuturna schiavitù delle casalinghe), ripararli, gettarli nell’immondizia o riciclarli.

Dobbiamo renderci conto” – sottolinea l’economista Wolfgang Sachs dell’Istituto tedesco di Wuppertal – “che pur se produciamo in continuazione cose nuove, se compriamo sempre cose nuove e se la nostra ricchezza in apparenza cresce, in fin dei conti il giorno ha sempre solo ventiquattr’ore. In altri termini, cerchiamo di ficcare sempre più cose in un contenitore la cui capacità resta sempre la stessa. Natural-mente il tempo si comprime e la pressione aumenta, perché il tempo disponibile per godere di ogni singolo bene di consumo diminuisce. Questa è la ragione profonda per cui, a partire da un certo livello, alla ricchezza, al benessere materiale non corrisponde più una maggiore qualità di vita“.

Una associazione americana, anni fa in giro per il mondo, è riuscita a fotografare i beni di alcune famiglie di diversa nazionalità, disposti in bell’odine sulla superficie esterna intorno alle loro abitazioni. Il risultato fa riflettere. Gli oggetti delle famiglie occidentali di quattro persone occupavano molte decine di metri quadri, contro due-tre metri quadri occupati dai pochi miseri mobili ed utensili delle famiglie povere indiane, brasiliane o afghane.

A che serve affannarsi per accumulare beni e desiderare modelli di iperconsumo che ci degradano fino all’estremo individualismo, rafforzano l’ingiustizia strutturale, aumentano la forbice tra gli accumulatori di ricchezze e gli accumulatori di miseria e distruggono l’ambiente, quando si può ambire ad alti livelli di benessere consumando molto meno?

La tua famiglia potrebbe avviare un’operazione di “disarmo economico” nel riconsiderare la struttura dei propri consumi e decidere quali di essi sono compatibili con i valori etici che si ritengono fondamentali, con un modello economico più giusto e rispettoso dell’uomo e dell’ambiente. Ogni famiglia, così facendo, parteciperebbe idealmente ad un referendum economico in cui si dà o si nega il proprio consenso allo stile di vita consumista e sprecone che alimenta la spirale dell’ingiustizia del modello economico liberista, per preferire semplicità e sobrietà.

I Bilanci di Giustizia nascono a Verona nel 1993. In un dibattito dal titolo “Quando l’economia uccide… bisogna cambiare”, l’associazione Beati i Costruttori di Pace propose di lanciare un progetto di monitoraggio dei bilanci mensili familiari. Agli aderenti si chiese di rovesciare, nel proprio piccolo e con scelte concrete, le dinamiche strangolatrici del mercato “attraverso l’autoproduzione, la riduzione dei consumi, i consumi spostati, gli investimenti etici”.

Accogliendo il suggerimento dell’economista Ernst F. Schumacher “Il nostro compito è guardare il mondo e vederlo intero. Occorre vivere più semplice-mente per permettere agli altri semplicemente di vivere“, la tua famiglia può unirsi al movimento delle circa seicento famiglie italiane che aderiscono formalmente all’operazione Bilanci di Giustizia. Ogni mese, queste famiglie tengono un bilancio accurato delle spese (il cui schema è pubblicato in questa pagina) e si assumono la responsabilità di cambiare un meccanismo economico non più tollerabile, rivedendo lo stile di vita familiare ed eliminando di volta in volta i consumi superflui. I bilanci compilati vengono spediti annualmente al coordinamento nazionale dei Bilanci di Giustizia, per facilitare il confronto tra le scelte di consumo delle singole famiglie e e permettere scambi di idee ed esperienze tra le famiglie “bilanciste”.

Gli aderenti ai Bilanci di Giustizia lanciano alla società, con il loro stile di vita e il loro consumo consapevole e attivo, un chiaro messaggio politico e culturale sovversivo su come si possa avviare un processo familiare di liberazione dal consumismo ed operare una riforma dell’economia, di condizionamento dei mercati, muovendo dalle piccole scelte di consumo.

Il cammino verso uno stile di vita più sobrio e giusto per le famiglie bilanciste significa:

 – Vivere con meno denaro, andare meno al supermercato, aprire meno il portafogli, vivere meno velocemente, ricorrere meno al lavoro stipendiato.

– Una prassi di autoproduzione casalinga di pane, pasta, dolci, yogurt, detersivi, ecc.

– Massima attenzione a ciò che si acquista, preferendo prodotti locali, di stagione e provenienti da agricoltura biologica.

Riduzione dell’uso dell’automobile utilizzando i mezzi pubblici. Su tragitti brevi andare a piedi o in bicicletta.

– Liberare il tempo dal dominio della televisione, per valorizzare i rapporti umani e i momenti conviviali (famiglia, parenti, amici…).

– Sostituzione dei farmaci convenzionali (antibiotici, antinfiammatori, antipiretici…), spesso abusati, con i rimedi naturali (ad esempio omeopatia, fitoterapia).

– Bere acqua di rubinetto al posto di quella minerale in bottiglia di plastica.

– Utilizzare per il bebè pannolini di cotone riutilizzabile in alternativa agli inquinanti pannolini usa e getta.

– Operare scelte ecologiche di investimento strutturale: per il risparmio energetico sostituzione delle lampadine ad incandescenza con quelle ad alta efficienza, riduzione della temperatura di casa in inverno, uso delle fonti energetiche rinnovabili (pannelli solari e/o fotovoltaici).

– Inserire nel bilancio la voce “spese per i poveri“: diffondere la cultura della gratuità con la pratica periodica di gesti di condivisione e solidarietà con gli ultimi (volontariato, digiuno per devolvere l’equivalente risparmiato ai poveri, adozioni a distanza, sostegno alla cooperazione internazionale).

Matteo Della Torre