[di Rosanna Rota, corrispondenza da Vecchiano - Pisa • Settembre 1997]  «Puoi raccontarci, Francesco, come è nato il Centro Nuovo Modello di Sviluppo?». «La nostra storia è cominciata agli inizi degli anni '80, quando un gruppo di famiglie impegnate in ambito sociale e politico ha deciso di combattere l'isolamento vivendo insieme in una grande casa di campagna, dotata sia di appartamenti privati che di spazi comuni»...

INTERVISTA A FRANCESCO GESUALDI DEL CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO. C’E’ CHI PENSA A NUOVI STILI DI VITA

Puoi raccontarci, Francesco, come è nato il Centro Nuovo Modello di Sviluppo? La nostra storia è cominciata agli inizi degli anni ’80, quando un gruppo di famiglie impegnate in ambito sociale e politico ha deciso di combattere l’isolamento vivendo insieme in una grande casa di campagna, dotata sia di appartamenti privati che di spazi comuni. Noi siamo convinti che, di fronte al disagio, sia necessario dare due tipi di risposte: quella immediata, per risolvere subito i problemi di chi è colpito dall’oppressione, e quella politica, per andare alla radice di questi problemi e rimuoverne le cause. Ecco perché, oltre ad accogliere nelle nostre famiglie persone in difficoltà, abbiamo dato vita al Centro, nel 1985, con lo scopo di compiere ricerche sulle origini dell’ingiustizia, ma anche di proporre alla gente come opporvisi. In particolare, abbiamo approfondito i meccanismi che generano quella catena di ingiustizie che opprime Nord e Sud del mondo, ed abbiamo ricercato il punto in cui noi ci inseriamo in tale catena, per comprendere come possiamo agire per spezzarla. Abbiamo individuato questo punto nel consumo, soprattutto di prodotti agricoli: basti pensare che ogni volta che mettiamo sul fuoco una caffettiera noi entriamo in rapporto con un contadino della Costa d’Avorio o del Brasile, che ha coltivato quel caffè. Abbiamo così scritto il nostro primo libro, Lettera ad un consumatore del Nord, proponendo il consumo equo e solidale, il boicottaggio, i marchi di garanzia sociale. Negli anni successivi, com’è proseguito il vostro impegno? Lungo quattro filoni: 1)continuare ad approfondire qual è la realtà che sta dietro ai prodotti che vengono dal Sud del mondo, precisando che oggi, in fase di globalizzazione, questi prodotti vanno crescendo a dismisura e non sono più soltanto prodotti agricoli, ma spesso anche industriali; 2) approfondire che cosa possiamo fare per sostenere le lotte della gente del Sud del mondo ed in quale modo il nostro consumo può essere utilizzato come mezzo politico per condizionare imprese (tentiamo di tessere stretti rapporti con gruppi stranieri che si occupano degli stessi temi, in particolare del consumo critico, che è un impegno personale, di coscienza, ma può diventare anche uno strumento politico, se i consumatori si accordano per costringere le imprese ad abbandonare i propri comportamenti immorali in tema di giustizia, ambiente, pace, ecc.); 3) avviare campagne specifiche per avanzare richieste alle imprese; noi ci siamo concentrati sulle campagne che sostengono il rispetto della dignità dei lavoratori; non sono boicottaggi, perché questi richiedono uno sforzo organizzativo che per ora è al di sopra delle nostre possibilità, ma si tratta di campagne di pressione, che puntano a far sapere alle aziende che noi non condividiamo il loro comportamento. É ovvio, però, che speriamo che la gente smetta anche di comprare i prodotti di queste aziende, che noi presentiamo nei loro aspetti negativi, ben sapendo che le imprese tengono moltissimo alla propria immagine e spendono miliardi per presentarla come accattivante. Per tenere i contatti con chi aderisce alle nostre iniziative abbiamo inoltre dato vita alla rivista I care , che è al suo primo anno di vita; 4) tentare una riflessione sul tipo di economia alternativa che vorremmo avviare: noi siamo consapevoli del fatto che l’economia di mercato crea ingiustizie, che l’alternativa socialista ha compiuto altri errori ed è fallita, quindi dobbiamo cercare di immaginare altre strade, forse anche imparando da altri popoli ed altri tempi. Si tratta di un filone che, per ora, rischia di essere molto teorico, ma che noi sentiamo ugualmente l’esigenza di seguire per non limitarci a fare critiche al sistema vigente od a compiere gesti isolati di buona volontà: vogliamo, insomma, che il nostro lavoro acquisti uno spessore politico e programmatico, per costruire un movimento che cresce e che si trasforma in una forza. Quali campagne di pressione su aziende state portando avanti in questo momento e come le organizzate? Attualmente ci occupiamo di due aziende: la Nike-Reebok (campagna “scarpe giuste”) e la Artsana-Chicco (campagna “giochi leali”). Queste campagne vengono organizzate diffondendo un pieghevole che spiega il senso dell’iniziativa, affiancato da varie cartoline, da spedire alla ditta produttrice, ai negozi che ne rivendono gli articoli ed infine al nostro Centro, perché possiamo quantificare il numero delle adesioni. Il nostro augurio è che queste campagne ottengano tutto il successo che meritano e che le due aziende in questione si sentano costrette a trattare in modo più umano e giusto i propri lavoratori. Ricordiamo che la Nike-Reebok è sotto accusa per lo sfruttamento dei lavoratori asiatici e del lavoro minorile e che la Artsana-Chicco continua a violare le norme di sicurezza nei propri stabilimenti cinesi, anche dopo la morte di 87 operaie a causa di un incendio.


Articolo pubblicato sul numero di Settembre/Ottobre 1997 del giornale «il GRILLO parlante»