INTERVISTA A MANSFIELD. PENSIERI CONSERVATORI E BUONA GUERRA A TUTTI

Sopra la scrivania, nel suo ufficio all´università di Harvard, ha appesi due ritratti: di Nicolò Machiavelli e di Leo Strauss, il filosofo ebreo ispiratore della rivoluzione conservatrice americana.

«Machiavelli mi ha aiutato a capire come funziona la politica, Strauss a distinguere tra un regime buono ed uno cattivo», esclama ridendo. Per Harvey Mansfield, professore di scienze politiche e di governo all´Università di Harvard, maître à penser dei neocons, i potenti neoconservatori alla Wolfowitz e alla Fukuyama che dominano ormai la politica americana nell´era Bush, il regime buono è un solo: «Quello che sa fare la guerra per difendere la propria libertà».

«L´Europa ormai ha perso il senso religioso, la forza di combattere contro i propri nemici – afferma. – Oggi c´è bisogno della forza morale di uccidere, se serve, per abbattere regimi fascisti come quelli dei fondamentalisti islamici. Non vedo nella classe dirigente europea la capacità di fare la guerra. Questo accentuerà ancora di più nei prossimi anni la distanza fra Europa ed America».

Per Mansfield la guerra in Iraq e al terrorismo non si trasformerà mai in uno scontro di civiltà, in una guerra di religione. «La differenza fra noi e loro è che noi ci avvaliamo della religione per rafforzare la libertà. Loro usano la religione per mascherare il proprio fascismo e galvanizzare i seguaci. È questo che l´Europa non capisce: la libertà si difende con le armi».
 
Mansfield è convinto che Bush nei prossimi quattro anni di presidenza non cambierà nulla della sua politica estera nei confronti dell´Europa. «L´Europa deve capire che per contare deve avere un esercito forte. Se non ce l´ha, può lamentarsi fin che vuole, ma dovrà stare dalla nostra parte».

Professor Mansfield, che ruolo avranno i neoconservatori nel secondo mandato di presidenza Bush?

«Le elezioni hanno confermato la forte influenza nel Paese dei neocons, anche se l´Iraq finora non si è dimostrato proprio un successo. È la controprova che non c´è un´alternativa, non c´è un modo diverso di combattere il terrorismo. Il forte sostegno dato al presidente, nonostante non vi siano ancora i risultati sperati, è l´evidente approvazione della linea neoconservatrice. Bisogna vedere cosa succederà ora in Iraq. Se le cose alla lunga si metteranno male, la loro influenza potrebbe venire ridotta. Ma al momento non vedo questo pericolo».

Come mai i neoconservatori sono diventati così decisivi nella politica americana?

«È la reazione al fallimento della politica estera di Clinton, il fallimento di una fiducia infruttuosa nelle Nazioni Unite, il fallimento del multilateralismo e della prevenzione degli attacchi terroristici. L´America oggi ha chiaro in testa che la politica acchiappamosche di Clinton non ha portato alcun risultato».

Dopo queste elezioni cambierà qualcosa nei rapporti fra Stati Uniti ed Europa?

«No, la politica di Bush non cambierà. Il presidente rinnoverà all´Europa la richiesta di sostegno e di appoggio alla guerra in Iraq, come stanno facendo Berlusconi e Blair. Ma non vedo grandi speranze. L´Europa non mostra di avere una classe dirigente conservatrice all´altezza della situazione. Una classe dirigente come c´è oggi in America. In Europa si crede ancora nel ruolo delle Nazioni Unite e nella possibilità di risolvere i problemi pacificamente. Ma senza un forte esercito non si può avere una politica estera propria. E l´Europa non ce l´ha».

Non crede che l´Europa possa avere un ruolo diverso a fianco degli Stati Uniti, meno “muscoloso” ma più efficace nella trattativa e nella risoluzione pacifica delle controversie?

«Ormai tra Europa ed America c´è una differenza profonda di valori di fondo. In Europa si crede ancora che la pena di morte sia sbagliata, che l´uso della guerra sia sbagliato. Gli europei non sono più capaci di fare la guerra. Non è una questione di Iraq. È che non sanno più cosa voglia dire difendersi».

È un approccio culturale diverso.

«No, è la mancanza di religione. L´Europa di oggi si è secolarizzata e non ha più un forte senso religioso. E quindi non ha più la forza morale di levarsi a difendere la libertà. Sono purtroppo convinto che questo porterà sempre di più ad un´accentuazione della divisione fra America ed Europa, fra il nostro modo di vedere le cose e il vostro».

Ritiene che la spaccatura fra Europa e Stati Uniti sia destinata ad accentuarsi?

«Permarrà la differenza di idee e di posizioni, ma l´Europa alla fine sarà costretta a stare dalla parte degli Stati Uniti, perché non ha un suo esercito. Ha bisogno dell´ombrello protettore degli Stati Uniti. Quindi protesterà, alzerà la voce. Ma di fatto seguirà le posizioni degli Stati Uniti».

È un´idea un po’ colonialista dell´Europa, non le pare?

«Beh, le cose stanno così. A meno che non spunti una terza superpotenza, magari la Cina, che minacci entrambi, Europa e America, e quindi ricrei un´identità di vedute come ai tempi della guerra fredda contro il comunismo. Insomma, le cose cambieranno solo in caso si dovesse fronteggiare un nemico comune».

Non ha paura che l´America si isoli ancora di più nei prossimi quattro anni e rimanga da sola nella guerra contro il terrorismo?

«Sarebbe meglio se non fosse così, ma purtroppo così è. Non vedo la possibilità di convincere l´opinione pubblica europea che vota per governi che non la pensano come noi. Gli europei votano per governi che non sono convinti della necessità di usare la forza militare».

Non teme che questa posizione porti ad uno scontro di civiltà, uno scontro di religioni?

«Il terrorismo islamico è più simile al fascismo che ad un movimento religioso. La religione è usata solo per rafforzare il convincimento delle proprie milizie. C´è una sorta di abuso della religione. Quelle non sono certo persone devote e pie. Al contrario la vittoria degli evangelici in America dimostra che la religione scende in campo per rafforzare il senso di libertà, non per intraprendere una crociata contro i musulmani».

Se ciascuno dei due schieramenti pensa di avere Dio dalla propria parte, non cesserà di combattere fino a che non avrà distrutto il proprio avversario. Non crede?

«Bisognerà continuare questa guerra fino a che sarà terminata. Sì, c´è un po´ di gente che dovrà essere uccisa. Ma questo non è fanatismo religioso. È un preciso calcolo: la libertà va difesa. E questo è quello che l´America intende fare».

Professor Mansfield, nelle elezioni presidenziali dello scorso 2 novembre gli elettori hanno votato Bush in nome della difesa dei “valori morali”. Come mai questa crociata sui valori morali ha cancellato tutti gli altri temi della campagna elettorale, dalla guerra in Iraq all´economia disastrata, alla disoccupazione, all´impoverimento della classe media?

«Gli americani sono un popolo fortemente religioso. Dopo anni in cui si sono subìti pesanti attacchi alla moralità della società, dalla proibizione della preghiera a scuola alla legittimazione del matrimonio gay, all´aborto, milioni di credenti hanno deciso di scendere in campo e far diventare questi temi la questione politica decisiva. In America c´è la convinzione che i politici devono eseguire la volontà di Dio».

Come si fa ad essere così sicuri che quella sia la volontà di Dio?

«Bush per esempio parla dell´Iraq, dicendo che Dio ha dato agli iracheni il diritto di vivere liberamente. Dio ha dato il diritto all´Iraq di essere una democrazia. Ecco, questa frase non deriva direttamente dalla Bibbia, ma piuttosto dalle teorie liberali. Ma è come se Dio fosse dietro questo concetto. Quindi, anche se non c´è scritto nella Bibbia, per Bush c´è la volontà di Dio dietro questa missione».

Questo bisogno disperato di un credo forte a cui aggrapparsi, di valori alti per cui combattere, non è segno di una società americana vulnerabile, confusa dai repentini cambiamenti degli ultimi decenni, che ha perso il senso del proprio ruolo nel mondo?

«No, non c´è una crisi di identità nella coscienza americana. C´è il desiderio di contrapporre la forza dei valori morali al relativismo, al secolarismo che è cresciuto notevolmente nell´ultima generazione di americani. Questa perdita di valori si è manifestata fortemente nelle decisioni prese dalle corti giudiziarie. C´è quindi la rabbia per quanto avvenuto, mista ad un giusto orgoglio delle proprie tradizioni, della propria religione, dei propri valori. C´è il desiderio di riportare al centro i fondamenti del credo americano, di far sì che non siano più minacciati».

Chi attacca questi «valori americani»?

«La maggior parte di queste trasformazioni avvenute nella società negli ultimi trenta-quarant´anni ci è stata imposta. Non abbiamo avuto la possibilità di esprimerci, di decidere. Ecco allora che questo è stato un voto contro chi minaccia le fondamenta della società. Un voto a favore dei valori americani».

Professor Mansfield, dalla sentenza Scopes della Corte costituzionale nel 1925, non si sentiva più parlare di reintroduzione del creazionismo nelle scuole americane contrapposto all´evoluzionismo darwinista. Ora la richiesta è tornata pressante. Cosa sta succedendo nella società americana?

«Il movimento evangelico è cresciuto molto. Le chiese tradizionali sono diventate piuttosto liberal. Basta vedere che cosa è successo nella Chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II. Le chiese sono state quindi sorpassate da movimenti più attenti ai fondamenti della religione. Questi hanno aggregato trasversalmente protestanti, cattolici ed ebrei. Una volta si diceva che l´America era divisa in tre gruppi religiosi: protestanti, cattolici ed ebrei. Oggi non è più così. Oggi la divisione è fra conservatori e modernisti».

Che ruolo ha giocato la paura in queste elezioni?

«Dopo l´11 settembre, credo sia comprensibile avere paura. Gli elettori sono stati colpiti dal carattere di Bush, dalla sua capacità di trasmettere senso di leadership, di essere determinato. Forse sono stati colpiti più da questo che dalla sua politica. È stata una questione di fiducia. Gli americani hanno visto in Bush il condottiero in questa difficile battaglia. Battaglia contro i nemici esterni e nemici interni ai valori americani».

Pierangelo Giovanetti