INTERVISTA A SUSAN GEORGE. «IL DEBITO ESTERO È UNO STRUMENTO PIÙ POTENTE DEL COLONIALISMO»


Lyn Gallacher, conduttrice radiofonica di “Booktalk”, su Radio National, Australia, ha intervistato Susan George, presidente di Attac, economista, tra i maggiori esperti internazionali dei rapporti Nord/Sud, direttrice del Transnational Institute di Amsterdam, impegnata nei movimenti ambientalisti, pacifisti, nonviolenti, di solidarietà.
 

Lyn Gallacher: Susan George, instancabile attivista contro la tirannia e la disuguaglianza della globalizzazione, ha appena scritto un libro che si intitola “Another world is possible if…” (Un altro mondo è possibile se…). Ho parlato con lei di questo “se” e scoperto che si tratta dei modi in cui si esercita il potere. Dal 1990 al 1995 Susan George ha fatto parte della direzione di Greenpeace, oggi e’ direttrice associata del Transnational Institute ad Amsterdam, vicepresidente di Attac (Association for the Taxation of financial Transactions for the Aid of Citizens) ed ha scritto undici libri. Ho parlato con lei del libro più recente al Festival degli scrittori di Sidney, dove era una delle ospiti speciali. La nostra conversazione è cominciata proprio attorno al “se” del titolo: cosa significava? E perché il testo e’ strutturato come un programma in dieci passi? Susan sta tentando di formare dei “veri credenti”, un’ortodossia?

Susan George: Bene, cominciamo dal “se”. Sì, questa e’ la parola chiave perché “un altro mondo e’ possibile” e’ qualcosa che chiunque nel movimento altermondialista dice. Perciò ho pensato: guardiamo questa cosa più da vicino, vediamo se e’ veramente così, e se sì, come? Questo per il titolo.
Per quanto riguarda il programma in dieci passi, ecco, ho voluto scriverlo per le persone nel movimento. Ci sono molte persone che vogliono unirsi, sembra che ora i giovani stiano tornando alla politica, ed ho pensato che era una buona cosa se si poteva evitare loro di passare attraverso tutta l’angoscia attraverso cui sono passata io, nel tentativo di imparare ogni cosa mentre ti viene incontro, dato che ormai io sono acclimatata, abituata a questo lavoro. Poi ci sono persone che vengono e non hanno mai fatto politica prima, non sono mai stati in un sindacato, o in un partito, non hanno mai fatto niente, ma sentono questa urgenza di unirsi. Allora sì, il libro e’ in qualche modo un sillabario: questo e’ ciò a cui ci opponiamo, questo e’ quello che vogliamo e perché, e queste sono alcune delle cose a cui potete lavorare con altre persone.

Lyn Gallacher: Ho avuto qualche difficoltà con il capitolo che insegna ad organizzare un incontro perché mi dicevo: si sta parlando di ristrutturare l’economia globale e sembra che vogliamo farlo organizzando un chiosco di dolcetti, scusami ma mi e’ sembrato quasi ridicolo perdersi in tutti quei microscopici dettagli.

Susan George: Hai ragione, ma io sono stata a troppi incontri male organizzati, in cui le persone che mostravano interesse per un argomento qualsiasi venivano lasciate andare via, persone che magari erano arrivate da piccoli centri, dalle province, per unirsi a qualcosa, e che magari non avrebbero più avuto l’opportunità di farlo. Non sto parlando di cose astratte, ma di qualcosa di relativamente complicato che vedo quando vengo invitata a fare interventi ai meeting. Ogni volta penso che devo dire qualcosa agli organizzatori, ma poi il tempo non c’e’ mai. Perciò sono d’accordo con te, probabilmente il capitolo e’ troppo minuzioso, parecchie persone me l’hanno detto. Però penso che possa essere d’aiuto, perché personalmente ho avuto un mucchio di esperienze orribili in quel settore particolare, e sono stanca di vedere le cose fatte male.

Lyn Gallacher: Una cosa tragicamente deprimente del tuo libro e’ quando racconti del fallimento delle organizzazioni per l’aiuto ai paesi del terzo mondo. Il fatto che un paese di questi possa pagare più di debito estero di quanto riceve in aiuti mi ha proprio pugnalata.

Susan George: Beh, noi non li stiamo aiutando. Sono loro che ci aiutano, le rimesse che arrivano al nord del mondo, chiamiamolo “nord globale”, si aggirano attorno ai 200 miliardi di dollari l’anno. Gli aiuti delle nazioni del nord ammontano ora a circa 60 miliardi. Sono i lavoratori che aiutano i propri paesi, quelli che vengono a lavorare nei nostri paesi e mandano soldi a casa, alle loro famiglie: l’Onu stima questa cifra attorno ai 93 miliardi di dollari. Perciò, come vedi, e’ circa il 50% in più dell’aiuto offerto ufficialmente e la cifra e’ approssimativa, e’ probabile che sia più alta.

I paesi africani ci stanno pagando, per il debito, 28.000 dollari al minuto. E non si tratta solo dell’Africa, questo accade ai 52 paesi più poveri del mondo. Ho ottenuto la cifra semplicemente dividendo la somma totale. Ora, se cominci a pensare in questi termini ti dici: quante scuole potremmo costruire con 28.000 dollari al minuto? Quanti ospedali? E pensi che un gran mucchio di bambini potrebbero avere un’istruzione e un gran mucchio di donne potrebbero non morire di parto. Ma il debito e’ uno strumento così potente, così utile, molto meglio del colonialismo perché puoi mantenere il controllo senza usare un esercito, senza mettere in piedi un’amministrazione, non hai bisogno di spendere soldi, il denaro ti arriva da solo, e sono la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale a fare il lavoro. Perciò e’ l’ideale per i paesi del nord e questa è la ragione per cui, dopo 25 anni che la crisi del debito e’ scoppiata, ne stiamo ancora parlando.

Lyn Gallacher: Ricordo che nel 2000 chiese ed organizzazioni umanitarie fecero questa grande celebrazione, il Giubileo 2000, per cancellare il debito del terzo mondo, e dicono che hanno avuto un ragionevole successo.
 
Susan George: Pensano di averlo avuto. Quello che hanno ottenuto e’ stata la cancellazione di 30 miliardi di dollari di debito, francamente una goccia nell’oceano, e questa e’ una delle storie tragiche che io racconto.
Ma il Giubileo ha fatto esattamente quanto il suo nome prometteva: 2000, e nel 2000 si è fermato, prima che la pressione sui governi dei paesi del nord fosse abbastanza forte da indurli a mutare politiche. Hanno fatto questa concessione, però chiedendo che i paesi indebitati si impegnassero per tre anni, e poi per altri tre, in programmi d’austerità, aggiustamenti strutturali, e quindi ulteriore sofferenza per la gente comune. Ci sono veramente pochi paesi che sono riusciti a beneficiare in qualche modo di questa cancellazione parziale del debito, ma quello che si può vedere è che quei pochi hanno usato bene il denaro. La Tanzania, per esempio, ha enormemente aumentato il tasso di frequenza scolastica: quasi tutti i bambini e le bambine ora vanno a scuola, perché il paese ha eliminato le tasse di iscrizione, terribilmente semplice no? La Banca Mondiale ha detto che bisogna pagare il costo della ripresa. Il costo della ripresa e’ il modo gentile di dire: “facciamo pagare alle famiglie il costo dell’istruzione dei figli”, e in questo modo possono mandarne a scuola uno, ma non due o tre, e sono sempre le ragazze a non andare a scuola, perché si tenta di istruire il maschio che sarà più valutato. Voglio dire, la gente è costretta a fare questi calcoli. Perciò e’ stato automatico: come le tasse scolastiche sono sparite, a scuola ci sono andati tutti e tutte. Comunque il Giubileo è stato un tentativo apprezzabile, e qualcosa da celebrare, ma avrebbe dovuto continuare perché fino a che non forzi i potenti a fare effettivamente quello che promettono… Ma bene, c’e’ una lunga strada e molte cose da fare.

Lyn Gallacher: Per me è davvero difficile, concettualmente, pensare a qualcosa come lo smantellamento dell’economia mondiale, perché è un’economia che ho avuto attorno per tutta la vita. Come si fa ad immaginare qualcosa che e’ fuori dalla tua immaginazione? E’ difficile, e mi sto domandando se e’ proprio questo che tu stai suggerendo.

Susan George: Smantellamento forse e’ una parola troppo forte. Io penso che il mercato sarà sempre presente. Lo scopo non è liberarsi dal mercato, perché il mercato fornisce anche un’enorme dose di servizi, e io non voglio combattere sul prezzo ogni volta in cui compro un libro o una bottiglia di qualcosa. La vera battaglia sta sul decidere ciò che deve essere nel mercato e ciò che non vi deve essere. L’istruzione deve stare sul mercato? Ci deve stare la salute? La cultura dev’essere qualcosa che ti puoi permettere oppure no? E i servizi pubblici? Se devo proprio dare una classificazione, allora dirò che se avessimo una tassazione keynesiana e un sistema di redistribuzione in cui alcune attività sono poste fuori dal mercato e sottoposte solo all’autorità dei governi e delle persone, io sarei felice. Io penso che possiamo tranquillamente continuare a vivere con il mercato, in ogni società futura in cui avremo delle produzioni.

Quello che non è giusto è che ora le corporazioni economiche pagano meno, meno tasse, il che significa che io e te dobbiamo pagarne di più, perché abbiamo radici da qualche parte, e loro hanno il nostro indirizzo, vero? Quindi sanno dove possiamo pagarle. Per le corporazioni questo vale molto meno, usano i paradisi fiscali, hanno ogni sorta di buchi neri e stratagemmi. Se guardi le statistiche relative ai paesi più ricchi, vedrai che le corporazioni pagano sempre meno, ed e’ una storia che va avanti da vent’anni. Questo e’ il vero senso della globalizzazione; puoi portare le tue attività all’estero quando ti pare e come dice un membro delle corporazioni che cito nel libro: “Per quanto riguarda il mio gruppo di ditte, la globalizzazione ci permette di produrre dove vogliamo, quando vogliamo, quello che vogliamo, e di comprare e vendere ovunque, con le minori restrizioni possibili provenienti dalle leggi sul lavoro e dalle convenzioni sociali“. Ecco qualcuno che sa esattamente quel che vuole ed è proprio per questi scopi che la globalizzazione è stata usata sino ad ora.

Se potessimo invece avere una globalizzazione dei popoli io sarei perfettamente soddisfatta. Se la globalizzazione fosse più equa, se fornisse genuinamente più opportunità di inclusione, sarebbe magnifico. Io sono una “globalista”, internazionalista, ma questa globalizzazione si fonda sull’esclusione, non sull’unire le mani e camminare insieme verso la terra promessa, proprio per niente.

Lyn Gallacher: Perciò non sei una “smantellatrice”, sei una riformista.

Susan George: Io sono una riformista radicale, sì, perché fra il punto dove siamo e il punto dove vogliamo arrivare c’e’ un’enorme ammontare di lavoro, e io voglio vedere qualche risultato. Ma voglio anche aggiungere che se si lascia fare solo alla politica, alla mia età posso ben morire prima di vedere qualcosa. Sono preoccupata per l’ambiente. Per l’ambiente non sono sicura che noi si abbia il tempo necessario.

Lyn Gallacher: C’e’ qualche segno di speranza, anche se non molti, nella consapevolezza ambientalista. Qui in Australia abbiamo delle coste più pulite, sono tornati i pinguini alla baia di Port Phillip a Melbourne, il che significa che almeno stiamo capendo un po’ di più rispetto al degrado ambientale.
 
Susan George: Certo, mi fa molto piacere quello che dici perché non lo sapevo, ma quello che mi affligge sono i cambiamenti climatici, poiché hanno effetti che ancora non sappiamo neppure misurare. In questo campo credo che i paesi europei e gli altri debbano prendere la guida, perché se aspettiamo che gli Usa facciano qualcosa aspetteremo per sempre. Penso che ci sia anche da guadagnare nell’occuparsene, se guardiamo la cosa in termini d’interesse: un paese più pulito, un paese che funziona usando energia meno costosa, risparmia del denaro che può impiegare per i suoi cittadini, e produzioni pulite e tecnologie pulite che dimostrano di essere esportabili sarebbero vantaggiose per gli affari. Il problema e’ che dare l’avvio al processo richiede una certa dose di investimenti che solo le istituzioni pubbliche possono fare. Ecco un’altra ragione per essere keynesiani: investimenti pubblici, così i prezzi scendono per tutti e le soluzioni diventano economicamente fattibili.

Lyn Gallacher: Sovvenzionare l’energia solare, allora?

Susan George: Sovvenzionare l’energia solare, l’eolica… Il problema è che la dottrina della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e di quelli che si chiamano neo-liberali (spero che la gente capisca cosa significa in America, e cioè che sono neo-conservatori) rifiuta qualsiasi tipo di investimento governativo del genere. Pensano che sia il capitalismo a doversene occupare, ma in questo caso non lo farà perché i costi iniziali sono alti, richiedono denaro pubblico.

Lyn Gallacher: E l’economia di mercato non considera fattore determinate il costo del ridurre una foresta nel prezzo di un foglio di carta.

Susan George: E’ tragico, perché i nostri metodi di rendicontazione e l’aritmetica nazionale non ci dicono le cose che abbiamo bisogno di sapere. Se tagli una foresta, non ha importanza quante segherie hai, quando non ci sono più alberi. E’ irrilevante il numero dei pescherecci, quando non ci sono più pesci. Da anni viene sottolineato il fatto che il capitale naturale non e’ rendita, ma noi lo spendiamo come se fosse rinnovabile annualmente senza problemi, mentre i rinnovamenti in natura prendono anche secoli. Perciò quando tu mi dici che i pinguini stanno tornando io rispondo che e’ meraviglioso, perché ciò significa che l’intera catena alimentare si e’ rinnovata, il che rivela un’economia più sana, rivela che state permettendo al pesce di vivere e state incrementando l’habitat marino.

Lyn Gallacher: Quindi quello che tu stai tentando di fare e’ di cambiare il modo di pensare umano, per far sì che non abbia una portata così corta. Ma i mercati sono capaci di pensare al futuro, ai figli e ai nipoti?
 
Susan George: I mercati non riescono a vedere più in là di tre mesi, ed è già un periodo lungo, per loro. Questa è la ragione per cui le cose importanti della vita devono essere decise fuori dai mercati. Quello che ci manca, penso, è la nozione del “bene comune“. Noi pensiamo di essere ciascuno per conto nostro, tutti in competizione, e ciò che vediamo metaforicamente della natura sono artigli e zanne. Ma la natura non funziona così. La natura, come gli scienziati sanno, è anche cooperazione. Le specie cooperano all’interno e con altre specie, perché altrimenti non sopravviverebbero. Anche gli esseri umani devono farlo. Stiamo tentando di far funzionare la società e l’economia del XXI secolo con le idee competitive e crudeli del XIX. Perciò, cerchiamo di diventare un po’ più sofisticati, usiamo il cervello di cui siamo equipaggiati, perché siamo assolutamente capaci di risolvere le nostre questioni. Il problema vero è il potere, il problema e’ forzare il cambiamento o muoverlo, assicurarsi che abbastanza persone lo vogliano, e che esso attraversi i sistemi, i partiti politici, sino ad arrivare ai governi.

Lyn Gallacher: Grazie Susan. Mi domandavo, visto che il tuo libro e’ sostanzialmente ottimista, se volevi chiudere con una nota ottimista, magari leggendo qualcosa dal capitolo finale.

Susan George: Questo è l’inizio dell’ultimo intervento che ho fatto a Porto Alegre, davanti a 15.000 persone: “Cari amici e compagni, guardatevi intorno. E’ un miracolo che noi si sia qui, dopo tutto. Solo cinque anni fa nessuno, neppure il più ottimista fra noi, avrebbe immaginato l’estensione e lo scopo di un simile movimento. In termini storici, i quattro anni trascorsi da Seattle non sono nulla, un semplice battito di ciglia. Ciò che abbiamo realizzato in questo breve spazio di tempo lascia senza fiato. Perciò il nostro essere qui dovremmo già vederlo come una grande vittoria“.


Tra le opere di Susan George vi segnaliamo:
Come muore l’altra metà del mondo”, Feltrinelli, Milano 1978
Il debito del Terzo Mondo”, Edizioni Lavoro, Roma 1989
Il boomerang del debito”, Edizioni Lavoro, Roma 1992
“Il boomerang del debito estero”, in Susan George, Massimo Micarelli, Antonio Papisca, “Un’economia che uccide”, L’altrapagina, Citta’ di Castello 1993.
 
Fonte: Centro di Ricerca per la Pace