[Luciano Pasqualotto • 27.05.05 ] Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un vorticoso mutare dei modi e dei costumi sociali e lavorativi, cui si è accompagnato un particolare sviluppo delle scienze umane in senso applicativo...

L’EDUCAZIONE COME PROFEZIA

Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un vorticoso mutare dei modi e dei costumi sociali e lavorativi, cui si è accompagnato un particolare sviluppo delle scienze umane in senso applicativo.

Anche l’educazione ha finito per cambiare volto, figlia com’è del proprio tempo. L’essere è divenuto sempre più inscindibile dal fare, non vi è possibilità di riconoscimento di sé al di fuori dei ruoli produttivi (e di consumo). Ne sono immediata controprova l’invisibilità sociale di barboni, profughi, clandestini, malati di mente, anziani in stato di povertà…

L’homo faber sembra essere diventata la soglia minima della riconoscibilità sociale – e quindi dell’identità personale. Non sfugga questo passaggio: la nostra cultura è pervasa da un pensiero filosofico e sociologico che lega in modo stretto ed indissolubile le dimensioni personali con quelle sociali. Essere significa esser-ci (essere in relazione, in contatto, connessi con qualcuno), e l’esser-ci richiede l’assunzione di un ruolo produttivo e di consumo. In altre parole, se non fai (e non hai), non sei per nessuno.

A nostro avviso, queste “equazioni esistenziali” sono sperimentate molto presto, fin dall’infanzia quando la produttività assume le fisionomie del rendimento scolastico o del successo nelle attività sportive. Situazioni nelle quali le produzioni di bambini e ragazzi non mancano di essere monetizzate, con mance e regali, dallo zelo ignaro di genitori e parenti.

Succede, e ne prendiamo atto. Succede anche che si pensi alla scuola come ad un’azienda con obiettivi di produttività a beneficio della competitività del Paese (vedi), che gli economisti rubino la ribalta sociale ai poeti ed ai filosofi. E’ una questione di prospettiva, di punto di vista.
 
Nell’editoriale di marzo di www.educare.it avevamo sottolineato il bisogno di straordinario che agita i nostri cuori: un’altra prospettiva, ma che fa bene all’educazione. In questi tempi così orientati alla produzione ed al consumo, la ricerca dello straordinario richiede profezia. Bambine e bambini, uomini e donne hanno egualmente bisogno di visioni capaci di comprendere, di spalancare squarci di inedito nelle proprie biografie.

Abbiamo bisogno di qualcuno che ci sveli ciò che sfugge al gioco degli specchi attraverso i quali comunemente definiamo le nostre identità personali: io siamo noi (l’esser-ci) e noi siamo uguali (essere diversi significherebbe emarginazione ed invisibilità).

Eppure quante volte subiamo il fascino dell’eccezionalità: fuori dagli schemi, oltre gli stereotipi. E’ un anelito profondo, che non si appaga dei ruoli materialistici su cui oggi si concentrano i nostri sistemi educativi, sia domestici sia istituzionali.
 
Sentiamo soprattutto la mancanza dell’immaginazione. In educazione bambini e ragazzi necessitano di qualcuno che sappia fare delle fantasie su di loro, capaci di aprire nuovi immaginari, altre possibilità di futuro. Ne hanno particolarmente bisogno proprio coloro che fanno eccezione: i bambini “strani”, gli adolescenti diversi, tutti coloro che non rientrano negli stereotipi della normalità sociale. E questa non ci sembra tanto una responsabilità da consegnare esclusivamente ai genitori; spesso sono troppo intrisi della carne e del sangue dei loro figli per poter assumere, da una giusta distanza fisica e psicologica, quella prospettiva che consente di vedere oltre e di fare profezie.

Tocca soprattutto ad altri adulti, a tutti gli altri direi, purché abbiano sufficientemente imparato dalla scuola della vita a riconoscere nelle particolari inclinazioni del carattere i segni di un destino o, se preferite, di una vocazione. L’esuberanza comportamentale di alcuni piccoli alunni o l’indole troppo sognatrice di altri smettono allora di essere un problema (definito secondo le logiche classificatorie della produttività) e possono diventare le manifestazioni embrionali di una personalità chiamata alle vette impervie della distinzione.

In pedagogia si sta riscoprendo la figura del méntore, una presenza educativa che unisce in sé la sapienza del maestro, la saggezza dell’anziano e la benevolente complicità dell’amico. Si cresce e si trova la propria strada grazie ai genitori e, soprattutto, ai méntori.
 
In un momento storico in cui l’educazione rischia di ridursi in percorsi più o meno elaborati di adattamento a standard sociali, nei quali prevalgono criteri di produzione e di consumo, riaffermiamo dunque la necessità della profezia da parte di tutti gli educatori, a salvaguardia della originalità individuale e del mistero di ogni persona.
 
Luciano Pasqualotto


La riflessione del dott. Luciano Pasqualotto è l’editoriale di aprile-maggio 2005 di

www.educare.it , rivista telematica sui grandi temi dell’educazione diretta dal pedagogista stesso.