[di Joseph Ki Zerbo • 19.09.02] Appunti sulla storia dell'Africa e dell'umanità dall'incontro con Joseph Ki Zerbo

L’ESTRANEO E’ UN DONO DEL CIELO

Spero che dopo che avrò parlato non sarò più uno straniero e avrò dato e ricevuto qualche cosa.
Mi piace considerare l’Africa come un discorso, perché questo mi ricorda la forza, l’energia, la ricchezza che sono nella parola creatrice, nel verbo. E se l’Africa è come un discorso che è stato scritto dai nostri antenati, dobbiamo sapere che la storia non è terminata, che il discorso va proseguito. Ho avuto la fortuna di studiare il latino: Cicerone, Sallustio, Tacito? Eppure mi rendo conto che ciò che è importante non è quello che abbiamo imparato in latino, ma ciò che abbiamo dimenticato in africano. Dobbiamo considerare la storia autoctona, non quella che ci hanno imposto da fuori. Ciò che contraddistingue l’uomo dagli altri animali non è tanto il presente, quanto le altre due dimensioni della storia, cioè il passato e il futuro. La storia, infatti, non è soltanto il passato; essa è come un motore a tre tempi: il tempo del presente non è abbastanza significativo, qualificante, indicatore dell’umanità. Gli animali sono molto concentrati sul presente. Per esempio il fatto che alcuni quadrupedi abbiano la testa rivolta verso il suolo indica l’importanza che ha per loro il presente del qui ed ora. Un momento decisivo nella storia dell’umanità fu quello in cui l’uomo assunse la posizione eretta, e ciò è avvenuto in Africa. Questa tappa dell’evoluzione è considerata come un inizio di liberazione dell’uomo. Infatti prima di allora l’uomo era costretto a dedicarsi completamente al presente. Ma dal momento in cui ha assunto la posizione eretta ha potuto finalmente utilizzare le sue mani, e attraverso di esse iniziare la sua civilizzazione. Nel frattempo la parte inferiore del cranio ha assunto dimensioni più piccole dando spazio all’encefalo, che si è accresciuto, ed egli ha imparato a guardare altrettanto bene davanti e dietro di sé, cioè a contemplare il suo passato e a prevedere il suo avvenire. Gli avvenimenti che conosciamo, confermati dalla recente scoperta in Ciad di un cranio risalente a 7 milioni di anni fa, ci dicono che la storia è iniziata in Africa ben prima che in altri continenti. Non dobbiamo studiare la storia per contemplare il passato, bensì per incontrare noi stessi. Il processo evolutivo è una parte essenziale della nostra identità e se recuperiamo la storia lo facciamo anche per i nostri posteri, per i nostri discendenti, per i nostri nipoti. Questa storia non è di nostra proprietà, è di proprietà del mondo. Essa è in accordo con la concezione africana della proprietà, che non è fondata soltanto sulla dimensione del presente, ma evoca gli antenati – per esempio con la concezione della terra che appartiene agli avi – e contempla ancora di più i discendenti, i figli, ai quali viene trasmessa. Io penso che ciò che ci interessa oggi della storia è proprio questa capacità di reinvestire il passato nel presente e nell’avvenire. Non per riprodurre la storia in maniera meccanica e robotica, non per dare vita a dei cloni delle società africane di un tempo, ma per fondarci credibilmente sulle nostre proprie radici, senza esserne schiavi. Ho appena terminato di scrivere un saggio dal titolo “Storia critica dell’Africa nera” – inserito nell’opera più vasta “Storia critica dell’umanità” – il cui scopo è quello di determinare i periodi di rottura e i periodi di ascesa della storia africana. Non vogliamo coltivare la recriminazione e l’odio, ma rifondarci e ritrovare la nostra identità. Nella storia africana – come in quella europea – ci sono stati dei periodi di ascesa e di sviluppo, così come periodi di decadenza, a volte infernale. Ma questi periodi di rottura erano i nostri. Per centinaia di migliaia di anni, fino al XV secolo, l’Africa – anche quella sahariana – si è evoluta, tanto da essere alla pari con le civiltà di altri continenti, o addirittura alla loro testa. Il termine “preistoria”, inventato dai miei colleghi europei, non è esatto. Io non lo accetto. Esso si basa sul presupposto che fino a che un fatto non è riportato per iscritto esso non può essere considerato come un fatto storico, ma preistorico. Io preferisco definirlo protostorico.  Dal momento in cui c?è l’uomo c’è storia. Non c’è motivo per considerare preistoria il momento in cui l’umanità ha inventato la parola, l’arte, la religione, l’agricoltura. E’ ridicolo. Dovremmo dire che tutti i popoli che ancora oggi sono analfabeti e che non hanno una cultura scritta sono dei popoli preistorici, e questo non ha senso. In Africa ha dunque avuto inizio la storia dell’umanità, che è poi proseguita nell’antico Egitto, nella cui civiltà ritroviamo molti elementi religiosi e della struttura sociale propri dell’Africa nera. L’Africa ha continuato a svilupparsi fino al XIV-XV secolo. In questo periodo alcuni grandi imperi africani potevano rivaleggiare con l’Europa. Le statistiche dimostrano che le capitali dell’impero del Mali e del Ghana erano più popolate di quanto lo fosse Londra nello stesso periodo. Ho condotto personalmente una ricerca sulla densità della popolazione scolastica in quei tempi nella regione: tra i cittadini liberi l’insegnamento primario era più diffuso di quanto non lo fosse in Europa nello stesso periodo. Vi invito di approfondire questo argomento nella mia “Storia dell’Africa nera”. Non è per non parlare degli orrori, ma in Africa esistevano molti fattori positivi di sviluppo in ogni campo, anche in quello del diritto. Possiamo per esempio citare un motto che esprime uno dei fondamenti del diritto pubblico di quel tempo: non è il re che ha la sovranità, ma è la sovranità che ha il re. Ciò significa che ci sono delle norme superiori che si impongono a tutta la comunità, a cominciare dal principale responsabile, che è appunto il sovrano. C’erano inoltre dei sistemi di riproduzione sociale, per la formazione e la trasformazione delle società ed esistevano dei veri e propri istituti per la formazione specifica,  per esempio dei griot, coloro i quali avevano l’incarico di tramandare la memoria storica.
I miei ascoltatori si stupiscono sempre quando racconto che l’inno nazionale del Mali di oggi è un antico canto del XIII secolo intonato dalla madre di Sundiata, un ragazzo handicappato. Per riscattare l’onore della madre, derisa dalle altre donne del villaggio, Sundiata si ripropose di drizzarsi e di camminare correttamente e quando riuscì a farlo, sorreggendosi al bastone che la madre gli aveva donato, ella intonò un canto, che oggi, dopo sette secoli, è ancora importantissimo, tanto da essere l’inno nazionale del Mali. Si tratta di una narrazione in cui il mito si unisce alla storia. Anche l’Africa dunque ha avuto l’idea di reinvestire il passato nel presente per il futuro. Personalmente ho la sensazione che una delle cause interne del rallentamento dello sviluppo in Africa sia da ricercarsi nella disponibilità di spazi immensi; quando all’interno delle società nascevano dei contrasti essi venivano risolti con la partenza di coloro che erano in minoranza. Questa soluzione era favorita dalla certezza che dovunque fossero andati avrebbero trovato una terra e che avrebbero avuto diritto al territorio su cui si fossero insediati. Tutti gli “stranieri” che arrivavano avevano diritto al suolo, poiché non esisteva il concetto di “proprietà privata”. La terra era una proprietà collettiva a disposizione degli autoctoni e degli stranieri. Dunque i conflitti non venivano risolti con la guerra, ma in maniera “orizzontale”, attraverso l’allontanamento di una parte della comunità e delle ragioni del contrasto. Al contrario, nella Valle del Nilo e nell’antico Egitto lo spazio era limitato; qui le contraddizioni non potevano essere risolte sfruttando le terre circostanti, ma solo attraverso la guerra, o attraverso le innovazioni tecnologiche, o ancora attraverso la riorganizzazione sociale. Si è così passati ad un livello di società superiore a causa dei conflitti e attraverso i conflitti. I conflitti africani interni all’Africa sono sempre stati risolti dagli africani stessi e hanno portato alla configurazione di grandi realtà sociali e politiche come l’Impero del Mali o l’Impero del Ghana, così come sono descritti dagli scrittori arabi o dagli stessi scrittori africani del XV, XVI e XVII secolo. Alcune carte geografiche europee del tempo mostrano l’imperatore del Mali seduto su un trono, con la dicitura “Re del Mali”, a testimonianza del fatto che esso veniva considerato alla pari di un qualsiasi altro sovrano. L’imperatore del Mali e in seguito quello del Ghana andando in pellegrinaggio alla Mecca portavano con sé tonnellate di oro, tanto da influenzare il prezzo del prezioso metallo in tutta la regione. Il re del Ghana era considerato il “re dell’oro”. Si trattava dunque di una regione molto sviluppata dal punto di vista economico, dove si producevano anche  merci con valore aggiunto, come tessuti, oggetti metallici, vetro. In alcune importanti città, ad esempio della Nigeria, si produceva così tanto che l’intera regione fu soprannominata la “Bisanzio nera”. Quando i primi Portoghesi arrivarono in Congo, essi rimasero talmente impressionati al cospetto del re che lo salutarono e gli resero omaggio come se si trattasse del proprio re. Sono solito dire che l’incontro tra Africa ed Europa fu un incontro storicamente mancato, perché le cose potevano andare ben diversamente. Quando il re congolese Alfonso chiese dei tecnici europei per l’educazione, le infrastrutture, le costruzioni, ci si è rifiutati di inviarglieli. Lui desiderava importare dall’Europa ciò che avrebbe potuto migliorare la situazione del suo regno, ma gli è stato rifiutato qualsiasi aiuto, perché in quel periodo iniziava la tratta degli schiavi. Re Alfonso si era convertito al Cristianesimo ed era molto rispettoso dei principi della religione cattolica, che faceva osservare anche con la forza; aveva favorito la distruzione degli oggetti di culto e delle scritture legate alle tradizioni degli antenati. Ma malgrado tutto egli non si è meritato la fiducia di coloro che lo avevano convertito, al punto che essi tentarono di ucciderlo durante la celebrazione di una messa pasquale, perché i negrieri lo volevano. Lo stesso Vasco De Gama commise molte atrocità, organizzò e diresse non pochi massacri, alla pari dei conquistatori del continente americano, perché voleva a tutti i costi impedire agli arabi di dominare l’Oceano Indiano. L’Africa non ha potuto costruire la sua storia beneficiando di un dialogo autentico con l’Europa, un dialogo che favorisse una vera civilizzazione. I progressi civili tecnici e materiali dell’Europa erano nettamente superiori, e l’Europa ne ha approfittato per molto tempo, al pari di quanto ha fatto con altri continenti. L’Europa ha ricevuto molto da ogni parte del mondo: dall’Africa; dal Medio Oriente, che ha rappresentato l’anello di congiunzione tra la cultura greco-romana e l’Europa occidentale (molti testi greci arrivarono infatti in occidente proprio grazie agli arabi); dall’Estremo Oriente, con i cinesi, dai quali hanno preso la polvere da sparo. Questa e  altre invenzioni sono state condotte in Europa, dove gli europei vi hanno aggiunto la loro creatività. Così si è arrivati all’invenzione delle armi da fuoco, che in Africa hanno fatto la differenza, anche se il continente era gia ridotto alla sottomissione a causa della schiavitù.
I quattro secoli di tratta degli schiavi hanno letteralmente bloccato l’Africa, ma hanno fatto meno danni di quanti ne ha fatti un secolo di colonizzazione, sia perché a quel punto gli europei disponevano di mezzi tecnicamente troppo superiori, sia perché si trattò di una vera e propria sostituzione della civilizzazione africana da parte di quella europea, in tutti i campi, religioso, politico, culturale. La tratta degli schiavi rappresentò una profonda ferita nel corpo dell’Africa, ma il condizionamento fu più marginale, e il sistema africano restò strutturato secondo la propria tradizione.  Durante la colonizzazione invece l’Africa smise di vivere e di produrre per se stessa, e il concetto di sviluppo endogeno fu completamente abolito. Ha servito gli altri invece di servire se stessa, in vista di un cambiamento o di un’evoluzione, che avrebbero potuto compiersi, nel bene o nel male, e che le furono impediti, almeno fino alle lotte di liberazione, negli anni Sessanta. Le indipendenze furono in buona parte delle false “liberazioni”; il neocolonialismo ha infatti sostituito il colonialismo, e ancora oggi non possiamo dire che il colonialismo è stato sradicato in Africa.
Non voglio terminare in un’ottica afropessimista. L’Europa ha portato molti elementi positivi: la scienza, la religione, la coscientizzazione, le lingue, attraverso le quali possiamo attingere all’enorme ricchezza culturale e intellettuale a livello mondiale. Tutto questo pesa in modo positivo sul piatto della bilancia. Ma quello che noi avvertiamo ancora oggi è che per la massa della popolazione – non per i privilegiati che hanno potuto emergere, per gli intellettuali, come me, che hanno potuto beneficiare di questa eredità positiva  – ma per la stragrande maggioranza della gente, la bilancia continua a pendere dalla parte negativa. (Joseph Ki Zerbo, 11 settembre 2002)