«LETTERA» DI ETTORE MASINA. «ASCOLTARE LE DONNE»

Come sempre accade per i documenti scritti, «LETTERA» non è soltanto il tentativo di una persona di riordinare i propri pensieri e di entrare in dialogo con sentimenti e idee di altri, ma, anche, è un documento di narcisismo. Sotto sotto la domanda che gli autori pongono ai lettori è: «Vedi come sono bravo?» (con l’aggiunta di una richiesta taciuta a fatica, per pudore: «Ma allora dimmelo!»). Per i vecchi come me, poi, uno scritto è anche una specie di certificato di esistenza in vita…

Confesso queste inusitate parole per dire che fatico a cedere la mia tribuna; ma questa volta sento il bisogno-dovere di tacere di fronte ai terribili fatti di barbarie, esplosi quasi a coonestare con l’orrore le accuse di genocidio fisico e culturale sollevate recentemente dalle organizzazioni femminili italiane. Il mio silenzio vuole essere partecipazione profonda al lutto delle donne per le loro sorelle massacrate dalla violenza maschile, ma soprattutto il riconoscimento che noi maschi siamo costretti una volta di più a riconoscere la violenza della quale siamo tutti (tutti!) portatori: consapevoli alcuni, colpevolmente ignari gli altri. Perciò questa volta «LETTERA» è composta di tre voci di donne, che mi sono sembrate particolarmente alte e limpide.

Il primo testo è di Maria G. Di Rienzo, storica, giornalista e scrittrice, impegnata nel movimento delle donne e in quello della nonviolenza. É stato pubblicato su «Notizie minime della nonviolenza in cammino, proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo». «Minime» è  uno straordinario bollettino quotidiano che ho più volte raccomandato ai miei lettori e che può essere richiesto a [email protected].

Il secondo scritto, del quale riporto alcuni brani, potete leggerlo nella sua interezza sul blog di Angela Mac Donald Altieri, www.angelaesiste.blogspot.com. Benché lei lo neghi con risolutezza, io considero Angela una straordinaria scrittrice, e, se già non la conoscete, vi invito a farle visita virtualmente.

Il terzo testo che vi propongo tratta un altro argomento, come vedrete. L’autrice è Maria Cristina Bartolomei, teologa e filosofa. Tiene una rubrica sul mensile «JESUS», al quale io stesso collaboro, e nell’ultimo numero della rivista ha pubblicato un testo lucido e appassionato che, nel suo amore per le lotte dei poveri, si contrappone felicemente alla cancellazione della memoria che dilaga in Italia.

Ettore Masina

http://www.ettoremasina.it


MARIA G. DI RIENZO

(…) Quello che non mi è capitato mai, neppure quand’ero infelice al sommo grado, arrabbiata, sfinita dall’odio attorno a me, è stato pensare di aggredire qualcuno, di violentarlo e/o ucciderlo a botte. Naturalmente. Sono una donna. Le donne non stuprano gli uomini. Ma non è così semplice, sapete, perché se avessi guardato in basso nella scala gerarchica probabilmente avrei trovato anch’io qualcuno a cui fare del male, a cui rovesciare addosso centuplicato il male fatto a me. Un’altra donna, un bambino, un animale. Ma non volevo e non potevo. Non accettavo la graduatoria del dominio, non l’accetto tuttora. Continuo a pensare che ogni essere umano dovrebbe poter vivere una vita decente, usare le proprie abilità, dare e ricevere amore, e che anche agli animali dovrebbe essere dato maggior rispetto.

Continuo a pensare che Giovanna e Nicolae, entrambi esseri umani, condividessero il diritto di vivere: non semplicemente di sopravvivere, proprio di vivere, e al meglio possibile. Ma lei è stata uccisa, nel modo orribile che sappiamo, soffrendo, lottando, come altre migliaia di donne muoiono ogni giorno. E mi è bastato uno sguardo alla baraccopoli di Tor di Quinto perché mi venisse un nodo in gola. Possono vivere così, degli esseri umani?

Niente prediche, per carità, stiamo ai fatti. Mi par quasi di sentirli, politici e opinionisti e tuttologi. Ho soluzioni da proporre, qualcosa di concreto, invece di ripetere per l’ennesima volta le stesse cose, eh, ce l’ho? Sì. Per iniziare, ne ho due. Sono risposte di base, e non affrontano altre questioni a cui sono ovviamente correlate, come la necessità di un cambiamento radicale dell’ordine politico ed economico su scala mondiale: ma il più lungo dei viaggi comincia con un solo passo, e io ve ne propongo due.

Il primo è che vorrei partisse da subito, con il coinvolgimento di istituzioni, scuole, Ong, una grande campagna contro la violenza di genere. Manifesti, forum, incontri, conferenze, la rete delle Commissioni pari  opportunità scenda in campo e faccia il mestiere per cui l’abbiamo creata, le ministre e le parlamentari si siedano attorno ad un tavolo e comincino a parlarne, il movimento femminista si sta già muovendo: andiamo alla manifestazione del 24 novembre a Roma, tanto per cominciare, e facciamola riuscire più che bene.

La società è satura di misoginia e violenza di genere. Il trattamento volto a degradare le donne è così pervasivo e ‘normale’ che non ci facciamo neppure caso. Siamo tutti coinvolti in questo massacro, perché la violenza senza fine che investe le donne è collegata direttamente alla volontà di disumanizzarle, e quando hai reso qualcuno disumano, tutto è possibile («Gli ebrei sono certamente una razza, ma non una razza umana», Adolf Hitler: sei milioni di morti nei campi di sterminio).

Dobbiamo innanzitutto imparare a vedere/riconoscere la violenza, e non solo la sua spettacolarizzazione o strumentalizzazione. Il quadro include la violenza di stato e quella individuale, quella pubblica e quella privata. Razzismo, omofobia, e altre forme di marginalizzazione che razionalizzano, ‘spiegano’ la violenza, la narrano come inevitabile e necessaria, provengono  da un’unica sorgente, e si alimentano l’un l’altra e si costruiscono l’una a partire dall’altra. Il nome della sorgente è sessismo. Il nome del ‘nemico’ primario, quello su cui si costruiscono tutti gli altri, è donna. Quindi non si tratta solo di ciò che gli individui compiono o possono compiere per le ragioni più disparate: la violenza è sostenuta  istituzionalmente, è sistemica, e perciò un certo grado di essa (in diverse forme e contesti ecc.) diventa accettabile, e in alcuni casi persino raccomandato. Quando la III Corte di Cassazione diventa famosa per la ‘sentenza dei jeans ‘ e poi per quella in cui riconosce attenuanti allo stupratore («patrigno» della vittima) perché la ragazzina avrebbe avuto esperienze sessuali precedenti lo stupro, la legge italiana sta dicendo esattamente questo: che un certo grado di violenza è accettabile in condizioni date. La violenza accettabile è (quasi) sempre quella che una donna subisce, il motivo per cui è accettabile è che la donna la vuole, la merita, se l’è andata a cercare. E comunque, soddisfare gli uomini è tutto ciò a cui una femmina serve. Ci sono soldi da fare, amici. L’industria dei giocattoli sta lanciando in questo momento nuove linee dirette a bambine dai sei ai nove anni: cosmetici, piccoli reggicalze, top di tessuto elastico. Non è mai troppo presto per infilare nelle menti delle bambine questo concetto: ciò che è veramente importante è la loro abilità di compiacere sessualmente gli uomini. Ok?

Quando non vi sono reti di sostegno sociale (welfare, redistribuzione equa delle risorse) una donna che vive con un partner violento è costretta a restarci. Quando impieghi mal retribuiti, non sicuri, non permettono ad una donna di costruirsi una vita decente, la espongono a situazioni in cui la violenza è facilitata. E questa è un’altra responsabilità istituzionale rispetto alla violenza di genere.

La seconda proposta: bisogna accelerare sul pedale dei diritti per gli immigrati. Proprio. Le persone che vengono qui sono nostri concittadini e concittadine, lavorano qui, hanno figli qui, e capita che commettano crimini qui, proprio come gli italiani. Ma noi continuiamo a dir loro che questo non è il loro paese, che non lo sarà mai. La cittadinanza degli immigrati e delle immigrate deve avere pieno titolo, diritto di voto compreso, responsabilità verso il bene comune compresa, e non tanto e non solo per considerazioni etiche: se sai di essere a casa tua è piu’ difficile che ti venga voglia di distruggerla; se sai di essere tra persone civili e accoglienti, che potrebbero persino diventare amici, è più difficile alimentare l’odio in ambo le direzioni.

É inutile pensare, come qualcuno non solo pensa ma dice, che possiamo rimandare i migranti da dove vengono. Le condizioni oggettive (e qui sto sul più crudo pragmatismo) economiche, storiche, sociali non permettono il tipo di soluzione «scopiamoli sotto il tappeto e dimentichiamoci di loro», e lo sa bene anche chi strilla il contrario. Perciò dobbiamo affrontare la situazione e renderla il più possibile pacifica e accettabile e serena per tutti. E quando un’idiota ci passa un volantino con su scritto «Questi non devono più toccare le nostre donne» restituiamolo chiedendogli da quando è stata reintrodotta in Italia la schiavitù: le donne non sono di nessuno, appartengono a se stesse, come qualsiasi altro essere umano sulla faccia della Terra. E gli italiani le degradano e feriscono quanto gli altri.

Viviamo in un paese in cui la gente spara dalle finestre gridando «Vi odio tutti», in cui i bambini si impiccano non sopportando lo scherno e l’esclusione, in cui ragazzi di vent’anni si danno il turno a stuprare una quindicenne intercalando la violenza con giochini al computer: sono tutti fatti di cronaca, abusi commessi da italiani su altri italiani, disperazione tutta italiana, non mi sto inventando niente. Vogliamo cominciare a dire che non ci sta bene? Vogliamo spegnere i fuochi dell’odio, prima che il rogo ci annienti tutti?


ANGELA ALTIERI

La notizia di questi giorni non è che un rumeno sia un assassino ma che una donna, l’ennesima, sia stata martirizzata. Poche ore dopo, un’altra giovane vita di donna veniva risucchiata dalla bestia, a Perugia. Non è che gli stranieri portano orrori nelle nostre case ma è l’orrore che si incarna nella mente ferita, lì dove baracche di cartone e immondizie trasformano un uomo in uno scarafaggio. Tuttavia la storia ci insegna che neppure una villetta lustra e ben arredata della Lombardia può preservarci dalla follia, né il mare intenso e la tavola buona, nobilitare sempre la Sicilia. Questo male che ci mangia il cuore lo chiamiamo extracomunitario, vorremmo che fosse extra da noi; eppure di lì a poco uno di noi, proprio a Roma, sparava sulla folla: come fanno i ragazzi americani quando riversano sui Campus la loro ferocia, come gli islamici nelle piazze pubbliche.

L’orrore ci appartiene, è l’inesorabile abisso in cui può finire la coscienza di un uomo. Ha attraversato popoli, ha divorato generazioni: Cambogia, Cile, Bosnia, Rwanda…la lista è interminabile: che sia la guerra personale o collettiva contro l’altro gli effetti sono la ‘deflagrazione’ dell’essere. Allora sono lenitive, curative, le parole espresse dalla famiglia valdese che parlano di tolleranza e amore. Come si può guarire dalla ferita lacerante del male subito e del male compiuto? Il processo di guarigione riguarda tutti, anche noi che assistiamo impotenti, che siamo umiliati dall’ essere spettatori non solo dall’efferatezza ma anche dall’incapacità politica a trovare risposte. La politica non basta, non ha strumenti sufficienti, non riesce a perdere di vista il proprio ombelico. La religione ha fallito nel tentativo di salvarsi il tempio e le casse: talvolta è stata ed è protagonista della deflagrazione. Resta la fede, nell’uomo e nella sua capacità di guarigione.

(…). Quanto suonano violente e regressive allora le parole che istigano alla vendetta e alle deportazioni in massa del ‘nemico’… da quei sentieri non si va da nessuna parte, anzi da una parte si va di certo: quella del carnefice!

Scegliamo di non tradire le vittime: scegliamo la vita che è stata divelta, proseguiamo e portiamo a compimento la strada sottratta all’innocente.


MARIA CRISTINA BARTOLOMEI

 

Il 7 novembre 1917 scoppiò in Russia la «Rivoluzione d’ottobre» (quando l’antico calendario russo venne adeguato a quello gregoriano la data slittò da un mese all’altro); nel febbraio-marzo dello stesso anno vi era stata una prima rivoluzione liberal-borghese, che mirava a sostituire lo Zar Nicola II. I movimenti di sinistra si attivarono, chiesero una Costituente, cominciarono a organizzarsi in soviet, che divennero poi il nerbo della rivoluzione bolscevica.

Il regime sovietico è crollato; quasi scomparsi dalla faccia della terra o in via di radicali trasformazioni (e deformazioni; ad esempio, in Cina) sono sia il suo tipo di comunismo sia altri tipi. I cattolici, soprattutto italiani, ricordano la scomunica latae sententiae (cioè automatica) comminata nel 1948 da Pio XII a chi avesse sostenuto il partito comunista.

I motivi di condanna dei modelli di comunismo realizzato sono gravi e noti: mancanza di libertà individuali; di rispetto dei diritti umani; repressione religiosa e ateismo di stato. L’impianto economico comunista, come tale (al di là delle deviazioni totalitarie dei regimi), è criticato in quanto non ‘funziona’, non produce benessere e ricchezza (purtroppo, a parte le comunità religiose, solo lo scopo del lucro e interesse privati pare riesca a motivare gli esseri umani!). Il 90° anniversario della rivoluzione non sarà dunque molto celebrato, tanto meno dai cattolici. Perché allora ce ne occupiamo?

Perché il comunismo può essere una risposta sbagliata, ma il drago che ha affrontato è vivo, i problemi che ha denunciato e cercato di risolvere sono veri e, nel quadro del capitalismo, si sono aggravati. Sono i problemi della ingiustizia, orrenda, gravissima che vige nei rapporti tra gli esseri umani; dello sfruttamento di molti a vantaggio di pochi, che vuol dire miliardi di vite triturate nelle rotelle dell’ingranaggio che produce benessere sufficiente a tacitare le nostre coscienze, e opulenza nonché potere di dominio del mondo (anche con l’uso della guerra) nelle mani di pochissimi. Prima del movimento socialista non si ricordano sollevazioni cristiane contro la trasformazione in merce dell’uomo, contro le condizioni disumane di lavoro, anche di donne e bambini.

Ci furono molte generose iniziative di assistenza (quante congregazioni religiose!), ma non azioni politiche a contrasto di quell’ordine costituito. Diritti oggi (o almeno sino ad ieri!) considerati ovvi furono conquistati a prezzo di dure e sofferte lotte: senza l’incitamento del movimento socialista, tutto ciò non sarebbe accaduto. Il comunismo ebbe certo torto a indicare in Dio e nella religione il nemico della promozione umana. Ma più grave torto lo ebbero i cristiani a non schierarsi con gli ultimi, a non opporsi ai potenti che li opprimevano. Che Dio ci perdoni per come il suo volto e il messaggio dell’Evangelo sono stati deformati dalla prassi delle Chiese!

C’è chi si è compiaciuto di redigere il ‘libro nero’ delle vittime del comunismo: azione, come minimo, incauta. Altri potrebbe infatti redigere il libro nerissimo delle vittime del capitalismo, che non sono finite e comprendono non solo i miserabili del Sud del mondo sfruttati dalle multinazionali e in mille altri modi, ma anche i bambini cui negli USA oggi viene negata assistenza sanitaria gratuita. Dall’alba del capitalismo, quanti milioni sono morti di stenti, fame, fatica, guerre fatte per motivi economici, quante vite sono schiacciate dall’unico criterio del profitto? E qualcuno potrebbe addirittura scrivere un libro nero del cristianesimo ‘reale’: un libro di persecuzioni e violenze; di repressioni; di inadempienze, ritardi, cecità nel cogliere i bisogni del mondo. Ci ribelleremmo, e con ragione; un ideale non si misura solo dai modi devianti in cui viene realizzato, dai tradimenti dei suoi  portatori: un criterio che abbiamo il dovere morale di applicare anche nel caso del comunismo.

Il comunismo, accusato di ridurre l’essere umano a solo fatto economico, in realtà fa da specchio al modo in cui va il mondo: non siamo oggi (in democrazia) assuefatti a vedere valutare tutto sul piano del mercato?!

La tragica contraddizione tra mezzo e fine del comunismo fu l’uso della violenza per ottenere la liberazione sociale. Ma la spinta dell’ottobre 1917 fu l’indignazione per l’ingiustizia; la ricerca della giustizia per tutti, della eliminazione dei rapporti di dominio (purtroppo perseguita eliminando fisicamente i dominatori); fu la convinzione che, al di qua delle legittime differenze, gli esseri umani sono uguali e hanno uguali diritti: l’esatto contrario di ciò che ispirò i totalitarismi fascisti, ai quali a torto il comunismo viene assimilato. Il comunismo aprì un orizzonte di speranza e dignità a milioni di oppressi, che si riconobbero ‘compagni’: uomini che condividono lo stesso  pane (quali assonanze per i cristiani!). Non lo rimpiangiamo, ma abbiamo l’onere di rispondere ai problemi che affrontò, di trovare vie più umane di economia e società; il suo fallimento ci interpella: «cercate ancora!».