[Daniele Marchesini • 20.12.03] Finalmente il parroco è riuscito nel suo intento: chiudere il Teatro Glisenti. Un obbiettivo a lungo rincorso, sin dal suo primo insediamento, quando disse chiaro e tondo a noi: “Il Teatro lo tengo aperto fintanto che mi sarà economicamente utile”...

LETTERE. COLOGNOLA AI COLLI (VR): CHIUSO IL TEATRO GLISENTI. LA PROTESTA DELLA COMPAGNIA TEATRALE

Finalmente il parroco è riuscito nel suo intento: chiudere il Teatro Glisenti. Un obbiettivo a lungo rincorso, sin dal suo primo insediamento, quando disse chiaro e tondo a noi: “Il Teatro lo tengo aperto fintanto che mi sarà economicamente utile”.
Capimmo subito che i tempi erano cambiati e che l’entusiasmo e la fiducia data a noi della Compagnia Teatrale “La Moscheta” da Monsignor Caprini stava per venire meno.
Nella mente di don Giuseppe Facci, preposto della Parrocchia SS. Fermo e Rustico di Colognola ai Colli, stava prendendo forma da subito la costruzione di un centro diurno per anziani, molto redditizio, visto i tempi che corrono…E a nulla valsero le proteste nostre e della figlia Glisenti, la quale rivendicava il volere della madre “purché lo stabile sia adibito a opere religiose e morali”. Ora ricavare della morale con queste ambizioni lo troviamo decisamente ridicolo e poco consono per un uomo di chiesa. Abbiamo lavorato in Teatro per ventitré anni senza mai intascare un centesimo: sono cresciuti con noi tantissimi ragazzi, si è sudato e gioito con l’unico intento che l’arte può salvare l’uomo dall’intossicazione, dalle illusioni e dai miracoli. In un tempo in cui la diplomazia, la politica e la religione, hanno armi così terribilmente corte e deboli, le delicate spalle dell’arte devono sopportare la pesante responsabilità di mantenere stretti i legami fra gli uomini. Quello che abbiamo fatto è sotto gli occhi di tutti, solo la cecità di don Giuseppe non gli ha permesso di vedere chiaramente obbiettando sull’operato “morale” di quello che facciamo. Ha inoltre rilasciato dichiarazioni di una falsità imbarazzante al quotidiano “l’Arena” il 28 novembre, asserendo che il Teatro è privo di bagni e camerini quando è stato proprio lui a demolire quei bagni e quei camerini, costruiti non più di dieci anni fa, quando era stato ristrutturato e messo a norma antincendio il teatro stesso, usando denaro sia da parte della parrocchia sia del comune. Non soddisfatto ha aggiunto che si usano i servizi igienici del cortile, causando disagio agli anziani quando sono all’esterno. Ma quando mai si è visto un anziano passeggiare fuori dalla casa di riposo? E di sera per giunta? Si stanno spendendo soldi per una struttura che non ha ragione di esistere, perché non ha il minimo dei requisiti per essere una vera Casa di riposo: non si trova un metro quadro di verde all’esterno, il cortile è un cantiere aperto da quasi venti anni, molti anziani non vedono mai la luce del sole perché non scendono dal terzo piano, infine, sono dei reclusi perché non hanno una struttura adatta per viverci decorosamente. Abbiamo gestito il teatro in questi anni, come fosse casa nostra, non cosa nostra, come intende il parroco, che ci accusa di aver abusato dello stabile per fare quello che vogliamo, noi che abbiamo speso di tasca nostra per la manutenzione ordinaria e straordinaria, mentre il parroco godeva dei soldi della convenzione (seimila euro l’anno) senza mai intervenire minimamente se non sulle spese di riscaldamento, peraltro legate alla casa di riposo visto che la caldaia è in comune.
Non siamo in casa d’altri, don Giuseppe, il Teatro appartiene a tutta la Comunità che lo desidera fortemente, come lo dimostrano le oltre 800 persone che hanno assistito alle ultime rappresentazioni nella primavera scorsa. E noi ci siamo spesi rendendolo confortevole, accogliente, pulito e disponibile per tutti quelli che lo hanno chiesto, prestando spesso nostro materiale a coloro che lo hanno usato (taluni, ignari della convenzione con il Comune, hanno pure pagato l’uso a lei, che sappiamo ha intascato).
Abbiamo cercato di costruire un ambiente che riesca dialogare, attraverso corsi, stage, messe in scena, con il passato, la scuola e il paese onorando sicuramente la volontà della donatrice e la memoria di Monsignor Marangoni prima e Monsignor Caprini poi, specchio di una comunità che ha sempre condiviso la volontà di un teatro. Il teatro è un segnalibro nella storia del nostro paese, la stessa storia, che la sua pochezza si ostina a non riconoscere. Non crediamo di essere presuntosi, ma il volontariato fatto in ventitré anni, a servizio di tutta la comunità, avvalori l’intento morale della donatrice. Vorremmo infine riportare, in breve, il discorso fatto dal Papa agli artisti alla Scala di Milano: “Oggi c’è dubbio, c’è tristezza, c’è purtroppo assai diffusa una vasta crisi morale. Oggi c’è bisogno di costruire. E il mondo della cultura e dell’arte è chiamato a costruire l’uomo: a sostenere il cammino nella ricerca, spesso tormentata, del vero, del bene, del bello. La cultura e l’arte, sono unità, non dispersione; sono ricchezza, non depauperamento; sono ricerca appassionata, talora tragica, ma finalmente anche sintesi stupenda, nella quale i valori supremi dell’esistenza, anche nei suoi contrasti, tra luce e tenebre, chiaramente identificati e identificabili, sono ordinati alla conoscenza profonda dell’uomo, al suo miglioramento, non al suo degrado”. (Exmeron  v, 10, 75; pl XIV, 272)
Trarre profitto con centri diurni è il vero intento che cresce nella sua parrocchia, coperti da superiori che non si sono mai degnati di rispondere alle innumerevoli richieste di chiarimento in tal senso. Siamo troppo piccoli per essere ascoltati, nemmeno le autorità politiche hanno espresso un loro parere, salvo che in ultima analisi si desse il consenso per un cambio di destinazione d’uso del teatro, così da coronare l’ultimo atto rivoltante di un sistema che si sta prodigando per un salto all’indietro, nel buio di una mediocrità che uccide qualsiasi valore morale e umano.
Bisogna stare attenti affinché la nostra coscienza resti sveglia, vigile, e i cittadini di Colognola lo sanno, è giunta l’ora di prenderne atto e di cacciare i mercanti dal Tempio. È necessaria un’ecologia dello spirito, al servizio dell’uomo. Per questo l’uomo ha bisogno del teatro per avere un luogo di calma all’interno dell’avventura della vita, l’occhio al centro del ciclone, da cui osservare l’antica rivelazione di un uomo che doveva confrontarsi con Dio per costruire il proprio destino.
 
Daniele Marchesini, a nome di tutta la Compagnia teatrale