[di Margherita Hack • 11.03.04] La riforma Moratti per l’Università si propone di affossare definitivamente un organismo che pur fra molte pecche e difficoltà economiche è in grado di dare una buona preparazione agli studenti e di fare buona ricerca, come dimostra il successo dei tanti ricercatori costretti a lavorare all’estero, i numerosi progetti di ricerca che ottengono finanziamenti europei e i risultati ottenuti in campo internazionale dai nostri gruppi di ricerca...

MARGHERITA HACK. UNIVERSITA’: IL LUOGO DEL DELITTO

La riforma Moratti per l’Università si propone di affossare definitivamente un organismo che pur fra molte pecche e difficoltà economiche è in grado di dare una buona preparazione agli studenti e di fare buona ricerca, come dimostra il successo dei tanti ricercatori costretti a lavorare all’estero, i numerosi progetti di ricerca che ottengono finanziamenti europei e i risultati ottenuti in campo internazionale dai nostri gruppi di ricerca.
In particolare per quanto è di mia conoscenza diretta, nell’ambito di istituzioni europee e internazionali come il Cern, l’Eso, l’Esa, lo Science Institute per il telescopio spaziale Hst, risultati ottenuti con l’esperimento Boomerang con strumentazione costruita alla Sapienza o il satellite italo-olandese Beppo Sax, due esperimenti che hanno portato un enorme contributo alla cosmologia e all’astrofisica.
La riforma Moratti è stata sviluppata, secondo il costume antidemocratico che caratterizza l’attuale governo, senza nessuna concertazione o discussione con gli addetti ai lavori, e perseverando nel malvezzo di utilizzare lo strumento della legge delega, impedendo al Parlamento una libera discussione e in definitiva espropriando il Paese del principale strumento di democrazia.
Mentre da una parte si propone il cambiamento dello stato giuridico dei docenti e di un maggiore controllo della loro attività, dall’altra si elimina la distinzione fra docente a tempo pieno e docente a tempo determinato, mettendo sullo stesso piano chi si limita alle ore di lezione e svolge una sua proficua attività privata e chi dedica tutto il suo tempo all’università, tempo che è ben più lungo delle ore di lezione. È ridicolo parlare di un obbligo di 300 o poco più di ore di lezione, e cioè meno di un’ora al giorno, dimenticando che il docente a tempo pieno spende ben più di 7-8 ore al giorno per la ricerca sua e con i suoi collaboratori, per seguire le tesi di laurea e quella di dottorato, per compiti organizzativi, per partecipare alle riunioni di Consiglio di dipartimento, Consiglio di corso di laurea, Consigli di facoltà: dimenticando che l’Università non è un grande esaminificio ma un luogo in cui si programma e si svolge la principale attività di ricerca del Paese, e soprattutto quella ricerca di base che ha per scopo il progresso della conoscenza, senza necessariamente fini economici ed applicativi, ma senza la quale anche la ricerca applicata si inaridisce e non è in grado di mantenere competitivo il nostro sistema industriale.
È disastrosa la proposta di abolire il ruolo dei ricercatori e sostituirlo con contrattisti a tempo determinato. Forse il ministro Moratti non sa che un giovane neo dottore di ricerca, dopo tre anni trascorsi facendo ricerca per l’ottenimento del dottorato con una borsa di studio di mera sopravvivenza, di solito non ottiene subito un posto di ricercatore, ma è costretto a fare centinaia di domande a istituti italiani ed esteri e generalmente ottiene un contratto di ricerca per uno o più anni, per cui quando vince un concorso di ricercatore ha dietro alle spalle dai quattro ai sette e più anni come ricercatore precario. Molti di questi giovani (ormai più che trentenni) tornano in Italia per ragioni familiari o affettive se almeno li aspetta la sicurezza di poter seguitare la propria ricerca sia pure con uno stipendio inferiore a 1000 euro. Ma molti, bene inseriti in istituzioni europee o americane, non torneranno. È così che si vuole evitare la fuga dei cervelli?
Inoltre le università ricevono un apporto notevolissimo al loro funzionamento da parte dei ricercatori, che sono fondamentali per la ricerca, ma anche divenuti indispensabili per la didattica. E questo è uno dei gravi difetti delle nostre università, perché il ricercatore dovrebbe fare prevalentemente ricerca e dedicare un tempo limitato alla didattica. Infatti la didattica è fondamentale anche al ricercatore per approfondire le proprie conoscenze, ma caricare sui ricercatori i corsi più pesanti e ripetitivi, come spesso avviene oggi, è deleterio, perché sottrae loro un enorme tempo alla ricerca, e va ricordato, che è fatto ben noto, che le maggiori scoperte, la ricerca più innovativa, soprattutto nelle scienze, la fanno i giovani.
Inoltre se si vuole veramente migliorare il funzionamento delle nostre università, occorrono adeguati finanziamenti, aule e laboratori sufficienti per tutti gli studenti, case e mense per gli studenti fuori sede, borse di studio per i meritevoli di disagiate condizioni economiche, ed evitare propagandistiche creazioni dal nulla di fantomatici istituti come il tanto reclamizzato Istituto italiano di tecnologia, che nessuno sa cosa farà, ma che è già, a scatola vuota, foraggiato con cifre che per le università sono iperboliche. Ma non si voleva riformare il CNR dedicandolo soprattutto alla ricerca applicata? E allora perché non incrementare il CNR? Perché questo spreco di pubblico denaro per un coniglio tirato fuori improvvisamente dal cappello del mago Tremonti?
Quali discussioni ci sono state su tutto questo, non dico con gli addetti ai lavori, che per principio questo governo ignora sistematicamente, sia che si tratti di scuola, di università, di giustizia, di salute, ma almeno in Parlamento.
Questo in cui viviamo non sarà un regime, ma è certamente una dittatura della maggioranza.


Margherita Hack è Professore emerito dell’università di Trieste. Socio nazionale dell’Accademia dei Lincei.