NATALE: OLTRE IL RITO UN MODO DI VIVERE


Natale segna per tutti noi la nascita di una speranza nuova. È tempo di affetti, incontri, ricordi. Per un giorno non siamo travolti dalle cose, dal fare, dal vendere e comprare. Nella tenerezza di un bambino, il Vangelo svela la sfida e la promessa di Dio che ci chiede di essere preso sul serio. Va al cuore del nostro essere, illumina in modo nuovo la nostra vita, la società, questi tempi, suggerendoci di essi una visione più saggia per scelte nuove e migliori.

E venne ad abitare in mezzo a noi.

Dio si è incarnato e donato in silenzio. La logica della gratuità squarcia la scena di questo tempo, spesso sacrificato sull’altare del profitto. L’Onnipotente in Cristo non si è accontentato di farsi prossimo, si è fatto nostra carne. Il mistero del suo dono ci chiama a giocarci su sentieri di prossimità. Gli operai bruciati a Torino dicono dell’uomo ridotto a mezzo per produrre cose: di fronte a gente valutata come prestazione, a logiche fatte di calcolo e interesse il Cielo grida nel vagito di un bimbo che l’uomo è il primo valore. Il Dio del Natale ci ricorda ciò che è più importante aiutandoci a riscrivere l’ordine di valore nelle nostre vite.

Per loro non c’era posto nell’albergo.

Dio che viene sceglie di stare con i chiusi fuori, con gli esclusi e chiede a noi da che parte stiamo. Il mondo è sottoposto al suo giudizio, come scure posta alla radice, dice Giovanni. Egli è segno di contraddizione, ed emergono anche le esclusioni di oggi. Non c’è più tanto spazio e tempo per accogliere la vita di questi tempi, il circo dei media è ammalato di morte, patologicamente ostenta il delitto. Nello sfolgorio dell’apparire l’anziano, il povero, il malato scompaiono; la famiglia è un orpello superato. Non c’è spazio per il Darfur o il Bangladesh, non per la crisi in cui mutui e rincari getta tante famiglie, non per la drammatica consumazione della natura. Spazziamo tutto sotto il tappeto del silenzio: non c’è più posto per i poveri lontani né per i sofferenti della porta accanto. Natale mette a nudo le ipocrisie, il far finta di niente, porta oltre i discorsi vuoti «di pancia». Spopolano sulla bocca di molti sindaci: parole per accendere paura e diffidenza, che lasciano digiuni la testa e il cuore, che pongono le basi della totale dis-integrazione e dello scontro. Si rinnega la legge, snobbando i complessi percorsi di legalità, per la quale si mobilita «contro». Si arrivano a elogiare i metodi delle SS, si pre-giudica con le equazioni straniero uguale a delinquente, povertà uguale a illegalità. Non è la strada del Vangelo, non serve a noi per affrontare i nodi di un Paese che ansima in difficoltà, per di più senza memoria del nostro passato prossimo.

Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama.

Eppure, Dio incarnato fa dell’uomo il «Suo figlio» nel Figlio, accende la riflessione sul bene comune, su ciò che è più opportuno e giusto per l’uomo di oggi. Dà respiro lungo alla speranza, apre un sogno concreto e costruttivo, che esige la nostra risposta e progettualità. Ci dischiude le porte di un mondo nuovo e più giusto, come Isaia profetizzava. Ci dice che è possibile una città in cui gli uomini siano prima amati che giudicati, in cui l’amore e l’umanità vengano prima del dare avere, che la pace tra i popoli non si può ma si deve fare come unica via concreta e possibile, fondata su un Dio che non vuole scontri di civiltà, ma è il Misericordioso, il Principe della pace. Ci racconta che, in fondo, la «favola» di Natale, fatta di amore e dono, di accoglienza delle persone e di rispetto della giustizia, è la ricetta più buona, concreta e completa perché l’uomo di oggi, complesso e globale, si rimetta in cammino.

don Giovanni Sandonà

direttore della Caritas Diocesana Vicentina

con gli altri Direttori delle Caritas Diocesane

del Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia