«LA BASE USA DAL MOLIN È ANTIEVANGELICA E NEMICA DEI POVERI». INTERVISTA AD UN PARROCO VICENTINO

Non demorde il movimento «No Dal Molin» che si oppone alla costruzione di una nuova base militare statunitense a Vicenza, nell’area dell’aeroporto civile Dal Molin. Dopo l’imponente manifestazione del 17 febbraio 2007, quando oltre 200mila persone scesero in piazza, dopo un anno di presidio permanente nell’area dove dovrebbe sorgere la base, lo scorso 15 dicembre più di 50mila persone – la maggior parte cittadini vicentini, ma anche significative presenze dal resto d’Italia e qualche delegazione dei movimenti europei – hanno attraversato le strade della città, spingendosi fino al Dal Molin, per ribadire il loro no alla militarizzazione del territorio e alla costruzione di un nuovo avamposto della guerra preventiva.

Una protesta che però sembra non smuovere di un millimetro il governo italiano – che prima con Berlusconi e poi con Prodi ha dato il suo placet alla nuova base –. Appena due giorni prima della manifestazione, a Washington, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il ministro degli Esteri Massimo D’Alema avevano ulteriormente rassicurato l’alleato americano: «Sulla base di Vicenza – aveva garantito il vicepremier al segretario di Stato Usa Condoleeza Rice – la questione è risolta». Sembra così segnato il percorso che a breve porterà alla costruzione, a poco più di un chilometro dal centro storico di Vicenza dove c’è già un’altra base militare statunitense (la Ederle), del più grande aeroporto militare Usa in Europa, sede della 173.ma Brigata aviotrasportata – creata per la guerra in Vietnam, attualmente impegnata sia in Iraq che in Afghanistan – aumentata fino ad un massimo di 8mila soldati. Un’operazione che costerà a George Bush poco quasi 500 milioni di dollari: tanti ne ha chiesti al Congresso il Dipartimento della Difesa Usa.

In prima fila nel movimento «No Dal Molin», molti cattolici di base – dai movimenti e associazioni come Pax Christi e i Beati i Costruttori di Pace, parrocchie, singoli credenti – persuasi che la nuova base è antievangelica in quanto strumento di guerra. Alla manifestazione del 15 dicembre c’erano anche i 53 sacerdoti che hanno scritto e consegnato a Paolo Costa, rappresentante della Presidenza del Consiglio per le questioni relative all’attuazione della base Dal Molin, un documento con il quale manifestano la loro opposizione alla base.

Fra questi, don Fabrizio Cappellari (nella foto), da due anni parroco a Quinto Vicentino, un piccolo comune di 5mila abitanti a ridosso di Vicenza dove sarebbe dovuto sorgere un ‘villaggio’ di 220 abitazioni per i militari statunitensi e le loro famiglie (circa 2mila persone). Un progetto che all’inizio sembrava avere ottenuto il favore dell’amministrazione comunale – che vi scorgeva ricadute economiche positive per il paese – ma che poi è stato bocciato con un voto unanime del Consiglio comunale.

don fabrizio cappellariAdista ha intervistato don Cappellari.

D: Cosa è successo nella tua parrocchia quando l’anno scorso avete saputo della costruzione della nuova base al Dal Molin?

R: Ho subito proposto di incontrarci per parlare della questione e, dopo questa assemblea, abbiamo deciso di avviare un percorso comunitario di approfondimento e di discernimento sulla base. Ci sono stati incontri e dibattiti pubblici, fiaccolate, veglie di preghiera; il Consiglio pastorale e le varie associazioni presenti in parrocchia hanno preso la parola e prodotto documenti.

D: E a quali conclusioni siete giunti?

R: Che il progetto della nuova base è contro il Vangelo perché è un progetto di guerra, e la guerra è sempre contro i poveri.

D: Come valuti la manifestazione del 15 dicembre?

R: Mi sembra che la manifestazione sia andata bene. C’è stata una buona partecipazione, per quanto inferiore alla manifestazione di febbraio: ma almeno 50mila persone – la maggior parte delle quali di Vicenza – sono scese in strada contro la base. Soprattutto, continuano a mobilitarsi non solo i pacifisti storici, che da almeno 30 anni sono attivi a Vicenza sui temi della pace e dell’antimilitarismo, ma i cittadini e i cattolici che prima non si muovevano. Hanno capito che quella della base è una questione importante.

D: Tuttavia, nonostante tutto, il governo sembra intenzionato ad andare avanti per cui, a meno di un miracolo, la base si farà. Non c’è il rischio che la delusione sia grande e che parte del movimento ripieghi nel privato o, peggio, nel qualunquismo?

R: Io non sono in grado di fare queste previsioni, non so quello che succederà. Però so per certo che si è avviato un percorso di coscientizzazione da cui sarà difficile tornare indietro. Quello che è accaduto in questi mesi, anche in parrocchia, ha cambiato la vita di molte persone: si sono scoperte in grado di vincere la paura e la rassegnazione, hanno preso la parola pubblicamente, hanno sperimentato l’importanza e la necessità di dire la loro e di non delegare, si sono mostrate attente al mondo e all’altro. Se la base, come sembra, si farà, forse qualcuno si fermerà perché la delusione sarà forte, ma credo che le persone, in maggioranza, non torneranno indietro rispetto al cammino avviato: resteranno in piedi e vivranno da risorti, non da morti, come mi capita di dire spesso.

D: Secondo te la Chiesa, a cominciare da quella di Vicenza, ha fatto e ha detto tutto quello che poteva?

R: No. La Chiesa vicentina ha semplicemente scelto di restare ai margini e di non parlare: né contraria né favorevole alla base, semplicemente in silenzio perché, così è stato spiegato a molti di noi preti che ci siamo attivati, la questione della base non è un terreno sul quale la Chiesa deve entrare. Eppure io credo che il Vangelo debba incarnarsi nella vita, nel mondo. Mi sembra che la Chiesa si sia mostrata molto paurosa. Però dal basso, dalle parrocchie si è sprigionato un movimento che mi pare davvero una novità importante. Ed è questo movimento, che parte dal basso, che mi fa essere fiducioso sul futuro della Chiesa.

Luca Kocci (Adista)

Fonte: ADISTA n. 1/2008