[A CURA DI "LIBERA - PALERMO" • 14.05.02] Il decennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio non deve essere soltanto una data celebrativa, ma può rappresentare un’occasione utile per riflettere sullo stato della lotta contro il fenomeno mafioso e per rilanciare il movimento antimafia.

PALERMO CHIAMA CONTRO LE MAFIE

Dopo le stragi del ’92 e del ‘93 si sono certamente raggiunti dei risultati importanti, con nuove leggi, gli arresti e le condanne di capi e gregari, le inchieste sui rapporti tra mafiosi e politici. La società civile ha risposto con grandi manifestazioni, la rete di comitati e associazioni si è infoltita e diffusa, si sono costituite le associazioni antiracket e si sono moltiplicate le iniziative nelle scuole e nei quartieri e finalmente ha cominciato a prendere corpo l’uso sociale dei beni confiscati ai mafiosi. Negli anni successivi Cosa Nostra ha cambiato strategia controllando la violenza, e la cosiddetta “mafia invisibile” è stata scambiata per sconfitta o inesistente. Si è avvertito un arretramento dell’azione istituzionale, la legislazione ideata e attuata in un’ottica di emergenza, in risposta alla sfida mafiosa, è stata smantellata o attenuata, la collaborazione con la giustizia è stata scoraggiata, l’azione dei magistrati è diventata sempre più difficile, la responsabilità politica di cui parlava la Commissione antimafia nel 1993 è rimasta sulla carta e, paradossalmente, si sono moltiplicate le richieste di risarcimento rivolte a giornalisti, studiosi e familiari delle vittime, allo scopo d’instaurare un clima d’intimidazione nei confronti di chiunque intenda far conoscere, commentare o studiare il persistente fenomeno delle contiguità tra politica, mafia e affari. Ed è proprio su questo aspetto che i risultati processuali sono stati deludenti: se, per un verso, sono state accertate le responsabilità di Cosa Nostra, per l’altro, non si è riusciti a colpire le complicità che si annidano nell’ambito dei “poteri forti”, sia economico-finanziari che politico-istituzionali. Purtroppo non è una novità, nella storia delle stragi dell’Italia repubblicana, che, solo in qualche caso, siano stati scoperti e condannati gli esecutori, ma giammai i mandanti. Come, ormai, è ampiamente documentato dal lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi e il terrorismo della scorsa legislatura, l’intreccio tra poteri legali e illegali è intimamente legato ai condizionamenti internazionali derivanti dalla delicata collocazione geo-politica dell’Italia, paese di frontiera tra Est ed Ovest dalla “guerra fredda” fino all’89 e, tuttora, avamposto strategico al centro dell’area mediterranea. Ciò spiega le ragioni per cui non si è mai riusciti a fare piena luce sulle trame eversive e sugli intrecci tra mondo degli affari, mondo politico, servizi segreti, massoneria e mafia che hanno pesantemente condizionato l’Italia della prima repubblica. D’altra parte l’odierna situazione internazionale, caratterizzata dal superamento del bipolarismo e dalla proliferazione dei conflitti armati su scala mondiale, non è certamente favorevole all’azione di contrasto del fenomeno mafioso perché insieme alle guerre cresce, naturalmente, il controllo delle mafie transnazionali sul traffico di armi, droga ed esseri umani. Inoltre la gestione oligarchica degli organismi internazionali, il ruolo egemone degli USA in un mondo tendenzialmente unipolare e i condizionamenti speculativi delle lobbies finanziarie transnazionali rappresentano l’humus propizio per il proliferare della criminalità finanziaria, delle mafie e della corruzione. E’ in questo scenario che va inquadrata la nostra forte preoccupazione per le scelte dell’attuale governo in materia di lotta alla mafia e di giustizia. Già i primi segnali sono inequivocabili: le vicende del Commissario antiracket; la riduzione delle scorte ai magistrati più esposti nella lotta alla mafia e alla corruzione; le improvvide dichiarazioni sulla necessità di “convivere con la mafia” pur di realizzare faraoniche e discutibili opere pubbliche eliminando o riducendo i controlli di legalità. Ma è ancora più preoccupante la successiva approvazione di una serie di leggi, come la depenalizzazione del falso in bilancio, l’inutilizzabilità delle rogatorie internazionali per insignificanti vizi di forma, le facilitazioni per il rientro dei capitali dall’estero senza adeguati strumenti di contrasto delle varie forme di riciclaggio internazionale, provvedimenti da cui sembra emergere una strategia di legalizzazione dell’illegalità, a tutela degli interessi privati e per assicurare l’impunità dei potenti. Inoltre, mentre nulla di serio viene fatto per risolvere il conflitto di interessi, si assesta un duro colpo alla libertà e al pluralismo dell’informazione attraverso l’occupazione della RAI  e l’intimidazione nei confronti dei giornalisti non allineati. Infine, gli attacchi alla magistratura assumono il carattere di un vero e proprio conflitto istituzionale, che non nasconde, ormai, l’intenzione di ridurre drasticamente l’indipendenza del potere giudiziario, mettendo discussione un pilastro fondamentale della democrazia e dello Stato di diritto. La vicenda dell’accordo sul mandato di arresto europeo, condizionato all’obiettivo di eliminare dalla Costituzione l’obbligatorietà dell’azione penale e l’indipendenza dei pubblici ministeri dall’esecutivo, è un preciso ricatto: si vuole far credere che sia l’Unione Europea a imporre mutamenti radicali e pericolosi che invece fanno parte integrante della strategia governativa. Infatti, tale strategia prevede una riforma dell’ordine giudiziario che lede l’autonomia e l’indipendenza della magistratura: a) con il ridimensionamento del potere e del ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura, già avviato con la riforma del sistema elettorale e con la riduzione del numero dei suoi componenti; b) con una separazione rigida delle funzioni tra giudici e pubblici ministeri, in grado di prefigurare la separazione delle carriere e, conseguentemente, la dipendenza dall’esecutivo; c) con l’assegnazione di un nuovo ruolo alla Corte di Cassazione che, più influenzabile dall’esecutivo, potrà incidere sugli sviluppi di carriera dei magistrati; d) con l’istituzione di una scuola di formazione dei magistrati presso la Cassazione, diretta da un comitato di membri eletti con il concerto del Ministro di Giustizia. A tutto ciò bisogna aggiungere la recente proposta di legge di riforma del codice di procedura penale e del codice penale che sottrae potere a giudici e pm, crea una sorta d’impunità per gli imputati con più di 65 anni di età,  aggrava le pene per l’abuso d’ufficio  commesso da un magistrato fino a 18 anni di reclusione e obbliga i giudici ad astenersi dal processo se “sospettati” di non essere imparziali a causa di “comportamenti o manifestazioni di pensiero o adesione a movimenti o associazioni” non graditi dall’imputato.Di fronte a una situazione così grave, che non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana, non possiamo limitarci a protestare; occorre una mobilitazione, la più ampia e capillare possibile, che rilanci la lotta contro la mafia e promuova delle vere e proprie vertenze dei movimenti della società civile  e delle forze democratiche contro l’illegalità legalizzata, a partire dai seguenti obiettivi: 1.l’abolizione delle leggi che legalizzano l’illegalità, aderendo all’appello lanciato, tramite MicroMega, da alcuni dei più autorevoli intellettuali italiani per un referendum abrogativo delle norme sul falso in bilancio e sulle rogatorie; 2. la difesa dei principi della Costituzione che garantiscono l’indipendenza della magistratura e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, opponendosi ad un progetto complessivo di riforma della giustizia che, nelle sue varie articolazioni, tende ad aggirare le norme costituzionali ed a subordinare il potere giudiziario al potere esecutivo; 3. la difesa della libertà di informazione, di opinione e di ricerca, garantita dalla Costituzione, con una vera soluzione del conflitto di interessi, con una riforma della RAI che la renda pluralista e indipendente dall’esecutivo, con una nuova regolamentazione legislativa in materia di diffamazione e la costituzione di un Fondo di solidarietà; 4. la riaffermazione della distinzione, proposta dalla Commissione parlamentare antimafia del ’93, tra responsabilità penale e responsabilità politica (spetta alle assemblee rappresentative, e ad ogni forza politica al proprio interno, individuare e stigmatizzare tutti quei comportamenti che, indipendentemente dall’accertamento di eventuali reati di esclusiva competenza della magistratura, siano ritenuti incompatibili con l’esercizio di funzioni politiche); 5. l’opposizione alle misure di ridimensionamento di importanti norme antimafia quali l’applicazione dell’articolo 41/bis, la protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia e l’utilizzo delle loro dichiarazioni, le forme di tutela e protezione di magistrati e altri soggetti impegnati nella lotta alle mafie. Una particolare attenzione in tal senso va posta nei confronti delle recenti iniziative di revisione delle sentenze di condanna già passate in giudicato, imponendo l’adeguamento ai principi successivamente introdotti nella Costituzione sul giusto processo. In questo modo decine di pericolosi capimafia potrebbero tornare in libertà e riprendere ad esercitare il controllo diretto delle organizzazioni criminali che ancora sono attive e radicate nel territorio; 6. il riordino della legge 109/96 sull’utilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia, in modo da rendere il meccanismo di assegnazione più rapido ed efficiente e la promozione di una legge che estenda la confisca dei bene ai corrotti. Nel denunciare il clima complessivo di grave delegittimazione dei protagonisti e dei simboli del movimento antimafia, che induce a considerare la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione politica e finanziaria una stagione ormai superata, Palermo chiama a una mobilitazione, la più ampia possibile, che, sulla base di questa piattaforma leghi tra loro le numerose iniziative che si terranno dal 9 maggio (anniversario dell’assassinio di Peppino Impastato) al 26 luglio (anniversario della morte di Rita Atria), e che veda come momento culminante una grande manifestazione nazionale per il pomeriggio del 23 maggio davanti all’albero Falcone.