Nel documento si afferma che nella Repubblica Democratica del Congo le istituzioni non hanno più alcun potere sul conflitto, ufficialmente datato dal 1998: ampie zone del paese sono sotto il controllo degli altri eserciti implicati, e questo consente di gestire le miniere di diamanti, il coltano, il niobio, i legnami pregiati, il caffè. Sono stati depredati il bestiame come le banche: appena l’esercito ruandese controllava una zona, scrive il rapporto, le banche venivano svuotate di tutto il denaro che avevano, poi i militari passavano alle case, spogliando gli abitanti dei pochi averi, dei loro abiti, del raccolto dei campi. Certi burundesi partecipano anche allo sfruttamento della scorza di Primus Africana, un albero noto e usato in medicina per il trattamento della prostata. Questo albero cresce nelle foreste del Sud-Kivu, in Congo, mentre non cresce in Burundi. Così per i diamanti: il Ruanda non estrae diamanti dai propri territori, eppure li esporta. Così l’Uganda e il Burundi, ambedue non produttori di oro, di coltan o niobio, divenuti però esportatori di questi preziosi materiali proprio da quando è attivo il conflitto congolese. Ovviamente, queste spoliazioni avvengono senza il minimo scrupolo verso il territorio e i lavoratori coinvolti. Il rapporto individua i gruppi che si sono arricchiti in questa guerra, la prima “guerra mondiale africana” come è stata definita da Madeleine Albright. A partire dagli eserciti (i soldati vengono pagati proprio con i proventi di questi traffici), ma anche uomini e donne congolesi, che gesticono i trasporti e assicurano i collegamenti usando le poche infrastrutture del paese. Gli autorevoli membri della commissione d’indagine non arrivano chiaramente fino a noi, anche se siamo i destinatari finali dei diamanti, del coltano, dell’oro, del caffè (da un articolo di Cristina Formica). Per richiedere il dossier : tel. 0521/314263.
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