[di Sergio Paronetto • 10.03.02] Cari amici, faccio parte del Consiglio nazionale di Pax Christi. Vorrei esprimere un parere sull' incontro bolognese dei  "social forum"  del 2-3 marzo scorso. L'appello di Alex  Zanotelli  riguardante la pluralità nonviolenta  del  "movimento dei movimenti" e  del Forum Europeo costituisce, a mio parere, la prospettiva più adeguata sia dal punto di vista etico che da quello politico. Per me, è l'unica strada praticabile. Va certamente approfondita.

PARONETTO: LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA

A mio avviso, ad esempio, più che tematizzare la nonviolenza come dottrina o come tecnica, andrebbero studiate le nonviolenze come movimenti storici, come azioni popolari e come stili di vita.  Cioè le esperienze concrete di nonviolenza del Novecento, i volti di pace, le testimonianze reali.  Personalmente, cambierei anche la parola nonviolenza che, per quanto scritta come fosse una parola sola, esprime sempre una carica negativa e può prestarsi a equivoci.  Preferisco “convivialità delle differenze” o azione conviviale. Dovremmo inventarci parole nuove. Dovrebbe nascere una nuova cultura. Secondo me,  ogni azione per la pace deve basarsi sulla coerenza tra mezzi e fini e sull’etica della responsabilità.  Non si può contrastare le guerre favorendo un clima di guerra.  Non si può vincere le violenze tollerando le microviolenze.  Esse possono operare anche in frange del “movimento dei movimenti”, ora per scelta autonoma di pochi, ora per infiltrazione poliziesca, ora per provocazione esterna, ora per ambiguità di comportamento, ora per esibizionismo mediatico.  Cedere alle violenze, siano pure piccole o motivate da nobili ideali, o solo minimizzarle,  significa -scrive Tonio Dell’Olio- ridursi a “stupidi ingranaggi del sistema”. “Scegliere profondamente la parola nuova della nonviolenza” è introdurre un’alternativa etica, una novità storica, un’innovazione politica.  Penso sia la scelta più vera, più buona, più bella, più utile. Le violenze sono certamente diverse tra loro per motivazioni, per consistenza e per responsabilità. In ogni caso, le ritengo “reazionarie”, clonate da quel sistema di violenze e di degrado che si vuole superare. Nelle manifestazioni pubbliche, in particolare, anche la violenza più piccola  rovina il lavoro di anni, offende la dignità di chi lotta, blocca il desiderio di comunicare, paralizza lo spirito di festa, umilia il valore delle proposte, scredita il movimento e accredita la violenza dei potenti che si presentano come garanti di stabilità e salvatori del mondo. Il campo delle nonviolenze, invece, è aperto, inclusivo, compatibile con varie ispirazioni ideali, coerente con i fini auspicati, radicato nella limpida coscienza della personale responsabilità. E’ credibile e liberante. Garantisce tutti gli operatori di pace permettendo una varietà di iniziative, una sperimentazione costante, reversibile, creativa. Fa corpo con l’idea di democrazia, con la sua espansione, con la sua profonda sostanza. E’ un campo stupendo, poco conosciuto perché maltrattato o banalizzato da tanti opinionisti e da molti uomini politici di segno opposto. La dichiarazione di Casarini, riportata da “La Repubblica” il 3 marzo, “la nonviolenza di principio è un’ideologia”, è subalterna all’ ideologia diffusa e trasversale della violenza.  La sento contraria non solo all’annuncio evangelico (per me radicale e rivoluzionario) della pace. La sento  doppiamente sbagliata anche dal punto di vista “marxiano”. Mi riferisco, in primo luogo, all’idea di ideologia come “falsa coscienza” (proiezione nella mente dei rapporti di sfruttamento) perché, in realtà, la scelta nonviolenta è una forma di lotta che si basa sulla valutazione realistica dei rapporti di forza e di una storia di conflitti gestiti secondo la logica delle armi. In secondo luogo, ho presente la definizione di “ideologia religiosa” come “sospiro della creatura oppressa”, come astratta aspirazione alla giustizia e alla libertà; l’opzione nonviolenta, invece, intende dare corpo al  “sogno diurno” di un mutamento reale e si propone come alternativa alle violenze del sistema e al sistema delle violenze.
‘Non possiamo fare gli angeli se gli altri sono diavoli’,  dicono in sostanza alcuni esponenti dei centri sociali quando difendono metodologie forti di intervento come le occupazioni o le risposte decise agli assalti della polizia durante i cortei  (a volte gli assalti sono auspicati o provocati ad arte tramite insulti o lancio di oggetti).  Lo stesso concetto, con intenzioni diverse, esprimono coloro che vogliono giustificare le guerre o la lotta militare globale al terrorismo che sta eliminando diritti e snaturando la democrazia. ‘La nonviolenza è scelta solo personale’, dicono molti: ‘quando bisogna “difendersi” dai nemici o dal terrorismo bisogna armarsi’. Da opposti versanti, la nonviolenza viene interpretata in maniera simile: o come aspirazione vaga e inefficace o come semplice rifiuto dell’atto violento; o come generosa passività, o come viltà, o come rifugio di anime belle.  In  molti  opera la logica dualistica dei contrasti assoluti: bene o male, sconfitta o vittoria, vita o morte. Resiste l’immaginazione dell’assalto definitivo e della conquista decisiva legata al meccanismo del “capro espiatorio” (da eliminare).  C’è sempre un male assoluto da distruggere per la vittoria del bene assoluto. Ognuno, ovviamente, si ritiene combattente del bene. Il guaio dell’ideologia della violenza è che ognuno può ritenere “giusta” la sua violenza. Ognuno rivendica per sé la migliore giustificazione della violenza. Questa logica si scontra con una “contraddizione irriducibile: lottare contro la violenza con la violenza non permette di eliminare la violenza. Le ideologie della violenza vogliono occultare questa contraddizione”. Lo scrive Jean- Marie Muller, tradotto da Enrico Peyretti (Jean Marie Muller , Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Paris 1995, in “Il foglio” 289, Torino, febbraio 2002):   “Se la violenza è legittimata come un diritto dell’uomo, ciascuno potrà prendere a pretesto questo diritto per ricorrervi ogni volta che lo stimerà imposto dalla difesa dei suoi interessi. In realtà l’ideologia della violenza permette a ciascuno di giustificare la propria violenza. La storia si trova allora risucchiata in una spirale di violenze senza fine. Si crea una reazione a catena di violenze degli uni e degli altri, tutte legittimate.La violenza diventa fatalità. La nonviolenza intende spezzare questa fatalità”. La scelta nonviolenta, infatti, è concreta, realista. La “Tavola della pace”, prima della marcia Perugia-Assisi dell’ottobre scorso, scriveva ai parlamentari dell’Ulivo, sostenitori della guerra in Afghanistan, che la nonviolenza è “polvere della storia”.  Come sono belli i passi di quelli che la sollevano perché camminano sulle montagne per annunciare la pace! direbbe il profeta Isaia (52.7). Un saluto fraterno.  Shalom. (Sergio Paronetto)