[di Vincenzo Andraous • 06.10.02] Come ha detto Calvino: ” L'imperativo è di diffidare delle facili conclusioni, non arrendersi alle facilonerie, alla pratica del fare tanto per fare”. Credo sia giusto riflettere sulle  astrattezze, le approssimazioni del linguaggio e dei comportamenti imposti da più parti, perché ritengo sia un dovere puntare sulle cose che richiedono sforzo, fatica e impegno costante da parte di tutti...

PENA GIUSTA O VENDICATIVA?

Come ha detto Calvino: ” L’imperativo è di diffidare delle facili conclusioni, non arrendersi alle facilonerie, alla pratica del fare tanto per fare”. Credo sia giusto riflettere sulle  astrattezze, le approssimazioni del linguaggio e dei comportamenti imposti da più parti, perché ritengo sia un dovere puntare sulle cose che richiedono sforzo, fatica e impegno costante da parte di tutti. Allora la domanda è: ” La pena deve essere giusta o vendicativa ?” La nostra Costituzione, il nostro diritto penale, il sistema di norme che costituiscono l’impianto penitenziario, citano che un uomo ristretto in carcere debba, sì, scontare il proprio debito con la  società, ma che la pena deve tendere alla rieducazione e alla risocializzazione dell’individuo privato della libertà, ciò nel rispetto della sua dignità di essere umano. In questo ultimo periodo non si fa che parlare di eliminare le vecchie fortezze penitenziarie perché fatiscenti e inumane. Non so perché ma ciò mi fa pensare a  quella Edilizia Penitenziaria nata in epoca emergenziale: privilegiando criteri tecnologici di neutralizzazione e incapacitazione, Per cui, se questa è l’ottica, mi chiedo dove potrà estrinsecarsi  l’aspetto di carattere trattamentale-rieducativo, risocializzante, di recupero del detenuto.
Forse la mia perplessità è fuorviata dal condizionamento che comunque vivo alla luce della mia condizione di detenuto, ma se alcune contraddizioni riscontrate in questi anni dovessero persistere, esse coinvolgerebbero  non solo il recluso, in quanto anello più debole (e quindi doppiamente prigioniero del meccanismo perverso che genera il carcere), ma anche l’Operatore Penitenziario, perché volente o nolente, egli verrà a trovarsi in una posizione conflittuale rispetto alla consegna che la Costituzione e l’Ordinamento Penitenziario  gli conferiscono. Mandato il suo che striderebbe fortemente in una situazione di sbilanciamento sul versante della sola sicurezza. Infatti l’Operatore Penitenziario ha  nelle sue funzioni peculiari il fornire supporto per quell’auspicata risocializzazione  dei detenuti, i quali sono soggetti a osservazione e trattamento, ma che a causa del sovraffollamento e dell’esiguo numero di operatori,  poco possono essere seguiti.  Per cui questo importante mediatore relazionale si troverà anch’esso prigioniero dell’impossibilità di ben operare, di inventare tempi e modalità di esecuzione. Se il carcere che nascerà  non avrà spazi di risocializzazione, perché costruito in base a un  ragionamento di solo contenimento del fenomeno criminale, se gli spazi in questione verranno immediatamente occupati per la troppa abbondanza di carne umana, e quindi  non saranno adibiti a laboratori, a sale di lavoro, di studio –  tra l’altro, il lavoro è l’unica terapia valida, lo strumento principe di qualunque trattamento – mi sembra che continuerà a venire meno la funzione stessa della pena e, ovvio  aumenterà la recidiva e la società si ritroverà in seno uomini ancora più incalliti di quando sono entrati.
Ascoltando poco la televisione e assai di più le parole dei  cittadini della strada, che arrabbiati lo sono certamente, ma forse anche un po’ confusi, si rafforza in me la convinzione  che occorre davvero “ricostruire l’uomo dal di dentro”  attraverso gli strumenti legislativi e l’impegno da parte della società e degli Operatori Penitenziari. Perché questa dovrebbe essere la strada maestra  a cui fare riferimento? In un Istituto sono di importanza fondamentale nel recupero del detenuto l’equipe del carcere formata dal Direttore, dal Comandante dagli Agenti di Polizia Penitenziaria, dagli Educatori. Psicologi, Cappellani, Assistenti sociali,  le Associazioni di Volontariato, gli stessi Agenti di Polizia Penitenziaria, e tutti costituiscono il vero nocciolo della questione, il fulcro dell’ideale rieducativo della pena, essendo loro a vivere a stretto contatto con i reclusi.  Ogni percorso risocializzante e di riabilitazione, senza la professionalità di queste figure istituzionali, rimarrà un’astrazione. Infatti, l’assenza  di questi riferimenti porta se non a una incompleta attuazione della Riforma Penitenziaria. a un rallentamento della stessa, e peggio  a una accettazione passiva della pena, che nulla insegnerà al detenuto.
L’uomo oltre il muro, dovrà saper vincere una scommessa assai importante: riappropriarsi di una cultura, di una nuova autocoscienza, e ciò può avvenire unicamente con l’incontro e il confronto con la società esterna.
In questo senso assume grande rilievo l’impegno di ognuno  per alimentare processi ripetuti di relazioni e interazioni, affinché sia possibile un cammino di crescita individuale attraverso la sinergia di quattro poli convergenti: Magistratura, Istituzione Penitenziaria, Società e Detenuti.
Se solo una di queste componenti viene meno,  tutto il progetto è destinato a fallire.  Se il “carcere” vuole divenire un “luogo ultimo”,  che assolve alla sua vera funzione di salvaguardia della collettività, di sicurezza e  di recupero effettivo degli uomini, forse  dovrà rifarsi anch’esso a quanto ci ha detto il Beccaria: “UNO STATO HA TUTTO IL DIRITTO DI DIFENDERSI, MAI DI VENDICARSI”. (Luglio 2000)