[di Maria de falco Marotta • 10.01.04] Nel mondo che ci circonda, il senso della giustizia si è offuscato sempre più perché l'uomo, mano a mano che si allontana dal proprio Dio,  si smarrisce nelle tenebre che lo rendono incapace di saper distinguere il Bene dal male, il giusto dall'ingiusto. Tutti i grandi valori vengono visti sotto una luce distorta o addirittura vengono annullati, perché ovunque prende il sopravvento la forza del male...

POLITICA DI GIUSTIZIA. «GRIDATELO SUI TETTI»

Nel Vangelo di Matteo vi è quella bellissima frase che dice: «Beati gli operatori di giustizia perché saranno chiamati figli di Dio». Quindi, la conseguenza più logica per il nostro Paese che si professa, in maggioranza, cristiano, sarebbe la pratica della giustizia ovunque e per tutti, perché ogni azione deve essere ispirata da  Dio e nulla deve essere affrontato con superficialità o con irresponsabilità.
Nel mondo che ci circonda, il senso della giustizia si è offuscato sempre più perché l’uomo, mano a mano che si allontana dal proprio Dio,  si smarrisce nelle tenebre che lo rendono incapace di saper distinguere il Bene dal male, il giusto dall’ingiusto.
Tutti i grandi valori vengono visti sotto una luce distorta o addirittura vengono annullati, perché ovunque prende il sopravvento la forza del male.
La giustizia, quindi, non viene praticata più: è sostituita con azioni di comodo che vedono il prevalere dell’egoismo, dell’interesse personale. Si instaura così una situazione anomala che, col tempo, rende più difficile la vita dell’intera società.
Ormai nel mondo la situazione di paradossale ingiustizia è diventata talmente grave che neppure l’uomo più sapiente potrebbe porre argini ad uno stato di cose così grave.
Purtroppo, i più furbi escono senza fatica, senza difficoltà da ogni situazione, mentre i ‘meno dotati’ pagano fino all’ultimo spicciolo.
Questi abusi sono talmente tanti che è difficile contarli, però si può gridare sui tetti il nome di chi li compie e  che continuamente offendono la Giustizia, che calpestano le Leggi, imbrogliando, opprimendo, mortificando la povera gente.
Gridatelo sui tetti! L’invito, pieno di drammatica passione, ci viene dalla voce stessa di Gesù, nella sua ansia di inondare il mondo con la sua Parola, con la sua esperienza. Gridarlo sui tetti: che Dio vuole giustizia, anche quella economica che, oggi, viene messa sotto i piedi, specie dai nostri politici.
Gridatelo sui tetti che in Italia vi sono tre milioni di lavoratori con un salario netto compreso tra i 600 e gli 800 euro, altri tre milioni circa con una busta paga un po’ più consistente, ma che raggiunge a malapena i 1.000 euro. I “lavoratori poveri”, coloro che pur lavorando tutti i giorni gravitano intorno alla soglia di povertà, sono sei milioni. Tanti. La stima è contenuta in uno studio dell’Ires- Cgil sulla politica dei redditi e la dinamica delle retribuzioni nel 2003.
Gridatelo sui tetti che vi sono  assegni percepiti dai pensionati, così disparati da far credere che alcuni siano stati diligenti lavoratori, mentre gli altri se la sono battuta. Ne indico alcuni, categoria per categoria. Quelli iscritti al fondo lavoratori dipendenti fanno conto, su poco più di 739 euro al mese: meno della metà dei trattamenti medi dei fondi speciali. Per i 120.000 iscritti al fondo trasporti gli assegni sono di 17.213 euro l’anno in media (pari a più di 1.434 euro al mese) mentre per i 58.000 ex telefonici il trattamento medio annuo dovrebbe essere di 21.958 (circa 1.830 euro al mese). Per gli oltre 101.000 ex elettrici la pensione media dovrebbe essere di 20.952 euro annui per 1.746 euro al mese mentre per gli ex ferrovieri l’assegno dovrebbe superare i 17.000 euro annui. E se con il trasferimento dell’Inpdai nell’Inps la pensione più ricca è quella media dei 93.000 dirigenti a riposo (quasi sette milioni delle vecchie lire al mese), restano alti anche i trattamenti degli ex piloti e degli altri iscritti al fondo volo: in media 32.924 euro l’anno per circa 2.740 euro al mese.
Tra gli assegni più leggeri, spiccano quelli dei coltivatori diretti (6.746 euro l’anno), degli artigiani (7.592) e dei commercianti (6.766) ma soprattutto quelle dei 14.000 preti a riposo (6.390 euro l’anno): cfr: i quotidiani italiani dei primi di gennaio 2004).
Gridatelo sui tetti che Mario, 74 anni, ex pescivendolo al mercato del Testaccio, prende «400 euro e rotti» al mese che Ennio con 57 anni di lavoro, avendo cominciato a  15 anni, può contare su  15 euro al giorno a testa, per vitto, affitto, bollette, vestiti, medicine e quant’altro.
Mentre due venditori di caldarroste, poveri ambulanti , sono morti per il freddo perché il loro riparo notturno era il piccolo furgoncino che serviva da “casa e bottega” (Cfr. La Stampa, 8 gennaio 2004).
In generale chi percepisce le pensioni da “fame”, ricorre anche alla Caritas, dove vengono distribuiti pacchi  di provviste con  pasta, a volte di riso, latte, formaggio, roba buona (Cfr. Corriere 6 gennaio 2004).
Gridatelo sui tetti che i dirigenti d’azienda in pensione percepiscono in media quasi 3.600 euro al mese, un assegno sei volte più consistente di quello medio percepito  dagli agricoltori a riposo e comunque oltre quattro volte più alto di quello degli altri lavoratori dipendenti. Gridatelo sui tetti che oggi si è poveri con 1000 euro al mese. Poveri come i poveri veri no, ma poveri di colpo rispetto a ieri, poveri da non arrivare più alla fine del mese con quel poco che prima bastava e ora no. Ai servizi sociali di Roma si sono rivolti negli ultimi mesi uomini con  storie identiche: 45-50 anni, lavoro fisso, 7-800 euro al mese. Separati, hanno lasciato a mogli e figli la casa coniugale, danno loro qualche soldo e non hanno con che pagare un nuovo affitto. Dormono in macchina, sono entrati nel monitoraggio della “Sala operativa sociale” del Campidoglio. La mattina si svegliano, vanno al lavoro, passano a trovare i figli, nell’intervallo lavorativo, mangiano un hamburger, poi di nuovo in macchina a dormire. Se li vedi in ufficio non te lo immagini: si vergognano.
La Caritas e la Comunità di Sant’Egidio segnalano come a ricevere i pasti e i pacchi del martedì (olio, formaggio, cibi in scatola) ci siano ora anche persone diverse dai senza tetto abituali: gente che ha una casa, un lavoro, una famiglia ma non ha i soldi per mangiare fino alla fine del mese. In altre parole,: sono le “famiglie della classe media a reddito fisso, quelle che  non ce la fanno “a far quadrare i conti ogni mese” di cui parlava il presidente Ciampi nel messaggio di fine anno. Le famiglie tipo dei rilevamenti dell’ISTAT – padre madre figlio – famiglie mono- reddito, gli auto- ferrotranvieri di Milano che guadagnano 700 euro al mese, gli autisti dei servizi pubblici a contratto che ne prendono 800, i dipendenti comunali di prima nomina che ne prendono 1000. Se i figli poi sono due, e se il reddito è uno, e se l’affitto in una grande città non costa meno di 600 euro al mese ecco che coi 400 che restano – anche a guadagnarne mille – si fa molta fatica a sopravvivere (Cfr. La Repubblica della prima settimana di gennaio 2004).
Gridatelo sui tetti che i prezzi sono in euro e gli stipendi in lire. Al consumo quel che costava 30 mila lire ora esige 30 euro, la conversione è rimasta valida solo per gli stipendi. In dieci dei dodici paesi che hanno adottato l’euro non c’è stato aumento, in Italia è mancato il più elementare controllo sulla dinamica dei prezzi. Dov’è  finito l’ufficio creato al ministero del Tesoro per impedire che il paese fosse abbandonato nelle mani dei profittatori? Negli altri paesi d’Europa si mangia un pasto completo, in un bistrot, con meno di dieci euro. Con 6 euro e 50 a menù fisso a Barcellona, con 8 a Parigi. Cos’è successo ai nostri prezzi, chi sono i profittatori? (Cfr. quotidiani italiani 2- 8 gennaio 2004).
Oltre un terzo dei lavoratori dipendenti, in Italia, guadagna meno di mille euro al mese. C’è, infatti, una nuova questione salariale che riguarda milioni di famiglie, sia chi ha un lavoro stabile sia i giovani che entrano nel mercato del lavoro flessibile. Un’incertezza che rischia di portare all’esasperazione sociale. L’ira sociale ammutoliva piazza San Giovanni il giorno della manifestazione per le pensioni, faceva dire a un sindacalista “c’è clima da vigilia di assalto ai forni”. Non ci sono i soldi per arrivare a fine mese, si preoccupa Ciampi, crollano i consumi ordinari e crescono le spese di lusso: si allarga la forbice tra chi ha molto e chi ha poco, come in Sudamerica. Tra chi a Natale ha regalato  ai figli Porsche giocattolo e chi ha cenato a caffellatte la sera.
Le parole della burocrazia sono orribili, il senso è chiaro: nuovi poveri, classe media. Nel paese che implode quella che era la piccola borghesia artigiana e impiegatizia si mette in coda per i pacchi della Caritas vergognandosi di sé, nascondendolo ai figli (Cfr: i giornali italiani della prima settima di gennaio 2004). Gridatelo forte che mentre il Presidente del Consiglio ha convocato gli italiani a reti unificate davanti ai teleschermi per avvertire che bisogna toccare, e pesantemente, le pensioni per evitare il collasso della finanza pubblica,  quasi contemporaneamente, i parlamentari si sono «aumentati»  lo  stipendio e le loro pensioni non subiranno nessun taglio. Comprese quelle «baby», in virtù delle quali basta fare una sola legislatura in Parlamento per vedersele garantite. Di fatto l’indennità parlamentare è cresciuta di recente di 605 euro, vale a dire più 5,5 per cento, ben al di sopra dell’inflazione programmata; facendo salire la retribuzione mensile a 11.579 euro.
Per non dire del contorno: diaria mensile di 4mila euro, bonus di altri 4.190 euro per «spese per il mantenimento del rapporto tra eletto ed elettori» (in pratica la paga del portaborse), poco più di 3mila euro l’anno per spese telefoniche, e poco meno di 3.400 euro trimestrali per i trasferimenti  dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino, e dall’aeroporto di Roma Fiumicino al Parlamento. Infine, poco più di 3mila  euro a testa per viaggi all’estero.
Nel ’47, ai primi passi della Repubblica, un parlamentare valeva due operai quanto a retribuzione: 50.000 lire lorde contro 20.000. Oggi il rapporto si è quintuplicato: l’onorevole prende dieci volte più di Cipputi; e per giunta le sue mensilità sono quindici, quelle dell’operaio tredici. E come sono le pensioni degli onorevoli? Partendo dal più in vista di tutti, e cioè Bobo Maroni, padre della riforma previdenziale: con le regole vigenti, potrà ricevere la pensione nel 2005, quando avrà 50 anni, con un assegno di 6.200 euro netti al mese. E il vice premier Gianfranco Fini, in virtù della lunga anzianità parlamentare (vent’anni), all’età attuale di 51 anni ha già maturato il diritto a un importo di 9.400 euro. La pensione, però,  scatterebbe ovviamente solo se e quando i due molto onorevoli e con loro il migliaio tra deputati e senatori, decidessero di ritirarsi dalla vita politica attiva; cosa che in Italia, si sa, è alquanto inusuale, dai vertici ai peones. Dalla scorsa legislatura: i nuovi eletti maturano l’età del pensionamento a 65 anni, tuttavia, si è deciso che il tetto di età cali di un anno ogni dodici mesi trascorsi in Parlamento, fino a una soglia minima di 60 anni.
Quanto a tutti coloro (e non sono pochi) che stazionano sugli onorevoli scranni romani da tempo immemorabile, valgono le vecchie regole. In base alle quali basta aver maturato una legislatura piena, quindi i cinque anni , per aver diritto al vitalizio, intascabile a partire dal 6Omo anno di. età. Ma anche qui c e lo strappo: il limite di età diminuisce di cinque anni per ogni legislatura svolta, fino a un minimo di 50 anni. Con la conseguenza che chi nel 2006 non verrà rieletto e avrà superato i 50, avrà una pensione pagata cash, mese dopo mese. A quanto ammonta l’assegno, nella peggiore delle ipotesi? Al 25 per cento dell’indennità parlamentare, poco meno di 3mila  euro; ma è una quota che aumenta  anno per anno, fino a toccare l’80 per cento dell’indennità con 30 anni di presenza sui banchi del Parlamento. Una soglia che diversi “immortali” hanno già superato, mentre alle loro spalle pedala un consistente manipolo che ha la tenace intenzione di imitarli. In ogni caso, la pensione gode della stessa indicizzazione dell’indennità parlamentare; per cui quando aumenta lo stipendio degli onorevoli sale anche la pensione dei loro ex colleghi, i quali al “raccolto” romano sommano logicamente l’assegno maturato nell’attività professionale privata. Il bello è che sono loro stessi a scandalizzarsene: «Siamo di fronte a privilegi insostenibili dal punto di vista dell’equità e della moralità», afferma Mario Baldassarri, vice ministro dell’economia. Però il copione non cambia: in fin dei conti è poca cosa in termini di incidenza sul totale della spesa pensionistica, spiegano gli immancabili pseudo- moralisti. La politica garantisce oggi introiti cospicui ad ogni livello: i presidenti dei consigli di quartiere( non tutti),  riscuotono  una cifra vicina ai 3mila euro al mese, mentre i consiglieri regionali se la passano  meglio. Forse, più degli onorevoli. Ovviamente, questi, per il grande stress subito, possono contare su una «indennità di reinserimento» quando finiscono il loro mandato. Poveretti, ne hanno proprio bisogno (Francesco Jori, Il Gazzettino, 4 gennaio 2004).