RIFLESSIONI SU MEZZO SECOLO DI TELEVISIONE

L’educatore Mario Lodi e la cooperativa «Casa delle Arti e del Gioco» di Drizzona (Cremona) hanno redatto il seguente appello-richiesta per una riforma del sistema televisivo. Le riflessioni sono state inviate al leader de «L’Unione», Romano Prodi, al fine di sollecitare un concreto impegno dell’ intera coalizione a favore di una programmazione di qualità, al di là dell’esito delle prossime Elezioni politiche. L’articolo appare come editoriale di Febbraio nel sito di Mario Lodi .

Se ne condividi il contenuto, diffondilo, sottoscrivilo e invialo al seguente indirizzo: [email protected] . Segnaliamo, inoltre, che venerdì 3 marzo 2006 è stato consegnato a Lodi il «Premio Unicef – Dalla parte dei bambini». (L.B.) 

 

Riflessioni su mezzo secolo di Televisione

[Mario Lodi – Emilio Maestri • 02.2006] In questo periodo elettorale che evidenzia l’importanza dei media per ottenere il consenso dei cittadini mi pare necessaria una riflessione sul mezzo mediatico che ha ormai mezzo secolo di presenza nella nostra società.

Una situazione analoga la troviamo nel ‘700, quando l’Illuminismo aveva introdotto in Francia una novità capace di scardinare un secolare assestamento politico: l’Enciclopedia, che il matematico Gian Battista D’Alembert definì il dizionario delle scienze, delle arti e dei mestieri a cura degli uomini di cultura, e che preparò la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale, i cui effetti politici e morali, affermò Robert Owen, meritavano l’impegno degli statisti migliori.

Fu allora, esattamente nel 1749, che l’Accademia di Digione bandì un concorso sul tema: «Il progresso della scienza ha contribuito a corrompere o ad affinare i costumi?». Vi partecipò e lo vinse Jean Jaque Rousseau con un suo Discorso nel quale sostenne che «tutto nasce buono dalle mani di Dio e tutte le cose si guastano nelle mani dell’uomo». Il dibattito che ne seguì portò ad una riflessione sui fini e i mezzi dell’educazione che si sviluppò in tutta l’ Europa. La stessa domanda , dopo mezzo secolo di TV, ce la dovremmo porre oggi: «La televisione ha contribuito in tutti questi anni a corrompere o a migliorare i costumi, a innalzare il livello culturale e morale del nostro popolo, oppure lo ha abbassato? E, a vantaggio di chi?».

É tempo di fare un bilancio sull’influenza che il mezzo televisivo –come è stato usato- ha avuto nel formare una coscienza democratica e libertaria. Noi siamo stati testimoni della sua evoluzione, e ne siamo stati sostenitori entusiasti e convinti. Pensavamo che la TV era la grande invenzione dell’uomo moderno perché permetteva di vedere tutto ciò che accade nel mondo in tempo reale, di vedere tutto ciò che la civiltà umana produce in ogni angolo della Terra: la ricerca scientifica, l’iniziativa dell’uomo a favore del pianeta, il teatro, i concerti, l’arte.

Il nostro sogno era la televisione come una grande università capace di avvicinare i popoli diversi e di favorire la pace. E all’inizio fu proprio così: il maestro Alberto Manzi che insegnava a migliaia di analfabeti a leggere e a scrivere, ne era il simbolo. I film di Vittorio De Seta sulla scuola che cambiava, il teatro di qualità che settimanalmente entrava nelle nostre case, erano esempi concreti che ciò poteva avvenire. Ma ben presto il sogno svanì, altri guardarono alla televisione con fini diametralmente opposti: portare nelle nostre case il mercato con la pubblicità, sostituire il giudizio di merito con l’auditel (la quantità), aumentare gli indici d’ascolto con l’abbassamento del livello culturale per mezzo degli spot, della banalità, della curiosità morbosa, della violenza distillata e riproposta nei film.

Vi furono reazioni, come la raccolta di «firme per cambiare la TV», che in pochi mesi superò le 550.000 adesioni ,consegnate simbolicamente al Capo dello Stato. Il governo Prodi nominò una commissione a cui parteciparono tutte le televisioni, sia pubbliche che private: fu sottoscritto un codice di autoregolamentazione che tuttavia nessuna televisione rispettò.

Si alzò la voce autorevole di Karl Popper che accusò la televisione di portare nelle famiglie modelli di violenza e di essere un pericolo per la democrazia quando il potere mediatico è in mano a pochi senza controllo. Propose per i conduttori televisivi una patente perché la loro responsabilità è pari a quella di chi guida un mezzo. Indro Montanelli suggerì un processo pubblico ai corruttori televisivi.

Proviamo a rispondere oggi alla domanda dell’Accademia di Digione: «Questa televisione contribuisce a corrompere o ad affinare i costumi?». La TV è senza dubbio dama di compagnia e regina di chi non può allontanarsi da lei: dei più deboli quindi, almeno in un certo senso. Quale etica nel proporre a questa categoria di “nuovi deboli” i mondi fasulli di intrighi familiari o rapporti umani estremi che assurgono a modelli irrealizzabili e fonti di ulteriore insoddisfazione? Quale effetto nel continuare a selezionare cronache di quotidiana violenza in un crescendo di emulazione fino alla pioggia di sassi dai cavalcavia o all’annullamento del valore di una vita umana?

É forse sbagliato, inattuale, utopistico auspicare che una classe politica degna di tale nome dica chiaramente che una società veramente civile non può tollerare una televisione così ed esprima nei propri programmi una riforma radicale del mezzo mediatico come libero strumento di sano relax o crescita culturale per tutti?

Oppure non è importante? O – peggio – va bene così?

                                                                                                                             

Mario Lodi, educatore

Emilio Maestri, medico