[di Anna Pozzi (MONDO E MISSIONE) • 05.05.02] Che sia povera lo si vede. Basta allontanarsi dal centro, dai palazzi dei ministeri e delle banche, degli hotel e delle ambasciate per scoprire immensi quartieri poveri e degradati, dove la popolazione sopravvive a stento. Che sia laboriosa, anche questo è altrettanto evidente.

SENEGAL E FINANZA – SI CHIAMA ENDA LA BANCA A MISURA D’AFRICANO

 Dakar, la capitale del Senegal, brulica tutto il giorno di gente affaccendata, un via vai di persone che invadono le strade, un turbinio coloratissimo e rumoroso di uomini, donne, bambini indaffarati in mille attività. La strada è il luogo dell’informale, di quell’economia popolare di sussistenza che si regge su piccole attività e inesauribili commerci. È il luogo della fantasia, dell’ingegnosa operosità di chi vive di espedienti, dell’inventiva e della débrouillardise, l’arte di arrangiarsi, che in Africa ha raggiunto le sue migliori espressioni. Che oggi vanno ben al di là della capacità di sopravvivere con “i mezzi di bordo”, come si sente ripetere spesso. L’informale, secondo l’Ufficio internazionale del lavoro, fornisce almeno la metà dei posti di lavoro nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, e arriva a creare il 90 per cento di nuovi impieghi nelle grandi metropoli dell’Africa sub-sahariana. Questo perché risponde con flessibilità ai bisogni dei poveri, dei disoccupati, degli esclusi, ovvero della grande maggioranza della popolazione. Mostrando, tra l’altro, una straordinaria capacità simbiotica, di immedesimazione cioè nella cultura e negli umori della società, nei problemi e nei bisogni della gente, ai quali fornisce risposte pertinenti e articolate. E se lungo le strade del centro prevale l’attenzione per i turisti, con tutti i gadget del caso, tradizionali o pseudo tali, quando ci si allontana di poche centinaia di metri allora si scopre tutta la varietà delle arti e dei mestieri che danno da vivere alle famiglie: meccanici, falegnami, fabbri, sarti, barbieri, elettricisti, muratori, ma anche venditori d’acqua, trasportatori, lustrascarpe, guardiani d’auto, venditori di frittelle… sino alla categoria variegata dei “riciclatori”, coloro che da qualsiasi cosa ne ricavano qualsiasi altra, perché nulla si distrugge in Africa, tutto si trasforma. Anche la capacità di adattarsi ai tempi che cambiano. Nessun problema dunque se si cerca un dischetto per il computer, ma anche una videocassetta o uno schermo; da qualche parte al mercato sicuramente c’è. Per telefonare basta andare al télécentre dell’angolo, ormai ce ne sono dappertutto, alcuni veri e propri sgabuzzini angusti, altri con numerose cabine. Anche per Internet, nessun problema. Ormai tutta la città è branché, connessa, e anche nei quartieri più remoti c’è un cybercafé, luogo di incontro, soprattutto per i giovani, ma anche una finestra su mondi lontani, a portata di mouse. Anche Jérôme vorrebbe aprire un Internet Café nella sua città d’origine; è il business più alla moda oggi in Senegal, insieme a quello dei cellulari. Ma ha un problema di soldi. Jérôme è dipendente di una società privata, ma non per questo ha perso il suo spirito imprenditoriale. Vorrebbe fare qualcosa per realizzare se stesso e migliorare i servizi, soprattutto per giovani e gli studenti, nella città da cui proviene. L’idea di realizzare qualcosa di suo e per il bene della comunità lo sollecita. Ma per un progetto simile occorre un discreto investimento. È un problema condiviso quello di avere un finanziamento per avviare un progetto. A tutti i livelli: dalle maman, che vendono il tè vicino agli uffici, a chi, come Jérôme, ha progetti più ambiziosi. La solidarietà africana, attraverso le tontine, forme di microcredito tradizionale o, piuttosto, casse di solidarietà fondate su legami di vicinanza e di controllo sociale, continua a funzionare. Ed è proprio appoggiandosi su questo sistema che Enda-Tiers Monde (Environnement et Développement du Tiers Monde, Ambiente e sviluppo del Terzo Mondo), un’organizzazione non governativa nata a Dakar a metà degli anni Settanta, è riuscita a organizzare e a mettere in rete esperienze spontanee, rendendole più strutturate ed efficaci. Informale e microcredito sono oggi, in molte parti d’Africa, i pilastri di un economia popolare e di un sistema sociale in cui trovano posto anche coloro che sono stati esclusi dal mercato e dalle banche. Quello di Enda-Tiers Monde non è che uno dei moltissimi progetti di microcredito che sono proliferati negli ultimi anni. Con alcune particolarità. “Il microcredito – spiega Taoufik Ben Abdallah, uno dei responsabili dell’ong, che oggi è presente in numerosi Paesi africani – si inserisce in un progetto più ampio di lotta contro la povertà e di sviluppo, sia urbano che rurale, ma anche di promozione della cittadinanza e di partecipazioni ai processi di cambiamento del tessuto economico locale e del sistema delle banche”. È proprio per l’impossibilità di accedere ai prestiti bancari, e per sfuggire alle pratiche usurarie sempre in agguato, che molte persone, soprattutto donne, si sono organizzate spontaneamente, talvolta a livello di famiglia allargata, più spesso di gruppo o di quartiere. Ma in genere queste iniziative risultano inadeguate in termini di capacità economica, tecnica e finanziaria, e sono carenti dal punto di vista delle risorse umane qualificate, in grado di gestirle adeguatamente e di renderle remunerative. Enda aiuta queste donne a creare casse di credito e di risparmio meglio strutturate, «organizza» la solidarietà, attraverso percorsi di formazione e l’uso di nuove tecnologie. Interventi che garantiscono un migliorando complessivo del sistema, che continua ad essere agile, efficace e sicuro, capace di rispondere a tutti i bisogni, a cominciare da quelli quotidiani e familiari. “In genere – spiega Abdallah – nei quartieri c’è una struttura e alcune persone di riferimento di cui la gente si fida. Ci si conosce tutti e questo garantisce il rispetto delle regole e la restituzione dei crediti. Enda si è inserita su questa forma di organizzazione embrionale, fornendo garanzie a livello di prestiti, mettendo a disposizione un fondo di partenza per la costituzione delle casse e facendosi carico dei costi di gestione. Inoltre abbiamo creato un coordinamento tra le casse perché possano nascere legami di solidarietà e di aiuto reciproco anche tra i diversi gruppi. Oggi questo sistema interessa più di 300 mila persone”. Queste micro-economie, gestite soprattutto da donne, sono essenziali per la sopravvivenza delle famiglie più povere, ma rappresentano anche un potenziale punto di partenza per gettare le basi di uno sviluppo locale più strutturato e a lungo termine, promosso e gestito dalla popolazione, che diventa, essa stessa, protagonista della propria auto-promozione. Il principio è semplice ed efficace. Mohamed riconosce che è a “misura di africano”: “È qualcosa che è vicino al nostro modo di sentire e di lavorare, alla nostra mentalità e cultura. I progetti di microcredito sostenuti da Enda funzionano perché si basano sugli stessi principi che animano le tontine tradizionali, ma con l’aggiunta di professionalità, formazione e struttura, e con un sistema di comunicazione e di rete. Non sono progetti che vengono da altrove o sono imposti dall’alto, come ne abbiamo visti molti in Africa. Tutti destinati al fallimento”. “Ma la nostra ambizione – dice Abdallah – va oltre i progetti di microcredito in quanto tali. Vorremmo incidere in maniera più sostanziale sulle politiche nazionali senegalesi, e più in generale africane, affinché si arrivi ad una revisione del sistema bancario e delle logiche finanziarie. Tenendo sempre ben presente – e facendo presente – che lavoriamo in un contesto di lotta contro la povertà, che ci obbliga ad essere vicini alla gente nei loro bisogni e nei loro progetti, ma anche a guardare avanti per costruire tutti insieme un futuro migliore”.