[www.femmis.org • 31.01.04] Ospitiamo e vi proponiamo l'Editoriale redatto da www.femmis.org . Il sito (in questi giorni in fase di ristrutturazione) è il "Notiziario telematico femminile Missionarie Comboniane", ovvero «un servizio d'informazione che nasce in ambito femminile e missionario e aperto al contributo di chi ha a cuore la liberazione della donna, in tutti i campi e in ogni parte del mondo» e «uno spazio privilegiato attraverso il quale far udire la voce della donna, trascrivere aspirazioni, sogni e progetti di chi crede che un mondo diverso sia possibile»...

TRAFFICO DI ORGANI. TROPPO SPORCO QUESTO BUSINESS!

Il giornalismo insegna a non usare aggettivi qualificativi, perché veicolano dei giudizi sul contenuto di cui si scrive. In questo caso mi permetto un’eccezione, anche se con difficoltà trovo il vocabolo capace di esprimere tutta la rabbia e l’indignizione che suscita in me questo sporco, sporchissimo business.

Mi spiego. Si potrebbe far scorrere un fiume di parole per dimostrare come i poveri sono stati e sono merce di valore. Dai milioni di braccia che hanno fornito per secoli mano d’opera non retribuita al traffico di organi umani rubati a chi non ha altro che la vita. Mi limito a due fatti. Uno del Sudan, l’altro del Mozambico.

Il corpicino di un bambino sud sudanese è abbandonato a pochi metri dalla capanna di un campo profughi, alla periferia di Khartoum. E’ senza occhi, senza cuore, senza reni. Una missionaria lo vede con i suoi occhi, così come ogni giorno vede i bambini schiavi nelle case dei ‘grandi’.

E Jacinto dov’è finito?
A soli 5 anni, anche lui profugo e rifugiato in quel tugurio, dov’è finito? La parola a sua madre: “Uscivo un pomeriggio per andare a comprare una manciata di carbone e poi preparare la cena alla nonna e ai quattro bambini. Jacinto mi seguiva, ma io gli ho ripetuto: ‘Aspettami in casa, torno subito’. Alla mia insistenza il bambino si gira e torna indietro. Eravamo a circa 100 metri da casa. Dieci minuti dopo ero di ritorno.’Dov’è Jacinto? Dove sei? Dove sei?’ L’abbiamo cercato tra i vicini, siamo andati dalla Polizia. Sono passati dieci giorni”.

“Jacinto non tornerà più, come tutti gli altri, commenta la suora. Avrei voluto raccogliere le lacrime di quella madre e di tutte le altre e gridare al mondo il loro dolore. Ma chi ascolterebbe? Non resta che organizzarsi. E così, ogni mattina, c’è una donna che fa il turno e resta a casa, in quel campo di capanne nel deserto, e custodisce anche i bambini delle altre che vanno in città, a lavorare”.

Nella stampa cartacea e in quella on line, nazionale e internazionale del mese di gennaio il titolo è stato più o meno lo stesso: “Suora brasiliana denuncia traffico di organi in Mozambico”.
La scoperta di corpi mutilati di bambini e uno sbaglio di indirizzo, in questo caso un monastero al posto del presunto centro dello sporco traffico, hanno aumentato i dubbi di Elilda dos Santos, la brasiliana di cui parlano i giornali. Nell’ottobre del 2002 aveva scoperto il primo caso: una bambina di 12 anni trovata senza cuore, senza polmoni, senza reni. La madre si era rivolta alla polizia senza nessun risultato.

Se anche solo uno di questi bambini fosse dei ‘nostri’, per quanti mesi la TV e tutti gli altri media ne parlerebbero?
Se è vero che chi tace acconsente, e di conseguenza il silenzio uccide, questi bambini del Sudan e del Mozambico e di tanti altri paesi vengono assassinati due volte: da chi mette loro il bisturi addosso e da chi chiude gli occhi per non vedere o la bocca per non comunicare.
Se qualcuno però fosse interessato, potrà aprire il il computer e con qualunque motore di ricerca digitare: «Crianças desaparecidas em Moçambique». E si accorgerà che il traffico è davvero sporco, anzi sporchissimo.
(dm)