[Varie Associazioni • 04.07.03] Oggi alle 16 si tiene alla Gran Guardia un convegno finanziato dal Comune di Verona e patrocinato dalla Provincia e dalla Regione Veneto, mentre è in corso presso le sale di S. Giorgeto una mostra fotografica, sempre finanziata dal Comune, sulle missioni di pace all’estero delle forze armate italiane. L’iniziativa di oggi, organizzata da esponenti di Allenza nazionale, vuole commemorare la “battaglia” al check-point Pasta di Mogadiscio del 2 luglio 1993, in cui persero la vita tre militari italiani, mentre trecento civili somali vennero massacrati (tra loro secondo le fonti militari c’erano ottanta miliziani somali in armi).

VERONA CITTA’ DI PACE FINANZIA I MASSACRI DI GUERRA IN SOMALIA

Oggi alle 16 si tiene alla Gran Guardia un convegno finanziato dal Comune di Verona e patrocinato dalla Provincia e dalla Regione Veneto, mentre è in corso presso le sale di S. Giorgeto una mostra fotografica, sempre finanziata dal Comune, sulle missioni di pace all’estero delle forze armate italiane. L’iniziativa di oggi, organizzata da esponenti di Allenza nazionale, vuole commemorare la “battaglia” al check-point Pasta di Mogadiscio del 2 luglio 1993, in cui persero la vita tre militari italiani, mentre trecento civili somali vennero massacrati (tra loro secondo le fonti militari c’erano ottanta miliziani somali in armi). La missione di pace italiana in Somalia si rivelò una catastrofe non solo umanitaria, ma politica e di immagine: vennero alla luce infatti, grazie alle testimonianze di giornalisti, fotografi e militari disgustati, le violenze, le torture e gli stupri compiuti dai “nostri ragazzi” in Africa orientale. L’agghiacciante testimonianza dell’ex parà Michele Patruno riportata dal settimanale Panorama nel 1997 è corredata da una serie di fotografie, scattate in Somalia tra aprile e maggio 1993, un cui si vedono militari italiani che infieriscono su detenuti somali legati e incappucciati; in particolare è ripreso un sottotenente della Folgore intento ad applicare elettrodi ai testicoli di un prigioniero. Lo stesso Patruno sostiene che i torturati sono morti e che le torture sono state inflitte sempre alla presenza di graduati e che il comando italiano era a conoscenza di questi episodi. Alcuni elementi  del battaglione Tuscania, che operò in Somalia, furono spediti a Genova nelle famose giornate del G8 di due anni fa, a dirigere le operazioni nella zona di Piazza Alimonda, dove fu ucciso Carlo Giuliani. Il motivo per cui il Comune finanzia queste iniziative (altre analoghe sono in cantiere per un totale di 182.000 euro, ma .. non erano vuote per anziani e bisognosi le casse del Comune?) è il ricatto messo in opera dalla minoranza a proposito del voto sul bilancio e più in generale sul funzionamento del Consiglio comunale. Se infatti il bilancio non fosse stato approvato nei termini, il Comune di Verona sarebbe stato commissariato. Le destre, spodestate appena un anno fa dal potere locale, escono dalla porta e rientrano dalla … porta-finestra. Chi ha votato Zanotto anche perché i fascisti a Verona non fossero più sostenuti dalle istituzioni comunali e si aprissero invece nuovi spazi di democrazia certo non si aspettava di dover ancora assistere ad iniziative del genere (ricordiamo i concerti nazi-rock e la mostra dei libri di estrema destra organizzate dall’amministrazione precedente). Forse c’erano altre strade per evitare la crisi istituzionale minacciata dalle destre. Ci auguriamo che la Giunta Zanotto non ceda mai più a simili ricatti. (Coordinamento laico antirazzista Cesar K. – Circolo Pink – Donne in nero – Csoa La Chimica – Rifondazione comunista)
 Verona, 4 luglio 2003
 

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Il settimanale Panorama, n.23 del 12 giugno 1997, ha pubblicato un’intervista al caporalmaggiore in congedo dal 185° reggimento, artiglieria paracadutisti della «Folgore», Michele Patruno, nella quale vengono denunciate torture attuate dai militari italiani ai prigionieri somali durante l’operazione Restore Hope in Somalia. Il servizio giornalistico è accompagnato da fotografie scattate dallo stesso Patruno nel periodo aprile-maggio 1993; la fotografia principale è stata scattata al campo italiano di Johar nel 1993 e vi si vede un somalo fatto prigioniero dai paracadutisti della «Folgore» nudo a terra e sulla sinistra un soldato che sta azionando un generatore di corrente in dotazione ai reparti ed un sottotenente che, secondo il racconto del Patruno, si prepara ad applicare gli elettrodi ai testicoli della vittima. Dal racconto emerge che prima gli elettrodi sarebbero stati applicati alle mani, ma con scarsi risultati e che poi su suggerimento di un ufficiale medico sono stati applicati ai testicoli. I livelli di tortura erano diversi: «si cominciava privando i prigionieri di acqua e cibo, tenendoli legati; pressione psicologica per indurli a parlare, poi si passava a metodi più pesanti e si dava libero spazio alla fantasia dei militari» (sigarette accese sul corpo, scosse elettriche, botte, eccetera). Per il Patruno le persone torturate «morivano, anche perché già debilitate fisicamente»; sempre da quanto narrato dal Patruno «nel momento degli interrogatori quando avvenivano le torture, era sempre presente un graduato»; secondo il Patruno il comandante della sua squadra era al corrente delle torture; nel racconto si parla anche di perquisizioni nei villaggi in cerca di armi finite spesso con la devastazione delle capanne e la distruzione delle riserve d’acqua;
il caporalmaggiore Patruno parla anche di un «gioco crudele» con le tartarughe, che consisteva nel far passare sopra gli animali un furgone per vedere quanto erano in grado di resistere, con gli ufficiali che non hanno «mai incitato a farlo, ma non ci hanno mai osteggiato». Sul quotidiano Il Mattino dell’11 giugno 1997 in un articolo, Elena Romanazzi scrive: «Qualcuno sapeva. Le torture in Somalia non erano un mistero per il Sismi, che ha seguito la missione Ibis passo dopo passo. Sono diversi i rapporti inviati dal Sismi al Cesis sulla situazione in Somalia dal 1991 al 1994 e custoditi nell’archivio della Presidenza del Consiglio. In uno di questi, quello datato 1993, non si parla solo della missione, ma anche del comportamento di alcuni militari. Si parlerebbe di torture, in un passaggio anche di somali morti e di metodi in alcuni casi «barbari nell’effettuare le catture».
L’ex parà della «Folgore», Michele Patruno, intervenendo a Radio anch’io il  10 giugno 1997 ha affermato che: «Inviai gratuitamente le fotografie sulle torture ad un paio di giornali quattro anni fa, ma nessuno le pubblicò. Un paio di giornali – afferma il Patruno – non hanno voluto quelle fotografie, mi hanno detto che non volevano inimicarsi il Governo».Nel numero del 19 giugno 1997 del settimanale Panorama sono state pubblicate altre foto scattate dal soldato «Stefano» a fine novembre del 1993 nella strada tra Mogadiscio e Balad al check point Demonio. Le fotografie ritraggono una ragazza somala violentata da alcuni soldati italiani. Secondo il racconto del soldato un gruppo di soldati italiani si sta divertendo con una ragazza somala. La toccano. Lei si ritrae. La palpano. Lei cerca di scappare verso le sue amiche poco distanti, spaventate. Urla e si dimena. I militari ridono sempre più vigorosamente quasi a coprire gli strilli terrorizzati della giovane donna. I dieci paracadutisti arrivati insieme a Stefano se ne accorgono. Ma l’obbligo di andare a interrompere il gioco è l’ultimo dei loro pensieri, è l’ultima delle preoccupazioni. Anzi, decidono così: «Andiamo a divertirci anche noi». Stefano racconta: «Prima abbiamo cominciato a dare pizzicotti, a toccare. Qualcuno aveva in mano una bomba illuminante. E ha detto mettiamola qua, mettiamola su, mettiamola giù. Attacchiamo la ragazza al carro armato! Abbiamo cominciato a spingerla, da dietro la tenevano, l’hanno legata al Vcc con una corda alle gambe. Non contento qualcuno, dopo un po’, ha spalmato sulla bomba della marmellata. Per farla entrare meglio». Il soldato Stefano afferma che: «Quando gli ufficiali volevano divertirsi, tutta la banda gli andava dietro. E quella sera è stato così»; il militare afferma di aver visto altri fatti del genere, ma di non averli fotografati e che questi fatti lo tormentano, come quello «per esempio di sparare addosso a della gente». Alla domanda del giornalista «se rifarebbe il parà», Stefano risponde: «Non so. Allora ero esaltato. Eravamo tutti esaltati. Ero parecchio convinto. Non si poteva stare in quell’ambiente senza essere esaltati». ( stralci dall’interrogazione parlamentare al Ministro della Difesa n. 2-00549 del 16/6/97)