[Adista • 27.10.02] La parola socialismo per te può voler dire una cosa, per me un'altra, per un altro un'altra cosa ancora. Una delle più grandi intuizioni di San Tommaso d'Aquino è quella epistemologica: in base a questa, qualsiasi cosa ti venga trasmessa, tu la ricevi secondo la tua forma mentale, o la tua condizione di classe, ecc...

ZANOTELLI: UN’ECONOMIA DI UGUAGLIANZA PER SCONFIGGERE L’IMPERO

Castagnola ha posto l’accento sulla difficoltà di lavorare senza un modello alternativo. Ma il socialismo è davvero scomparso come modello valido di riferimento?
La parola socialismo per te può voler dire una cosa, per me un’altra, per un altro un’altra cosa ancora. Una delle più grandi intuizioni di San Tommaso d’Aquino è quella epistemologica: in base a questa, qualsiasi cosa ti venga trasmessa, tu la ricevi secondo la tua forma mentale, o la tua condizione di classe, ecc. Per chi viene da un’esperienza di socialismo dell’Est europeo, la parola socialismo può esprimere qualcosa di odioso, per altri invece può rappresentare un’aspirazione. Io parto da una profonda sintonia con le Scritture ebraiche e cristiane, alla base delle quali c’è una profonda ispirazione di giustizia sociale. Oggi gran parte della ricerca biblica, soprattutto nordamericana, dimostra che l’esperienza iniziale di Israele è stata quella di una società, di una comunità alternativa agli imperi e alle città-stato. Nella storia umana noi conosciamo qualcosa di abbastanza sicuro a partire da 4000-5000 anni prima di Gesù: da questo momento la forma di organizzazione politica umana è data essenzialmente dagli imperi e dalle città-stato, dove un 5% massimo della popolazione asserviva tutti gli altri, attraverso una politica di oppressione di cui la religione era parte integrante, come collante sociale che garantiva la tranquillità. Israele nasce come una comunità alternativa a tutto questo, in grado di tradurre il sogno di Dio di un’economia di uguaglianza in cui i beni di questo mondo siano equamente distribuiti. Perché questo sia possibile c’è bisogno di una politica di giustizia, perché ogni società umana lasciata a se stessa tende a strutturarsi nella disuguaglianza. Una politica che ha bisogno di un’utopia, che nell’esperienza ebraico-cristiana è il Dio che ascolta il grido dell’orfano e della vedova e rimette in discussione ogni società e ogni impero costruiti sull’oppressione, ricordandoci che lui vuole qualcosa d’altro. Dalle Scritture non è possibile trarre un modello preciso, ma solo un invito ad una visione sociale della realtà. Per il resto tocca alla libertà umana costruire concretamente questa società.

Esiste a tuo giudizio un problema legato alla proprietà come radice strutturale dei mali di questo mondo?
È una questione molto complessa. La stessa tradizione cristiana mette radicalmente in discussione un certo modo di intendere la proprietà. Secondo il cristianesimo è assurdo dire “questo è mio” quando c’è gente che muore di fame. Si può pensare che la proprietà in sé sia un male. Ma, se c’è una politica che persegue la giustizia, anche la proprietà può diventare un valore, per esempio se serve a restituire dignità a un piccolo contadino.

I lillipuziani si sono sempre distinti per la ricerca di stili di vita alternativi. Ma è sufficiente?
Gli stili alternativi, il consumo critico, ecc. non possono limitarsi a una questione personale. Altrimenti potremmo diventare persone coerentissime, ma nulla di più. Devono, invece, diventare politica. Nel secolo scorso, la chiave del successo della classe lavoratrice è stata il metodo nonviolento dello sciopero. Oggi il boicottaggio, il consumo critico, il risparmio responsabile devono diventare strumenti di pressione sociale come lo sciopero.


(Fonte: www.adista.it n.74)