Dal 1990 al 1993 un impegno sereno e inflessibile per i diritti e la dignita’, per aiutare chi ha bisogno e promuovere la civile convivenza. La sera del 15 settembre 1993, mentre rincasava, con un colpo di pistola alla tempia un killer mafioso lo uccide. Opere su Giuseppe Puglisi: F. Anfossi, Puglisi. Un piccolo prete tra i grandi boss, Edizioni Paoline, Milano 1994; F. Deliziosi, «3 P». Padre Pino Puglisi. La vita e la pastorale del prete ucciso dalla mafia, Edizioni Paoline, Milano 1994; Saverio Lodato, Dall’altare contro la mafia. Inchiesta sulle chiese di frontiera, Rizzoli, Milano 1994. Segnaliamo anche i contributi (molto interessanti) pubblicati in “Una citta’ per l’uomo”, nel fascicolo 4/5 dell’ottobre 1994 e nel fascicolo 1/2 dell’aprile 1995] Tra l’8 e il 10 maggio 1993 il papa visita la Sicilia occidentale: ad Agrigento, dinanzi a centomila fedeli, tiene un forte discorso contro la mafia.Vi era già stato undici anni prima, nel novembre 1982, dopo le uccisioni di Pio La Torre in aprile e di Carlo Alberto dalla Chiesa in settembre; dopo l’ omelia “di Sagunto” del cardinal Pappalardo che divenne quasi una bandiera e un grido di battaglia: ma allora nei discorsi effettivamente pronunciati da Giovanni Paolo II la parola “mafia” non comparve mai; i brani del testo diffuso alla stampa in cui si faceva riferimento alla mafia non vennero letti, ufficialmente per motivi di tempo.Ma il 9 maggio 1993, sotto il tempio della Concordia nella Valle dei templi di Agrigento, la voce di Wojtyla risuonò alta e forte: “Dio ha detto: non uccidere! L’uomo, qualsiasi agglomerazione umana o la mafia, non può calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Per amore di Dio. Mafiosi convertitevi. Un giorno verrà il giudizio di Dio e dovrete rendere conto delle vostre malefatte”.Don Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio, che giorno per giorno contendeva alla mafia quel lembo di terra, quel pezzo di società, le anime (sia consentito a noi laici usare tal termine per intendere: la dignità e i diritti) e le vite della gente, della sua gente, sì, don Pino Puglisi si sarà sentito confortato ed orgoglioso per le parole del papa. La mafia, invece, non ama le parole, soprattutto non ama quella parola che la designa e l’accusa. Anche la Chiesa, avrà ruminato qualcuno, non era più quella di una volta. Quella di una volta era quella dell’eminenza reverendissima il cardinal Ruffini e della sua lettera pastorale del 1964 dal titolo Il vero volto della Sicilia. Ma c’era, c’era sempre stata, anche un’altra chiesa: anzi, altre chiese, che per affermare i valori attestati dalla loro religione contro la mafia si erano battute ed avrebbero continuato a farlo, a costo del martirio. E questa altra tradizione ora emergeva e trovava ad un tempo ascolto e voce nelle parole del pontefice cattolico.Don Pino Puglisi era parroco di san Gaetano, a Brancaccio, dal 1990. Ed aveva fatto la sua scelta. L’aveva fatta con naturalezza, per coerenza, per convinzione, perché era un prete, ed era naturale che un prete facesse certe cose e non altre: che cercasse di alleviare le sofferenze della gente intorno a lui, che si impegnasse per realizzare servizi educativi e sociali; che indirizzasse al vero ed al bene; che si prendesse cura degli ultimi. E che denunciasse il male; che contrastasse il male; che non scendesse a patti col male. Una persona normale, un prete come si deve. Ma era a Brancaccio. Perché Brancaccio è la borgata in cui quando lo Stato decide di aprire un commissariato di pubblica sicurezza, a quarantott’ore dall’inaugurazione la mafia lo fa saltare in aria. Perché a Brancaccio, ottomila abitanti, non ci deve essere né la scuola media né il cinema né la palestra, perché a Brancaccio sia chiaro a tutti: qui è la mafia che comanda, qui essa esercita la sua signoria territoriale. E questo piccolo parroco cosa fa? Proprio quella le contende: contende alla mafia la signoria territoriale, contende alla mafia la risorsa decisiva, contrasta alla mafia il territorio, si pone nei fatti come contropotere, organizza la vita civile. Facendo le cose semplici, le cose logiche, le cose normali, fa la rivoluzione. A Gomorra don Pino Puglisi porta la Sierra Maestra. Tre anni di insurrezione evangelica, tre anni di rivoluzione delle coscienze, tre anni di lotta per la scuola e per l’assistenza, per i bisogni e per i servizi, per i diritti e per la luce, per il pane e le rose. La dittatura mafiosa lo ferma il 15 settembre 1993.
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