[GRILLOnews • 31.05.05] Il 28 maggio 2005 sr. Maria Irene Bersani è nata a Nuova Vita. Dopo circa due mesi di malattia, vissuta con coraggio e fede, sr Irene ha chiuso serenamente il suo percorso terreno. Sr Irene è stata una Missionaria Comboniana che ha vissuto con medesima passione la sua vocazione prima in Eritrea, come insegnante. Poi a Verona, come Direttrice della rivista RAGGIO...

CIAO IRENE

Il 28 maggio 2005 suor Maria Irene Bersani è nata a Nuova Vita. Dopo circa due mesi di malattia, vissuta con coraggio e fede, sr Irene ha chiuso serenamente il suo percorso terreno. Sr Irene è stata una Missionaria Comboniana che ha vissuto con medesima passione la sua vocazione prima in Eritrea, come insegnante; poi a Verona, come Direttrice della rivista RAGGIO.
 
Un campo, quello della Comunicazione, che ha sempre considerato come elemento portante nell’annuncio del Vangelo. Con la sua dipartita, le Suore Missionarie Comboniane e il mondo dei mass media perdono senz’altro una “penna fine”, ma acquistano una “inviata speciale” presso il Buon Dio.

«Durante gli anni che l’hanno vista a tempo pieno nell’ambito della comunicazione missionaria, suor Bersani -scrivono le sue consorelle di ‘Raggio’, in una nota pervenuta all’agenzia giornalistica MISNA– è stata tra le prime persone che, all’interno della Federazione Stampa Missionaria Italiana (Fesmi) si sono battute per “rendere l’informazione missionaria sempre più idonea al passo dei tempi, ma soprattutto per vedere tutte le forze missionarie unite attorno al comune obiettivo: annunciare con coraggio, creatività e competenza la Buona Notizia di Gesù“».
 
Nata a Cattolica (RN), il 29 maggio 1931, suor Irene si è laureata in Lettere Moderne nel 1958 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano. Ha fatto il suo ingresso tra le Comboniane nel 1961 e nel 1964 è partita per l’Eritrea dove ha insegnato per dieci anni nell’Istituto Santa Famiglia e all’Università d’Asmara. Dal 1977 ha assunto la direzione di RAGGIO, la rivista delle Missionarie comboniane.
 
GRILLOnews vuole ricordare suor Irene attraverso le sue parole. Trascriviamo e vi proponiamo di seguito l’Editoriale che la missionaria ha scritto per RAGGIO giusto un anno fa, nel giugno del 2004.
 

NONOSTANTE TUTTO, DONNE
 
[Raggio • Giugno 2004] Per giorni e giorni hanno fatto il giro del mondo suscitando ribrezzo e orrore. Sono divenute immagine simbolo del risvolto più atroce di una guerra assurda contrabbandata come liberatrice. Simbolo di un mostro ancor più mostruoso solo perché incarnato da una donna, incredibilmente donna. Un certo mito femminile ne è rimasto infranto come quello dell’”inviolabilità” degli Stati Uniti nell’attentato alle Torri Gemelle. “il Manifesto” parla di catastrofe simbolica e l’impatto avrebbe effetti ancor più devastanti.
 
Parliamo molto a malincuore dell’emblema degli orrori nella prigione di Abu Ghraib (Iraq): la soldatessa Lynndie England che, con sorriso tra il sadico e l’imbronciato, tiene al guinzaglio un prigioniero turpemente ridotto a trofeo di presunta vittoria sul terrorismo iracheno. C’è chi vide in tale oscenità anche la rivalsa crudele di un femminismo impazzito.
 
Di lei “si sa tutto”: nome, età, provenienza, stato civile, rapporti familiari ed extra. Ha 21 anni, viene dal West Virginia, è divorziata, il suo boyfriend appare con lei in un altro fotogramma, si era arruolata ed era partita per l’Iraq “per pagarsi il college”, la reazione dei suoi genitori alla sconcertante apparizione è stata contrastante. Conosciamo le notizie sulle sanzioni che le saranno comminate e sul progetto di abbattimento del carcere (diretto anch’esso da una donna, generale di brigata Janis Karpinsky, che si è dichiarata sconvolta e all’oscuro dell’allucinante vicenda).
 
Perché tanto scalpore come se ci si svegliasse da un incubo? La tortura, occultata, ma purtroppo reale, c’è da sempre, e non solo nei Paesi a regime dittatoriale. Viene addirittura insegnata in scuole ad hoc ed esportata nei Paesi incriminati proprio dal sedicente territorio della democrazia e della libertà. Le informazioni circolano sommesse e presto sommerse da altre, finché scoppia la notizia “choc” perché chi tortura è una donna. Infamante epilogo di un’emancipazione femminile che si era già suicidata nell’aver rincorso la parità col maschio assumendo l’uso delle armi. Quando una donna, nell’arruolarsi e andare in guerra e imparare ad uccidere, vede raggiunto l’obiettivo della parità, ha già distrutto (o non ha mai conosciuto) il senso della vera dignità sua e dell’uomo.
 
Liberandoci dal tranello di questo tipo di informazione che esibisce una specie di divismo demoniaco, scopriamo un diverso modo di individuare e raccontare altre realtà e immagini che chiedono la nostra attenzione, partecipazione, rispetto. Vedi ad esempio l’agenzia missionaria Misna nel suo seguire, con senso umanitario e professionalità, le vicende del nord Uganda e dei campi profughi devastati dai ribelli dell’Esercito di resistenza del Signore (Lra). Proprio in quella tragica cornice di orrori di cui pochi parlano, cogliamo una gemma incastonata: un particolare che rischia di scivolare inosservato.
 
Il comunicato del 18 maggio 2004 traccia un bilancio delle vittime trovate in seguito a un attacco contro il campo profughi di Pagak, 18 chilometri a nord di Gulu, oltre a quelli degli ostaggi rapiti per trasportare il bottino e poi barbaramente uccisi a bastonate nella foresta; nota il ritrovamento di altri cadaveri, fra cui quello di un ribelle che gli abitanti del campo erano riusciti a catturare. Ma ecco la notizia: «Un altro ribelle è stato sepolto nella savana dopo essere stato trasportato a spalla da una delle donne rapite e che, nonostante tutto, stava cercando di fargli avere cure mediche”.
 
Il comunicato prosegue con altre informazioni. A noi quella sembra degna d’essere scritta a caratteri d’oro. Una donna africana, profuga, di cui non conosciamo il nome né altri connotati se non quello d’essere stata rapita e soprattutto la dimensione del suo cuore così grande che, “nonostante tutto”, riesce a vedere nell’assalitore ferito soltanto un uomo da curare. Versione moderna, al femminile, del buon Samaritano, o piuttosto della misericordia gratuita del Figlio di Dio che si fa carico del peccato dei suoi crocifissori.
 
Nessuno dei grandi cronisti o dei registi mediatici di una abusata spettacolarità femminile, si occuperà mai di questa sconosciuta figura di donna che riscatta a se stessa, al ribelle ferito e all’umanità sconvolta, l’immagine originaria disegnata dal cuore di Dio per i suoi figli e figlie, d’ogni etnia, classe sociale, ruolo, bandiera o ideologia.
 
Noi sogniamo e vogliamo collaborare a far crescere un mondo di donne così, “nonostante tutto”.
 
irene