[A cura del dott. Luciano Pasqualotto • Novembre 1997] Da alcuni anni, nei mesi invernali, incontro decine di genitori e di alunni di terza media alle prese con la scelta della scuola superiore.

DOPO LA SCUOLA MEDIA CHE FARE?

Da alcuni anni, nei mesi invernali, incontro decine di genitori e di alunni di terza media alle prese con la scelta della scuola superiore. I primi arrivano spesso a questo momento con un carico eccessivo di ansia e chiedono aiuto nel fare una scelta forse non difficile in sé, ma trasformata in un vero e proprio problema; dal canto loro, i ragazzi si sentono ripetere di continuo “Cosa vuoi fare da grande?” e sono portati a fare una faticosa quanto stimolante proiezione di sé nel futuro. Al di là di alcune difficoltà oggettive, il momento della scelta della scuola superiore diventa spesso una buona occasione per parlare di educazione. Dalla parte dei genitoriTra i genitori si percepisce la sensazione che crescere i propri figli in un mondo tanto complicato rappresenti una responsabilità molto grande e che assumano questo compito con un senso mal chiarito di inadeguatezza: perciò, spesso, chiedono aiuto a qualcuno che divida con loro il “peso” di certe decisioni, in modo che una volta fatta “la scelta giusta” non ci siano poi problemi di “rendimento”. Senza nulla togliere agli specialisti dell’orientamento, ritengo che un ragionamento di questo tipo, molto diffuso, sia impropriamente “tecnologico”. Bruno Bettelheim (Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli, 1987) ha scritto che “allevare figli è un’arte più che una scienza” e l’arte soprattutto necessita di intuizione e creatività. Allora il primo passo in educazione è usare il proprio intuito educativo, mettere “una mano sul cuore” per capire cosa il proprio figlio può fare e che cosa invece lo destinerebbe ad una fatica superiore alle sue possibilità. Poi dobbiamo abbandonare la pretesa di essere genitori perfetti: la ricerca ad ogni costo della perfezione è di ostacolo alla tolleranza verso le imperfezioni degli altri. Dovremmo puntare invece ad essere “good enough parents” (genitori “passabili”, “abbastanza buoni”), cioè persone che mettono in bilancio eventuali errori ma che si sforzano di migliorare continuamente se stessi e di educare bene i propri figli. Questo atteggiamento permette di ridimensionare anche il problema della scelta della scuola superiore e di affrontarlo secondo una diversa e più corretta modalità. Il “genitore abbastanza buono” sa che questo momento è delicato ma che da esso non dipende il futuro del proprio figlio. Perciò mette in bilancio anche un fallimento e lascia “la porta socchiusa” per poter eventualmente “far marcia indietro” in una scelta che si compie per necessità, spesso senza aver le idee chiare. Direi che questo atteggiamento è necessario per almeno due ordini di motivi. Il primo: è difficile stabilire oggi cosa potrà dare occupazione fra cinque anni, quando i nostri ragazzi giungeranno al termine della scuola superiore. Allora il rischio è di scegliere sulla base della maggior considerazione sociale che alcune professioni hanno rispetto ad altre. Ma l’intuito educativo riesce a mettere da parte le aspirazioni dei genitori per considerare il figlio per quello che è, con il suo bagaglio di attitudini, di limiti e di capacità. Un atteggiamento tollerante da parte dei genitori è necessario anche per il particolare periodo che i ragazzi attraversano mentre passano dalla scuola media a quella superiore: mi riferisco all’adolescenza. Oltre ai cambiamenti nel fisico e nell’intelligenza, in questa fase della vita si modifica anche il rapporto con la famiglia. L’adolescente passa più o meno gradualmente dalla dipendenza all’indipendenza, bisognoso di differenziarsi, di uscire dalla simbiosi iniziale, frapponendo uno spazio fisico ed emotivo tra sé e le proprie figure di attaccamento per approdare ad una propria identità. Alcuni psicologi definiscono l’adolescenza addirittura come una nuova nascita. I genitori dovrebbero sforzarsi di capire che il proprio figlio in questa fase non rinnega la famiglia, ma chiede un rapporto diverso in cui il dialogo non sia limitato ai risultati scolastici ma serva da stimolo per conoscersi e capirsi meglio, per confrontarsi reciprocamente e trovare insieme le soluzioni migliori. Non si dimentichi che i cambiamenti dell’adolescenza comportano un consumo intensivo di energie: perciò è facile vedere i ragazzi di quest’età affaticati per un nonnulla, svogliati e talvolta con un disagio manifesto. A farne le spese sono le attività in cui contano l’interesse, la concentrazione mentale, l’applicazione: innanzitutto, la scuola. Prevenire l’insuccessoE’ in crescita il numero di ragazzi che arrivano al termine della scuola dell’obbligo con una motivazione verso lo studio oramai esaurita. Ciò dipende probabilmente da molti fattori: l’irrilevanza per la vita di quanto studiano, l’eccessiva astrattezza dei manuali, la facilità di apprendere dai compagni o dalla televisione rispetto alle difficoltà che si incontrano nell’apprendere a scuola ed altro ancora. Inoltre, sul versante delle scuole superiori, non possiamo non rilevare quanto la formazione sia divenuta via via più astratta, anche negli istituti in cui si dovrebbe curare principalmente la preparazione tecnico-pratica. E’ il cosiddetto “processo di liceizzazione” della secondaria superiore, nella quale si mira sempre più allo sviluppo di abilità cognitive generali per favorire la flessibilità, le capacità di adattamento e di autorientamento dell’individuo, richieste oggi dalla società e dall’evoluzione del mercato del lavoro. Questa impostazione della scuola ha comportato un progressivo sovraccarico dei contenuti teorico-astratti nei programmi e l’allungamento del monte ore di lezione. La conseguenza più evidente e drammatica di questi due fattori è l’aumento del numero degli “allievi deboli”, cioè di quanti non riescono a frequentare con successo istituti superiori dove è richiesto un elevato impegno per la frequenza e lo studio. Una sincera preoccupazione educativa, della scuola e dei genitori, deve farsi carico di queste problematiche, orientando ciascun ragazzo verso scuole superiori in cui il proprio bagaglio di risorse individuali possa spendersi al meglio. Per questo occorre convincerci che nessuna scuola è più o meno facile delle altre, perché ognuna si propone di potenziare attitudini diverse. Occorre scegliere bene, ma soprattutto “scegliere insieme”, con la consapevolezza che questo momento è prima di tutto una buona occasione per aiutare i nostri figli a capirsi e ad iniziare la costruzione, difficile ma affascinante, del proprio futuro.


Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Novembre/Dicembre 1997 del giornale «il GRILLO parlante»