INTERVISTA. «IL VERO MUSULMANO NON HA BISOGNO DI FARE DEI SIMBOLI UNO SCUDO»

Per l’Occidente, il concetto di “Islam” è diventato un’incognita difficile da decifrare; un termine che, nell’immaginario collettivo, oscilla troppo facilmente tra leggende e realtà. Soprattutto a partire dagli anni novanta, con il crescente flusso migratorio verso i paesi europei e la tendenza a insediarsi nei paesi ospitanti, anche in Italia comincia a delinearsi quello che viene chiamato l’islam italiano. Si tratta di una realtà plurietnica, composta da identità, lingue e sfumature religiose estremamente differenziate. In questo complesso scenario, il gruppo più numeroso è quello dei marocchini (10,4% del totale degli immigrati del paese), seguito dai cittadini provenienti dalla Tunisia (2,8%), Senegal (2,2%) e Egitto (2,0%). Così, gli stranieri di fede musulmana rappresentano il 33% degli immigrati regolarmente soggiornanti in Italia e l’islam diventa la seconda religione nazionale per numero di fedeli. Altro dato di rilevo è che in alcune regioni italiane come Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Puglia e Sicilia, tra gli immigrati i musulmani sono più numerosi dei cristiani. Cresce anche il numero di moschee e di centri islamici, circa 157 sparsi su tutto il territorio nazionale, anche se, secondo i dati divulgati recentemente dal Ministero dell´Interno, solo il 5% degli immigrati islamici in Italia  frequenta assiduamente le moschee e le scuole coraniche. La presenza dei musulmani d’occidente è sempre più visibile e porta con sé l’impellente necessità di un nuovo dibattito nella sfera pubblica di questo paese. Nasce il bisogno di approssimarsi all’islam italiano senza ricorrere agli stereotipi, senza considerare soltanto i testi sacri o i principi del culto islamico. Per ora, sembra che la rappresentazione dei musulmani in Italia sia ancora miope e distorta.

Non è raro trovare autoctoni che associano facilmente questo intero gruppo di immigrati alle frange del fondamentalismo, all’adesione esagerata ai simboli identitari, al fanatismo, alla supposta impermeabilità della cultura islamica, alla violazione dei diritti delle donne. Ma quanto di vero esiste in questo approccio frettoloso? Forse, un prezioso contributo per sconfiggere tanti falsi interrogativi potrebbe arrivare da un organismo di rappresentanza islamica, ma anche questo sembra una questione irrisolta. Nonostante il moltiplicarsi delle associazioni dal nord al sud del paese, poche sono in grado di aggregare unitariamente intorno a sé tutte le sfaccettature dell’islam italiano. Comunque sia, tra tante incertezze è innegabile che l’irruzione dell’islam in Italia ci fa interrogare non solo sulla reale capacità di integrazione, sulla vera laicità italiana ma anche sugli effetti della presenza musulmana sul piano politico-istituzionale.

Souad SbaiSu questo e altri temi ne parliamo in questa intervista con Souad Sbai (nella foto), marocchina di nascita, responsabile della pubblicazione Al Maghrebiya e presidentessa dell’associazione delle donne delle comunità marocchine in Italia (ACMID- Donna).

Qual´è il modo più appropriato di definire l´islam d´Europa, considerando che i musulmani presenti nel vecchio continente sono oltre 20 milioni, una realtà che, al suo interno, comprende una molteplicità di tradizioni e culture diverse?

L’islam è una religione e così deve rimanere. Non deve essere strumentalizzato, toccato in maniera negativa da alcuni estremisti perché, secondo me, l’estremismo non ama l’islam, anzi, lo danneggia. Il vero musulmano non danneggia la religione in nome dell’islam. Quelli che decapitano o uccidono migliaia di persone in nome dell’islam non sono musulmani. Il vero musulmano è moderato, è quello che lavora tutti i giorni e anche quello che non vedi nelle moschee ma è un bravo fedele. È una persona che, dentro di sé, è convinta della sua fede e non ha bisogno di nessun elemento esterno per esplicitarlo agli altri, è quello che mantiene un rapporto tra sé e Dio. Gli estremisti non hanno nessuna di queste caratteristiche, sopratutto l’estremismo italiano, che è un fenomeno del tutto particolare. Si sa che in Italia la comunità più numerosa di musulmani è quella marocchina e che, paradossalmente, è rappresentata nelle moschee da alcuni estranei alla comunità marocchina, persone che non parlano la nostra lingua. Perciò, la mia battaglia è quella di sensibilizzare i marocchini, visto che sono tanti, a fare una votazione e a scegliere un rappresentante ugualmente marocchino per le moschee che essi frequentano. La nostra deve continuare ad essere una comunità di tradizione malachita, moderata, lontana dalle evoluzioni estremistiche. È questa la linea che deve seguire anche il governo, il rischio, altrimenti, è essere testimoni di nuovi episodi come quelli accaduti in Olanda recentemente. 

Nel quotidiano, come la comunità marocchina si confronta con i valori occidentali?

Combattiamo dalla mattina alla sera. Un caso emblematico e attuale è quello di una signora marocchina che da sette anni non vede i propri figli. I bambini sono stati rapiti dal marito, che si è sposato nuovamente. Nonostante il tribunale italiano abbia deciso che la signora ha diritto all’affido, sul piano pratico si trovano molte difficoltà per restituire i bambini alla madre. Questo è l’esempio di una fatica e questo tipo di fatica non riguarda gli estremisti. Non vedo estremisti che lavorano su questa linea umanitaria. La nostra fatica è combattere quotidianamente per aiutare uomini e donne conservando internamente la nostra fede, senza il bisogno di dimostrarlo esternamente. Invece oggi è frequente il ricorso alla moda come quella del foulard, la moda di sposarsi perché si compie 22 anni e altre scelte di questo tipo.

Lei vuole dire che oggi si tende a rafforzare quelli che sono i simboli identitari musulmani?

Almeno questo non è voluto dalla religione islamica, che non impone l’obbligo di portare il velo se non per la preghiera. Anzi, la religione islamica afferma che dobbiamo passare inosservati. Qui, in Italia, se indosso un foulard non passo inosservata. Intanto, vedo che molte donne musulmane residenti in Italia tendono a rafforzare l’uso di certi simboli con più frequenza delle stesse donne arabe. La fede è quella che sta nel cuore e l’importante è far conoscere solo quelle che sono obbligate a farlo. Un classico esempio è l’atteggiamento degli uomini integralisti che mettono le donne in prima linea per avere diritti o conquistare una posizione politica. Basta pensare a situazioni che la storia ripete continuamente, come la liberazione di paesi come l’Algeria, la Tunisia e il Marocco, fatta con le donne in prima linea.

Cosa significa essere una donna musulmana in Italia?

Credo che la condizione della donna musulmana in Italia dipenda principalmente da lei stessa. È normale trovare ostacoli come la difficoltà di avere un lavoro ma queste difficoltà sono ancora più grandi se alcune donne tendono ad avere atteggiamenti provocatoti. La gente ha paura ma io posso scegliere di avvicinarmi alle persone vestita in modo normale, parlare in modo simpatico e far conoscere ugualmente la vera realtà di una donna musulmana.

Lei dice che c’è chiusura anche dalle parte delle donne musulmane nel farsi conoscere dagli italiani?

Il fatto di mettere un velo vuol dire creare anche una sorta di muro, rendere più difficile il dialogo. Io, personalmente, dialogo di più di una donna che lo indossa e trasmetto comunque un messaggio di tranquillità. Dietro a quel velo c’è solo una moda, un’esaltazione. Sono poche le donne che lo portano veramente con fede. Lo fanno soprattutto le donne più grandi, le più giovani lo fanno per provocazione. L’islam non impone obblighi, è l’uomo che li crea. Io posso essere religiosa a casa mia e non devo trasmettere niente. Ognuno vive la fede personalmente e quello è un rapporto diretto tra me Dio, non c’è altro. Credo che questa sia la fortuna del musulmano. Poi, aggiungo anche che la laicità è giusta perché non c’è una democrazia senza laicità. Qui ci vuole la laicità, ma senza schiacciare nessuno. Non mi sembra giusto, per esempio, togliere la croce delle scuole o non lasciare una ragazza praticare ginnastica perché è musulmana.

Lei dirige “Al Maghrebiya”, pubblicazione in lingua araba rivolta alla comunità straniera più numerosa in Italia, quella magrebina. Quanta responsabilità hanno i mass media nella diffidenza di gran parte della società italiana nel confronto dell´Islam?

Sicuramente c’è stata una disinformazione reciproca. Da parte nostra una sorta di chiusura, da parte degli italiani, ignoranza. Molti professionisti del settore non sanno cosa significa un termine come musulmano o islam. Molto spesso si confonde la persona musulmana con la sua religione e questo è un grosso errore. I mass media hanno danneggiato abbastanza l’immagine dell’islam ma anche perché un episodio come l’11 settembre è accaduto all’improvviso e i giornalisti si sono trovati impreparati ad affrontare il tema. Poi, bisogna aggiungere che gli estremisti non hanno aiutato i professionisti dei mass media a capire la situazione. Nemmeno da parte dei capi delle grande moschee in Italia c’è stato un grande contributo perché in questi contesti esiste un notevole gap culturale. Il nostro giornale ha conquistato il suo spazio perché dedica le sue pagine a tutte le problematiche affrontate anche dalle donne, una pubblicazione che parla del mondo arabo, del Marocco e di tutti i temi legati all’immigrazione ma anche all´integrazione degli immigrati. Quest’ultimo è il tema che ci interessa veramente. Integrazione vuol dire amalgamarsi con la società italiana, ma senza neanche perdere le tue origini. 

Secondo lei, quali sono gli ostacoli del dialogo tra l´Europa e i paesi islamici?

Secondo me non ci sono problemi di dialogo tra le nazioni di fede islamica e un paese come l’Italia. Se pensiamo a nazioni come il Marocco, la Tunisia o l’Algeria e anche la Libia, oggi, mantengono rapporti ottimali, accordi di cooperazione internazionali con l’Europa. Il problema è interno e per questo bisognerebbe istituire la figura di un ambasciatore moderato all’interno del territorio nazionale. In Italia non ci devono essere più persone che parlano a nome dell’islam e non hanno niente a che fare con il nostro islam. All’interno dell’islam troviamo il malachita, il moderato, il laico e vogliamo continuare ad avere tutto questo e non dare spazio all’estremismo.

Visto che prima parlava della figura di un ambasciatore, crede che per la comunità musulmana sia importante creare un organismo di rappresentanza islamica in Europa o questo diventa difficile, considerando le differenze tra le diverse comunità?

Quello è il vero problema. Come scegliere una figura di rappresentanza? In base alla nazionalità, alla comunità più grande? Volevano fare la consulta ma oggi non sono più d’accordo con questa idea perché in questa proposta ci vogliono entrare anche gli estremisti. A questo punto, se c’è la legge italiana, lasciamo decidere il governo. Io, personalmente, non voglio che un’associazione poco rappresentativa parli al nome di tutti i musulmani d’Italia. Bisogna investire nel dialogo con le personalità di rilievo, colte e moderate del mondo musulmano. Questo tipo di figura mi può rappresentare perché conosce perfettamente l’islam moderato e non si beneficia, in nessun caso, di sovvenzioni esterne. Si tratta di persone che s’impegnano nella difesa della vera integrazione e del rispetto dei diritti umani. Abbiamo bisogno di una leadership capace di lottare per la garanzia di diritti di reciprocità tra i paesi, di protezione, di cittadinanza per i bambini, figli di stranieri, nati sul territorio straniero. Questo è il modo di sentirsi uguali agli altri, di non essere discriminato. Assicurare il benessere della seconda generazione significa non offrire a queste persone altre vie di consolazione come l’estremismo.

Quali sono le principali differenze generazionali fra i musulmani che vivono in Italia?

Per quanto riguarda la comunità marocchina in Italia siamo ancora alla prima generazione. La maggior parte degli immigrati di origine marocchina ha circa 17 anni perché il grande flusso migratorio è avvenuto recentemente, negli anni novanta. Comunque, questa generazione deve essere tutelata, aiutata, per non lasciarla in balia agli estremisti.

In Occidente, si evoca continuamente la condizione femminile nell´Islam, associandola all’esclusione sociale, culturale e giuridica. Crede che questo sia un approccio “miope” al tema?

Direi proprio di sì. Basta pensare che, in un paese come la Tunisia, il diritto di famiglia è assicurato dal lontano 1956. Analogamente, in Marocco, l’anno scorso abbiamo avviato una riforma epocale in materia. Sono alcuni dei musulmani d’Italia che non hanno recepito la riforma del diritto di famiglia. Invece, il vero vento di liberazione, la desiderata parità tra uomo e donna arriva proprio dal Marocco. Mentre lì la poligamia è stata abolita, in Italia il tribunale di Bologna giustifica il comportamento di un cittadino marocchino poligamico perché è straniero. Abbiamo cominciato il nostro 1968 ora, anche perché sono sempre meno le femministe che difendono veramente i diritti delle donne. Noi, donne arabe in Italia, ad esempio, non abbiamo uno spazio alla Casa Internazionale delle Donne, a Roma, e questo non mi sembra giusto.

A che punto è, nel suo paese, la lotta per il riconoscimento dei diritti delle donne?

La recente riforma del diritto di famiglia in Marocco si è conclusa il 10 febbraio di questo anno e, per la prima volta, avvicina i diritti della donna a quelli dell´uomo in ambito familiare. Le conquiste sono molte. La poligamia è stata abolita ed è accettata solo in casi estremi, con la previa autorizzazione della prima moglie. Poi, in caso di ripudio la donna non può essere espulsa da casa sua. Il padre ha obbligo di mantenere i figli e la donna adesso può gestire un’attività commerciale senza la certificazione di una figura maschile come il padre.

La scrittrice marocchina Fatima Mernissi ha dichiarato che, rispetto all´uso del velo, anche le donne occidentali sono schiave dei modelli maschili imposti al loro corpo e che queste hanno una presunta libertà di scelta. Le che ne pensa?

Non condivido questo ragionamento. Sono cresciuta con i libri di Fatima Mernissi, ma credo che lei si sia allontanata dalla problematica dei diritti delle donne. Credo che non solo i diritti conquistati dalle donne ma anche la libertà offerta dall’Occidente sia molto importante.


Fonte: Migranewws http://www.migranews.it/notizia.php?indice=532