NON CHIAMATELI MERCENARI. UN LIBRO SUI LEGAMI FRA PRIVATIZZAZIONE DELLA VIOLENZA ED ECONOMIA GLOBALE

La copertina del libro di Francesco VignarcaNel 1997 la compagnia di sicurezza Defence Systems Colombia, sussidiaria dell’inglese Defence Systems Limited, stipulava un contratto per la fornitura di equipaggiamento militare alla XIV Brigata dell’Esercito Colombiano, in seguito finita sotto indagine in quanto sospettata di coinvolgimento in atrocità di vario tipo a danno della popolazione e di complicità in un massacro di 15 civili disarmati. Attualmente Dsl è parte del più vasto Armorgroup e si è specializzata nell’assistenza a grandi enti commerciali, per lo più operanti nel settore minerario e petrolifero. British Petroleum, tanto per fare un esempio, ha affidato la sicurezza dei propri impianti al ramo colombiano di Dsl. La lista dei clienti di quest’ultima è piuttosto lunga e comprende alcuni nomi eccellenti, fra cui De Beers, Texaco, Chevron, British Gas, Amoco, Exxon, Mobil, Ranger Oil, American Airlines e Shell.

Il caso appena citato è espressione di una tendenza che negli ultimi anni si è andata radicando sempre di più, quella che vede nell’outsourcing, nell’ “esternalizzazione” di diverse tipologie di servizi legate alla sicurezza e alla difesa, un modo per rendere ad un tempo più “efficiente” ed economica la gestione di queste ultime da parte dei governi. Ma cosa succede quando comparti strategici come difesa e sicurezza finiscono nelle mani di attori privati mossi dalla logica del profitto? Non si tratta forse di un regresso rispetto al modello dell’esercito di massa e a quel monopolio statale della violenza che, nel bene e nel male, ha accompagnato la nascita degli Stati nazionali e delle grandi democrazie?

La new economy militare

Una tesi simile è sostenuta da Francesco Vignarca nel volume “Li chiamano ancora mercenari. La privatizzazione degli eserciti nell’era della guerra globale” (pp. 180, euro 10,00), primo studio organico, nel nostro Paese, di un fenomeno a lungo ignorato e recentemente salito agli onori della cronaca in seguito alla vicenda dei quattro ostaggi italiani catturati in Iraq. Pubblicata dalla rivista “Altreconomia” in collaborazione con l’editrice Berti di Piacenza, la ricerca di Vignarca cerca di dare un quadro il più possibile completo delle tendenze in atto nel campo della sicurezza, coniugando l’indispensabile lavoro di denuncia con un’analisi quanto mai rigorosa e dettagliata.

Nel corso della presentazione del volume, tenutasi lo scorso 18 maggio presso la Sala Rossa del Senato, l’autore, che è anche coordinatore delle attività nazionali della neonata Rete Italiana per il Disarmo, ha insistito sull’inadeguatezza analitica della categoria di “mercenario” che, a suo avviso, non coglie il carattere specifico delle trasformazioni in atto. La problematicità, nell’uso di tale termine, consisterebbe nel fatto che esso rimanda ad un universo sommerso, illegale o paralegale, con cui gli Stati hanno sempre flirtato in ogni epoca della storia umana. L’aspetto più preoccupante del “nuovo” mercenariato, al contrario, consisterebbe proprio nella sua progressiva emersione da una condizione di illegalità: le private military firms sono imprese in piena regola, per lo più “pulite”, nel senso che sono attori riconosciuti di un’economia globale che vede lo Stato farsi progressivamente da parte in diversi settori, non ultimo quello della difesa. Così come si esternalizzano servizi di base quali quelli sociali e sanitari, anche nel campo della sicurezza si tende sempre più a fare affidamento su professionisti del settore che, va rilevato, ricavano profitti da guerre, disastri ed emergenze di vario tipo e non hanno dunque nessun interesse a farli terminare. Non solo: le pmf curano la propria immagine e l’ingaggio di coloro che vi lavorano attraverso la rete, sono spesso quotate in borsa, o legate a doppio filo con aziende che lo sono, e che magari controllano anche imprese operanti in settori cruciali quale quello pensionistico privato. Di qui la difficoltà riscontrata finora nell’organizzazione di campagne di pressione popolare per la regolamentazione e il controllo del fenomeno: tutto si tiene, nel mondo dell’economia globale, e colpendo i nuovi professionisti della sicurezza si rischia di colpire l’ignaro cittadino o il piccolo risparmiatore.

La necessità di una regolamentazione

Il nuovo business della difesa, dunque, appare sempre di più come un ritorno alla gestione privatistica della violenza, caratteristica dei primi secoli dell’età moderna, che vedevano nei “capitani di ventura” degli attori fondamentali e molto potenti nei diversi conflitti che insanguinavano l’Italia e l’Europa. Di fronte ad un segnale così preoccupante, il senatore dei Verdi Francesco Martone, presente alla conferenza stampa, ha insistito sulla necessità di una regolamentazione del fenomeno, in espansione anche grazie alle numerose zone grigie del diritto internazionale. Non è affatto chiaro, ad esempio, quali potrebbero essere i margini di azione legale contro il dipendente di una pmf statunitense che si macchiasse di crimini e di abusi nell’Iraq occupato. A quale sistema giudiziario si dovrebbe far riferimento, a quello statunitense o a quello messo in piedi dall’Autorità provvisoria? Per i militari c’è la corte marziale, ma a chi rispondono i professionisti della sicurezza?
A livello delle singole legislazioni nazionali, ha sostenuto Vignarca, si potrebbe pensare ad un “divieto di outsourcing” per alcuni servizi di difesa particolarmente cruciali. In tal modo, ha continuato l’autore, non si otterrà certo come effetto quello di far scomparire le compagnie di sicurezza private, ma molte di queste ricadrebbero automaticamente nell’illegalità. L’obiettivo dei legislatori dovrebbe essere proprio quello di risospingere nella condizione di mercenari in senso classico i dipendenti delle pmf e di tagliare per quanto possibile i legami e gli intrecci che legano quest’ultime al mondo dell’economia ufficiale. Un obbiettivo ambizioso ma imprescindibile.


Fonte: www.adista.it