[GRILLOnews • 05.05.02] Ha rimesso piede, alla chetichella, in Italia. Con il cuore ancora gonfio per il distacco dalla sua Korogocho. Ha affidato a Nigrizia le sue emozioni nell'intervallo tra una missione e l'altra. Ed è già in cammino sulle strade d'Italia.

PADRE ALEX ZANOTELLI E’ TORNATO

Padre Zanotelli ha rimesso piede, alla chetichella, nella serata di giovedì 18 aprile, sul suolo italiano. Con il cuore ancora gonfio di emozione per il distacco dalla sua Korogocho. L’ultima sera trascorsa nella bidonville che ha abitato e animato per dodici anni, l’ha vissuta con una celebrazione. “Vi hanno preso parte non solo i leader delle nostre piccole comunità cattoliche, ma anche delle altre chiese”, ricorda commosso, magro e vestito più che mai a casaccio. E si stupisce di quanto i giorni del commiato gli hanno fatto toccare con mano: l’atteggiamento di vicinanza e di considerazione da parte di tanti da cui non è scontato meritarsela. “…E non è facile essere bianchi oggi in Africa, in Kenya”, commenta Alex. (Il bianco – si intenda – è visto come erede diretto, se non ancora protagonista, di un atteggiamento coloniale oggi non più tollerato). Mentre volta pagina, padre Zanotelli già pensa al prossimo inserimento. Vede Palermo, ma potrebbe essere Napoli o altrove, sempre come un luogo appropriato, in continuità con il suo stile di missione. Che soprattutto non vuole vedere “burocratizzarsi” davanti a un computer.  Appena messo piede in Italia, ha affidato a Nigrizia – a voce come faceva telefonicamente da Nairobi – il testo della rubrica che tiene sulla rivista. Risponde a un lettore che gli esprime perplessità a proposito delle sue affermazioni sul “Vaticano prigioniero della diplomazia” e la “chiesa… prigioniera di Berlusconi”. “Io non ce l’ho con i potenti della terra – dice Zanotelli nel suo intervento che apparirà su Nigrizia di maggio – e credo che pur essendo l’autogovernarsi dal basso qualcosa di profondamente evangelico, questo non significa che non abbiamo bisogno di vescovi; anzi le guide sono fondamentali. Però rimane il fatto che il Vaticano è prigioniero di un tipo di diplomazia; che il Vaticano è uno stato che poteva andare bene il secolo scorso, ma oggi penso che una religione che ha un miliardo di adepti non ha bisogno di uno stato. Un conto è la diplomazia evangelica, un altro la diplomazia del potere e del rapporto tra gli stati”. “La chiesa italiana, poi – e qui padre Alex cita Martin Luther King – oggi “è un termometro della società italiana, non un termostato” che la trasforma. E noi cattolici ci siamo adeguati, perché non abbiamo più nulla da dire. Mentre la chiesa sarebbe chiamata ad essere coscienza critica”. Al ritorno da quasi quindici anni “nei sotterranei della storia”, le provocazioni di Alex appaiono sempre meno urlate, ma lanciate con crescente pacatezza e autorevolezza. Per questo più penetranti.