[di Paolo Ricca, pastore valdese • 28.10.01]  - In giorni sinistri e luttuosi come questi si vorrebbe poter tacere anziche' dover parlare. Parlare, poi, a chi? Chi ascolta ancora? Il dialogo e' morto, schiacciato anch'esso sotto le macerie di New York e di Kabul.

Paolo Ricca: «La guerra non è terrorismo?»

Probabilmente non era mai cominciato. Il terrorismo vuole dialogare? E si puo’ dialogare col terrorismo? Comunque, ormai, ciascuno ascolta solo se stesso. In guerra, parlare e’ inutile e quasi patetico. Parlano sul serio solo le bombe. Anche i kamikaze sono bombe, a terra e in volo. Esplodono. Il terrorismo e’ guerra. La guerra non e’ terrorismo? Il rischio di moltiplicare il terrore nell’intento di combatterlo era ovvio fin dall’inizio. E’ cresciuto con l’inizio della “nuova guerra”. Di questa guerra, che rassomiglia tanto alla vecchia, c’e’ da temere, tra le altre cose, che diventi “totale”, cioe’ si estenda a macchia d’olio ad altri paesi – a quali? a quanti? La guerra e’ come Mammona. Credi di tenerla a bada, ma presto ti prende la mano. Pensi di poterla controllare, ma e’ lei, alla fine, che ti controlla. La guerra cresce su se stessa: la metti in movimento, poi ti travolge. Parallelamente – non c’e’ da dubitarne – crescera’ anche il terrore. “Giustizia senza guerra” era la parola programmatica lanciata dal Consiglio delle chiese degli USA all’indomani degli attentati dell’11 settembre. Oggi ancora, a un mese di distanza, sembra ancora la parola piu’ responsabile che si possa dire in frangenti cosÏ funesti e situazioni cosi’ complicate. C’e’ in questa parola in primo luogo l’esigenza di “giustizia”: e’ un’esigenza categorica, da affermare senza remore, reticenze, esitazioni o eccezioni. Un crimine di inaudite proporzioni e’ stato commesso: non lo si puo’ subire passivamente senza scardinare il fondamento stesso di ogni convivenza civile. “Giustizia” puo’ ovviamente significare cose diverse e il suo contenuto esatto, nel contesto attuale, dovra’ essere precisato. Ma si esige “giustizia” senza deroghe ne’ sconti. Ricordando, se necessario, la Tesi 5 del Sinodo di Barmen della Chiesa Confessante nel 1934, nella quale si dichiara che “lo Stato, nel mondo non ancora redento, ha il compito – senza escludere la minaccia e l’uso della forza – di provvedere al diritto e alla pace”. “Forza” non significa necessariamente forza armata o militare. Il perseguimento della giustizia – sostiene il Consiglio delle Chiese USA – deve avvenire “senza guerra”. Cio’ non e’ accaduto. La guerra e’ sotto i nostri occhi, devastante e omicida. Ora si puo’ discutere all’infinito se la guerra abbia mai risolto i conflitti che di continuo nascono in seno all’umanita’. Puo’ darsi che in qualche caso li abbia risolti o almeno ne abbia facilitato la soluzione. Essa sembra comunque poco idonea a risolvere oggi il problema del terrorismo. Altre vie, forse piu’ lunghe (ma anche questa guerra, ci e’ stato detto e ripetuto, “sara’ lunga”) ma probabilmente piu’ efficaci, avrebbero potuto e potrebbero ancora essere percorse per raggiungere l’obiettivo di sradicare il terrorismo. La guerra e’ comunque una sconfitta. Lo e’, in generale, per l’umanita’ che continua a dimostrare di non saper convivere senza farsi del male, odiandosi e distruggendosi. Lo e’, in particolare, per chi, malgrado tutto e contro tutto, continua a credere nella parola di Gesu’ che “i mansueti”, non i violenti, “erediteranno la terra”, non il cielo (Matteo 5,5). Ma chi rendera’ gli umani “mansueti”? Le chiese? Le religioni? Quanti fondamentalisti si allattano alle mammelle delle religioni? Non sarebbe l’ora che le religioni si rendano conto che esse sono anche serbatoi di fondamentalismi? Dove sono i loro figli “mansueti”?


Paolo Ricca è pastore valdese.