[di Amedeo Tosi • Marzo 1998] Vi proponiamo in queste pagine due documenti che, secondo noi, sono molto interessanti per attualità e portata degli argomenti trattati. Documenti che fanno emergere la personalità, la fede e l'amore di don Tonino per la giustizia, la dignità dell'uomo e la pace. Documenti che hanno avuto per protagonista anche la cornice dei nostri paesi: Verona e, a pag. 14-15, Bonaldo. Per chi fosse interessato ad approfondire il Vangelo della Pace del vescovo di Molfetta, consigliamo la lettura, oltre che dei due libri pubblicizzati nel box qui accanto, della collana "Piccole pillole di profezia" edita sempre da "La Meridiana", via M. D'Azeglio 46 - 70056 Molfetta (BA) - Tel. 080/3346971; Fax 080/3340399. Si tratta di cinque libri formato tascabile, che -come ci ricorda la casa editrice- sono assaggi di spiritualità profonda. E di profezia, perché essenzialmente di profezia, oltre che di testimonianza, vibra la parola scritta di don Tonino. Questi i loro titoli: " Al pozzo di Sichar. Appunti sulle alterità"; "Dissipare l'ombra di Caino. Appunti sulla nonviolenza"; A tutte le donne. Rosario Meditato"; Da Mezzogiorno alle tre. Riflessioni sulla via Crucis"; "Coraggio! Lettera agli ammalati".

DON TONINO BELLO/2: LA CHIESA DEL GREMBIULE

MESSAGGIO DI MONS. BELLO LETTO A VERONA DURANTE “Arena Golfo” IL 27 GENNAIO 1991

Un saluto cordiale giunga a tutti voi, che vi siete ancora una volta radunati nell’Arena di Verona per dire coraggiosamente il nostro “No alla guerra” (nel Golfo, ndr). Un “No” risoluto, senza cedimenti, senza interpretazioni riduttive. Il “No” che si pronuncia davanti alla follie più criminali e sotto l’incalzare delle tragedie più torbide della storia. Se, non volendolo sprecare, il vostro “No” lo tratterrete in gola per una occasione più tenebrosa di questa, state certi che non esploderà più: perché non c’è peccato più sacrilego della guerra. Di questa guerra. In solitudine eroica non disturbata da applausi cortigiani, lo ha ripetuto tante volte il Papa in questi giorni dell’amarezza. Ebbene, la sua voce, inascoltata dai potenti ma raccolta dalla folla sterminata dei poveri, venga oggi amplificata da voi: “La guerra è avventura senza ritorno… É declino dell’umanità… Non può essere un mezzo adeguato per risolvere i problemi esistenti tra le nazioni. Non lo è mai stato e non lo sarà mai!”. Coraggio, amici! Non lasciatevi cadere le braccia. Lo scatenarsi della sufficienza dei dotti non può smontare le faticose costruzioni di pace che in questi anni avete saldamente costruito. Il vostro “No” alla guerra parte da lontano. Non siete gli improvvisatori ingenui che i tanti sapienti di oggi vanno riscoprendo. Non siete i convertiti dell’ultima ora. Le vostre aspirazioni di pace non sono sospiri di sognatori sprovveduti, ma si nutrono di un incontenibile bisogno di giustizia antico quanto le montagne. E si nutrono di un grande amore per la patria e di un religioso rispetto delle leggi, sulla cui autenticità nessuno ha il diritto di dubitare. Questa Arena è testimone di come hanno vibrato le vostre voci nella riflessione sui temi forti della miseria dei tanti Sud della terra, della iniquità del profitto a danno dei poveri del mondo, della violenza esercitata sui popoli di ogni continente, della nuova solidarietà planetaria, della salvaguardia del creato, della dignità di ogni uomo la cui vita è indisponibile perché, come dice San Paolo, è stata riscattata a caro prezzo da Gesù Cristo. Non tiratevi indietro rispetto alle tante scelte fino a ora perseguite. Vivete la preghiera, in spirito ecumenico e con costante riferimento all’attualità, organizzando veglie periodiche e digiuni, richiedendo la vigilanza orante di comunità contemplative, promuovendo marce e pellegrinaggi di pace verso luoghi di decisione politica o evocanti la guerra. Riflettete con coraggio sulle varie obiezioni di coscienza, per poterle lucidamente predicare. Le obiezioni non sono disprezzo per lo Stato e le sue istituzioni, ma espressione di un amore più grande e di servizio fattivo per l’uomo. E anche nella tristezza dell’ora presente, a coloro che vi interrogano, possiate dare ragione della speranza che è in voi. Un grande augurio di pace. Don Tonino Bello (Presidente Nazionale di Pax Christi)

La Chiesa del Grembiule
[di don Tonino Bello]

Io sto implorando il Signore che per qualche anno faccia tacere tutti i teologi, tutti i comizianti, tutti coloro che amano parlare con i loro “bla bla bla” e lasci scaricare dai sottosuoli della terra un ribollimento di prassi, specialmente sul piano della pace, che renda credibile il nome del Signore davanti a tutto il mondo.

IL GREMBIULE
Don Francesco (il parroco di Bonaldo) diceva che la comunità cristiana deve essere come un trepiede, la parola di Dio – la liturgia – la carità; ma questo non basta. Se sopra non c’è la pentola che bolle, il trepiede è inutile. E noi molte volte abbiamo dei trepiedi d’ottone, di metallo anche placato, abbiamo tante parole, il lezionario, abbiamo tanta liturgia, abbiamo la carità, discorsi ne facciamo tantissimi: quello che ancora ci manca è il grembiule. Io amo parlare della chiesa del grembiule che è l’unico paramento sacro che ci viene ricordato nel Vangelo. “Gesù si alzò da tavola, depose le vesti si cinse un asciugatoio”, un grembiule l’unico dei paramenti sacri. Nelle nostre sacrestie non c’è e quando uno viene ordinato sacerdote gli regalano tante altre belle cose, però il grembiule nessuno glielo manda. E’ il grembiule che ci dobbiamo mettere come chiesa, dobbiamo cingerci veramente il grembiule. Sapete che significa “Si alzò da tavola?” Significa che se noi non partiamo da qui, dall’altare, da una vita di preghiera è inutile che andiamo a chiacchierare di pace. Chi ci crede ? Non siamo credibili, se non siamo credenti. E credere significa abbandonarsi a Cristo, non significa soltanto accettare le Sue parole, le Sue verità. Quindi, anche noi, se vogliamo parlare di pace e di carità dobbiamo alzarci da tavola; se no, saremmo dei bravi cristiani, saremmo anche delle persone capaci di dare tutto alla gente, ma la pace che noi daremmo non è quella che ci da il Signore. Ma “si alzò da tavola” significa anche che non basta stare in chiesa, bisogna uscire fuori. Dalla messa alla domenica dovrebbe sprigionarsi una forza centrifuga così forte che noi siamo scaraventati fuori sulle strade del mondo per andare a portare Gesù Cristo. Sembra che quasi il Signore ci dica: “Non bastano i vostri bei canti liturgici, i vostri abbracci di pace, i vostri amen, i vostri percuotimenti di petto: che aspettate ? Alzatevi da tavola; restate troppo tempo seduti. E’ un cristianesimo troppo sedentario il vostro, troppo assopito, un tantino sonnolento”.

COMPAGNI DI VIAGGIO
La pace parte da qui; se vogliamo parlare di pace, dobbiamo venire a sedere a questa tavola e poi alzarci senza rimanerci troppo, perché la chiesa è fatta per sbatterci fuori. “Si alzò da tavola, depose le vesti” depose le vesti del linguaggio difficile. Dobbiamo spogliarci dei nostri paramenti, quelli che ci mettiamo addosso noi, il linguaggio difficile, le parole difficili, la mentalità difficile, la mentalità della scomunica; dobbiamo diventare compagni di viaggio del mondo, della gente che sta fuori. Noi come Chiesa siamo fatti per gli altri, per il mondo così come Gesù Cristo ” morì per noi uomini e per la nostra salvezza (…). Amici miei, guardate che il Signore un giorno ci chiederà non solo se abbiamo voluto bene al mondo, ma anche se abbiamo voluto bene a questa terra, a questo cielo. “Si alzò da tavola, depose le vesti e si cinse un asciugatoio”: ecco la Chiesa del grembiule. Chi vuole disegnare la Chiesa come il cuore di Gesù sente, la dovrebbe disegnare con l’asciugatoio ai fianchi. Qualcuno potrebbe obiettare che è un’immagine troppo da serva, troppo banale, una fotografia da non presentare ai parenti quando vengono a prendere il té in casa. Ma la Chiesa del grembiule è la Chiesa che Gesù predilige perché Lui ha fatto così. Diventare servi del mondo, cadere a terra come ha fatto Gesù che è ruzzolato a terra come un cane che va a raspare e con l’asciugatoio ai fianchi si è messo a lavare i piedi alla gente, i piedi al mondo. Questa è la Chiesa. Noi a chi laviamo i piedi ? Noi lucidiamo le scarpe alla gente, quando abbiamo bisogno di qualcosa. C’è stato un grande pensatore francese, Maritain, il quale una tentina d’anni fa parlava contro la Chiesa in ginocchio. “Oggi, diceva, la Chiesa è caduta in ginocchio davanti al mondo. Ma che modo é mai questo ? Più fierezza ci vuole. Alzati, o Chiesa: non diventare complice di questa cronolatria, di questa adorazione del tempo, dell’effimero”. No, Maritain, non dire così: tu in questa maniera spari addosso a Gesù Cristo: Gesù si è messo in ginocchio. Dobbiamo metterci in ginocchio del mondo, non abbiate paura, non state adorando l’effimero, le cose passeggere. State, invece, ripetendo un gesto formidabile che Gesù stesso ha proposto e attuato. Così, in questo modo diventiamo facitori di pace, se ripetiamo questi versi nella nostra vita di tutti i giorni : ‘Si alzò da tavola, depose le vesti e si cinse un asciugatoio”.

QUALE PACE
Ma cos’è questa pace che andiamo predicando ? Ci sono oggi delle parole multiuso che vengono adoperate per tantissime cose; vengono esposte nella vetrina, ma indicano oggetti diversi: le parole amore, giustizia, libertà sono parole inflazionate dall’uso. Sembra che alle parole di serie A sia toccato questo incidente, alle parole più nobili. Una di queste parole è la parola “pace” appunto. Amici miei, diffidate della pace che non venga dall’alto perché è una pace inquinata se non viene dall’alto, da Dio. La pace non la fabbrichiamo noi nelle nostre cancellerie, con le nostre diplomazie coi nostri trattati: sì, queste cose ci vogliono, però la pace per la quale ci battiamo noi tiene dall’alto, ce la dà Gesù risorto. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. É Gesù risorto che ce la dà, Lui ha scavato il pozzo da cui attingiamo la pace. Il pozzo artesiano l’ha scatto Lui; a noi poi ha detto :”Prendete dei secchi, prendete delle carrucole per attingere la pace”. La pace vera viene da Dio. Da Lui attingiamo l’acqua della pace, ma poi spetta a noi trovare i canali giusti, le tubature per portarla ai più remoti confini della terra. Ecco perciò, diffidate di quelli che parlano di pace senza “essersi alzati da tavola” come ha fatto Gesù.

NO ALLA GUERRA
Diffidate della pace che non operi delle scelte concrete. Noi siamo molto abituati a parlare della pace all’ingrosso, in teoria; anche in Chiesa si fanno dei bei discorsi sulla pace “Madonna della pace – Agnello di Dio, dona a noi la pace – Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace agli uomini di buona volontà”. Noi vescovi, sacerdoti parliamo sempre di pace, però dopo quando si tratta di scendere dai pinnacoli del tempio nel vortice delle strade, allora diventa difficile. E’ sempre molto difficile scendere dai pinnacoli del tempio sui versanti della quotidianità, della ferialità delle scelte concrete. Parlare di pace va bene, parlare contro la guerra anche. Però, se appena muovi un dito dicendo: “Guarda quella fabbrica che produce armi”, allora sei perso. Allora è inutile che parliamo di pace, se poi non abbiamo il coraggio di scendere sui crinali del monte fino a valle nelle diramazioni concrete, indicando nome e cognome di certe assurdità che ci sono oggi nel mondo. Il problema, però, non è soltanto quello di scendere dai monti del magistero del Papa fin nelle scelte concrete; il problema è anche quello di salirci. Ci sono oggi in Italia tanti gruppi che fanno delle scelte molto decise e ci sono anche tanti cristiani che dicono: “Oh, voi siete un po’ pazzerelli, voi state esorbitando dai vostri compiti, voi state facendo delle cose un po’ esagitate”. É difficile collegare tante scelte concrete che si fanno alla base coi vertici. Chi si batte per la pace, deve fare delle scelte concrete, molto impegnative, altrimenti si tratta tutto di un bluff.

SI ALLA GIUSTIZIA
Diffidate della pace che non sia legata alla giustizia. Una Chiesa che vuol vivere con il respiro del mondo non può disinteressarsi dei problemi della giustizia del mondo. Nelle nostre chiese dovremo far risuonare le nostre implorazioni: “Signore, libera i tuoi poveri”. Sapete quello che sta succedendo nei paesi del Centroamerica, quello che sta succedendo in America Latina, in Africa: sapete quanta gente sta morendo perchè le vengono negati i diritti umani, i diritti a vivere, a sopravvivere, anzi. Sapete quante persone muoiono di fame ogni anno: cinquanta milioni. Ho chiesto dopo il pranzo agli amici di Bonaldo: “Quali sono le situazioni di miseria in questa cittadina ?”. “Beh, m’hanno risposto, finanziariamente tutti stanno bene, più o meno; però è presente la solitudine, la solitudine degli anziani, di chi non si sa integrare nel contesto. C’è il problema della droga anche qui. Il problema, cioè, dei valori. Nella nostra diocesi a Molfetta abbiamo aperto -una comunità per i tossicodipendenti perché in città il problema droga sta diventando una peste. Allora abbiamo fatto una opera di sensibilizzazione nelle parrocchie. Ho chiamato una quarantina di laici e poi li abbiamo sparpagliati in tutte le parrocchie la domenica. Io stavo celebrando in una chiesa e ho visto uno di questi operatori volontari che aveva fatto un grande cartello con su scritto: “Dietro ogni buco una vita, dietro ogni vita un buco”. Allora, colpito da quella frase, l’ho voluta commentare. “Dietro ogni buco una vita”: dietro ad ogni ragazzo ridotto a cencio, a un rottame, a baracca da trivio c’è una vita che dobbiamo accogliere. Dietro ogni buco c’è un volto, una persona, c’è una dignità: datti da fare. Però anche “dietro ogni vita c’è un buco”: anche dietro alla nostra vita, c’è un buco; non ci siamo fatti il buco con la siringa, però ci siamo iniettati siringhe di disvalori. L’impegno sulla giustizia, dunque: non sconnettete su di una pace che sia disgiunta dalla giustizia. Vi ricordate nell’Esodo, quando il Signore dice a Mosè : “Ho visto le sofferenze del mio popolo, per cui scendo ora a liberarlo. Ecco io ti mando: va dal Faraone e digli: “Libera il mio popolo dall’ingiustizia, dalla sofferenza”. Sappiamo bene che anche quando il popolo sarà liberato dalla ingiustizia, non è che con questo sarà realizzato il Regno di Dio; bisognerà fare tante altre cose. Non basta avere il pane a tavola, bisogna vivere in sintonia; la comunione si sprigiona da ben altre fontane che non siano quelle della equa ripartizione del beni. Però, frattanto per queste cose, amici miei, levate la voce. E anche se qui state bene, ricordatevi che in tante parti del mondo c’è gente che muore. Io vengo da un paese tormentato, eppure siamo a pochi chilometri di distanza da qui. Vengo da Molfetta, una città attanagliata dalla disoccupazione. Ci sono tremila marittimi che sono stati sbarcati, perché adesso con quattro soldi prendono i terzomondiali. Tremila famiglie a Molfetta a terra nel senso autentico della parola: sfrattati, disoccupati. Dall’ episcopio la gente sale e scende a chiedere lavoro, lavoro; mi credono ancora un signore feudale che con una telefonata possa mettere a posto tutti quanti ed invece non mette a posto nessuno perché non possiamo essere uomini di potere noi. Se per poco diamo l’illusione alla gente che con un colpo di telefono noi risolviamo i loro problemi, allora ci riterranno sempre uomini di potere.

IL POTERE DEI SEGNI
Noi non abbiamo i segni del potere, ma abbiamo il potere dei segni; il potere cioè di collocare sulla strada del mondo delle segnaletiche particolari, delle luci come sull’autostrada: ecco allora che la nostra comunità accoglie una famiglia, il vescovo accoglie degli sfrattati nel suo episcopio, le suore fanno spazio nel loro convento e dicono: “questo qua a noi non serve più; facciamone un centro di accoglienza, un osservatorio permanente per i bisogni, per le nuove povertà, non solo quelle finanziarie. Questo è il potere dei segni. Come Chiesa noi non possiamo risolvere il problema degli sfrattati, non compete a noi, deve farlo il sindaco con la giunta comunale; non tocca a me, vescovo, risolvere il problema dei tossicodipendenti. Però, io ho il potere di collocare dei segni sulla strada della gente e dire: “Gente, se io in casa mia porto degli sfrattati o dei marocchini, che cosa voglio dirvi ? Voglio dirvi che anche voi dovete accogliere questa gente, perché con questa mentalità egoista così chiusa non riusciamo a combinare nulla, siamo una controtestimonianza a Gesù Cristo. Non possiamo cantare il gregoriano sapendo che un nostro fratello sta soffrendo. Non si può disgiungere il discorso della pace che non sia legato alla giustizia. Dobbiamo levare la voce, dobbiamo chiedere al Signore di non indurire più il cuore del Faraone di modo che ci sia una sensibilità maggiore nel petto degli uomini, perché non ci sono figli e figliastri, ma tutti sono figli Suoi. Noi siamo come la Trinità. Cos’è la Trinità? Sono tre persone uguali e distinte. Persone non oggetti, barattoli, non manichini. Uguali: quello dell’uguaglianza è il riconoscimento della persona. Distinte: ognuna con il proprio volto, non massificate, non atrofizzate, non persone su cui passa il rullo compressore che annienta tutto; non siamo codici fiscali, “bit ” da essere immagazzinati, schede da essere perforate. Siamo nomi, siamo persone, siamo volti distinti ed il Signore ci chiama per nome ad uno ad uno. C’è un proverbio bantu che dice: “Se in una notte nera, su di una pietra nera c’è una formica nera, Dio la vede e la ama”. Dio ci conosce ad uno ad uno; Dio ci chiama per nome e l’intensità d’amore che adopera nel darmi del tu, non l’adopera con nessun altro.

SULLA PROPRIA PELLE
Non scommettete su una pace che non abbia da pagare un prezzo di sofferenza, cioè che non abbia a che fare con la croce. Oggi la gente dice: “Tutti quanti parlano di pace, fanno tavole rotonde sull’argomento, comizi sulla pace, sit-in sulla pace, striscioni sulla pace, festival sulla pace: ma diffidate della pace che non paga prezzi di sofferenza, prezzi di croce. Una croce da impugnare non dal braccio corto, a mo’ di spada come a volte si è fatto nel passato, ma abbracciare la croce dal braccio più lungo, così come ha fatto Gesù che se l’è caricata sulle spalle. E noi ancora anche nella nostra teologia qualche volta arricciamo il naso quando si dice che la guerra giusta non può più esistere. Non attardatevi, cari fratelli, a distinguere se una guerra è giusta o meno: oggi non c’è più una guerra giusta. Non ce ne può essere più, perché ogni guerra è delitto, è apocalisse, è devastazione nucleare, è la fine. Non si può più parlare di guerra, si deve parlare solo di catastrofe. Ecco perché sono assurde queste corse alle armi; ecco perché sono assurdi gli scudi stellari. Ecco perché noi credenti dobbiamo assumere i criteri della nonviolenza attiva come l’elemento discriminante della nostra impostazione morale e della nostra visione della vita. Gesù è stato un nonviolento e guai se qualcuno si alza su a dire: “Eppure Gesù nel tempio ha preso la fune e ha dato addosso alla gente”. Non è vero. Questo è falso, perché nel Vangelo si dice che Gesù intrecciò una fune e agitandola rovesciò i banchi dei cambiavalute e li mandò fuori. Agitare la fune per gli ebrei era segno di potere. Gesù è stato violentato nel Sinedrio di Caifa da un soldato con uno schiaffo: “Così rispondi al sacerdote ?” E Gesù lo guardò: “Se ho parlato male, dimmelo; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”. Io immagino che quel povero soldato si sarà incenerito sotto quelle parole. Ecco Gesù risponde con la persuasione o con lo sguardo. Ricordate, dopo il tradimento, ‘quando Gesù vide Pietro. Pietro allora uscì fuori e pianse amaramente incenerito anche lui da uno sguardo, da un gesto. Oggi la nonviolenza la stanno proclamando in tanti, non soltanto in chiesa, non solo i credenti, ma ci sono anche tanti che sono atei che provengono da altre religioni, pensate a Gandhi, a Lanza del Vasto, a Capitini a Martin Luther King, a Bobbio. Nel Vangelo sta scritto: “Se uno percuote la guancia destra offrigli la sinistra”. Non sono chiacchiere queste e se uno ti toglie la tunica, tu dagli anche il mantello e se ti obbliga a fare un miglio con lui, tu fanne dieci. E questo non vale soltanto per gli individui, presi singolarmente, come ci fosse differenza tra morale privata e morale pubblica. Se uno stato viene aggredito, si dice normalmente, deve mandare le sue cannoniere, i suoi bombardieri.

IL CORAGGIO DEI CREDENTI
Anche qui dobbiamo avere il coraggio come credenti, se no la profezia, la novità del cristiano dove sta ? Siamo equilibristi, portatori di buon senso, siamo gente che dice le cose normali della prudenza umana, ma il Vangelo scavalca tutto questo La questione non è difendersi o non difendersi. Si parla di difesa popolare nonviolenta. Ci sono stati dei popoli che l’hanno messa in atto, anche non cristiani, come l’India. Queste cose non valgono solamente per i privati, valgono anche per gli stati. Se no, se noi non entriamo in questa mentalità e se facciamo queste schizofrenie tra morale pubblica e morale privata, arriveremmo a giustificare tutto per la ragion di stato. Sul piano privato non puoi fornicare, non puoi commettere adulterio non puoi prenderti la donna degli altri, non puoi incontrarti pagando con una donna. Però, la morale di stato che ci viene propinata dalle televisioni è un’altra cosa. Rubare nella vita privata non è possibile, però se si tratta di rubare allo Stato, non dichiarando i redditi come si deve, allora quello è lecito. Non si possono fare queste distinzioni. La legge del perdono vale per i privati e per tutti.

IL CAMMINO É SEMPRE LUNGO
Voglio dire a voi di Pax Christi in particolare: uno dei pericoli che correte sapete qual è ? Vi battete contro il commercio delle armi e spuntano fuorl gli scudi spaziali, contro gli scudi spaziali e spunta un’altra cosa. Si sana la situazione in Nicaragua ed esce fuori il Salvador, sani lì, ed ecco il Sudafrica ed il Mozambico e via di questo passo. Allora viene lo scoraggiamento: ma qui è sempre lo stesso? Cammina cammina e ci troviamo a ricominciare sempre da capo. La gente dice: “Ma insomma, quando fischia la fine della partita ?”. Non c’è un fischio che ponga fine alla partita: ci sono sempre dei tempi supplementari. Non è un prodotto finito la pace. Noi qui sulla terra, mettiamo dei segni, moltiplichiamo i segni della solidarietà, della giustizia, però la vita è un cammino. Santa Maria del cammino: quando qualcuno ti dice: nulla mai cambierà. Tu vai tracciando un cammino un altro ti seguirà. Perciò, non aver paura, non ti scoraggiare. La pace non è un prodotto finito, non arriverà il momento in cui l’abito ti va a pennello. C’è sempre qualcosa da fare: si rimette tutto in discussione. Ma non è che è stato inutile quello che è stato fatto. La pace si accompagna sempre al concetto di cammino faticoso, sofferto. È una via crucis la pace, poi diventerà una via lucis. Adesso come dice S. Paolo, vediamo nello specchio come attraverso i segni; un giorno vedremo Dio così come Egli è, faccia a faccia. Un giorno la pace la vivremo, la godremo nella sua interezza. Vedremo che i segni sono come degli specchi che riflettono il sole; adesso mettiamo qui sulla terra solo delle lenti che riproducono parzialmente la pace; però, camminando, acciottoliamo la strada fino in fondo. Un giorno arriveremo alla pace; anzi, mentre stiamo ancora camminando, sentiremo quasi l’eco di quelle pagine di Isaia, sentiremo l’urlo della pantera, del lupo che si accovaccia con l’agnello, sentiremo il belato dell’agnello e l’urlo del lupo, sentiremo il fremito del leone e il mugghiare del vitello e sentiremo il belato del bambino, il pianto il sorriso del bambino che mette la mano nella buca dell’aspide. Sbucheremo, finalmente, un giorno nella grande radura dove incontreremo Gesù Cristo e lo guarderemo non più attraverso i segni, ma faccia a faccia così come Egli è. E allora quasi per una strana dissolvenza ci accorgiamo che la pace che abbiamo sognato coincide con Lui, anzi ci accorgiamo che la realtà toccata con mano sopravvanzerà il sogno. Chiudo con un’immagine. Qualche mese fa a Molfetta è venuto un cardinale per elevare a dignità di basilica minore il grande santuario della Madonna dei marittimi, carissimo ai molfettesi sparsi nel mondo. Ad un certo momento il cardinale ha spiegato che cosa significava basilica minore. Minore perché le basiliche maggiori stanno a Roma: San Giovanni Laterano, San Pietro ecc.

LA BASILICA SIAMO NOI
Poi sono andato io al microfono e ho detto: “É basilica minore questa, sapete perché? Perché basilica minore siete ciascuno di voi, perché dentro ciascuno di voi abita Dio e nessuno vi deve violentare. E se qui, in questa chiesa, qualcuno venisse stanotte ad imbrattare i muri con lo spray, domani al suo primo ingresso in chiesa il parroco si metterebbe le mani nei capelli, suonerebbe le campane. Direbbe: “Hanno fatto un sacrilegio qui, hanno imbrattato le pareti con scene oscene, hanno sgraffiatoti tutti i muri e tutti quanti vi indignereste. Quando noi violentiamo un fratello, facciamo la stessa identica cosa. Ecco perché ciascuno di noi è basilica maggiore”. Finito tutto, ce ne siamo tornati all’episcopio. Era passata ormai mezzanotte. Disteso davanti il portone c’era Giuseppe, uno che entra ed esce dal carcere, sempre ubriaco. Il ragazzo che guidava l’automobile ha puntato i fari su quell’uomo disteso là per terra sbracato, avvinazzato e ha detto: “Don Tonino, quello è basilica maggiore o minore?”. Per essere coerente con quello che avevo detto, me lo sono portato in casa. Sapete che sono le chiese ? Quando costruiscono i grandi cantieri, mettono le palizzate e poi di fianco fanno una baracca dove vengono messi gli attrezzi, lì quando piove ci si ripara, lì ci sono le planimetrie che ogni tanto si confronta. Ecco le chiese sono come questa baracca, la casa vera è l’altra; le chiese stanno perché qui ci sono gli arnesi, qui prendiamo il pane da mangiare, ma la casa da costruire è fuori, è il mondo, è la vita, è la pace.


Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Marzo/Aprile 1998 del giornale «il GRILLO parlante».