[di Luciano Pasqualotto • Marzo 1998] Il mondo degli adulti non coglie l'universo dei minori: essi sono spesso "invisibili", per i genitori, per gli insegnanti, per gli operatori dei servizi. Fino a quando un problema non li materializza...

IL BISOGNO DI CONFERMA E DI RICONOSCIMENTO

Il mondo degli adulti non coglie l’universo dei minori: essi sono spesso “invisibili”, per i genitori, per gli insegnanti, per gli operatori dei servizi. Fino a quando un problema non li materializza: può essere semplicemente scolastico (una caduta del “rendimento”)1, relazionale (le prime violenze sui compagni, le prime esperienze sessuali), trasgressivo (le prime sigarette), o veri e propri eventi estremi, caratterizzati da aggressività alloplastica (reati) o autoplastica (condotte suicide)2. Mastropasqua, a proposito di questi minori, usa l’immagine “forte” di sistemi di vita come “spie luminose, di quelle che si accendono per emergenza” 3.
Se nel paragrafo precedente si accennava agli effetti di una “cattiva” educazione, qui proponiamo l’ipotesi che la devianza sia l’esito di rapporti interpersonali che non offrono conferma è riconoscimento. Scrive Martin Buber: “è uno solo il principio su cui si basa la vita associata degli uomini anche se sono due le forme in cui si manifesta: il desiderio che ogni uomo ha che lo confermino per quello che è, o magari per quello che può divenire; e la capacità (…) di poter confermare i suoi simili come essi desiderano. L’aspetto discutibile e la vera debolezza della razza umana è che questa capacità sia tanto poco coltivata: ma soltanto dove l’uomo la mette in atto è giusto parlare di umanità”4.
La devianza sarebbe quindi l’effetto dell’incapacità degli adulti, di tutti gli adulti (sarebbe scorretto attribuire singole responsabilità di volta in volta ai genitori, agli insegnanti, ecc.) di mettersi in ascolto, di dialogare, di riconoscere, di comprendere, di incoraggiare, di sostenere i minori nella loro crescita. A ben vedere, si tratta anche in questo caso di “vuoto educativo”. T. Harris, in un famoso libro, scrive: “Fortunati i bambini (i ragazzi, gli adolescenti, ndr) che vengono aiutati a scoprire di essere OK, grazie a ripetute esposizioni ad esperienze in cui sono in grado di dimostrare a se stessi i propri e gli altrui meriti”5.

La “solitudine” dei minori
Il Rapporto sui minori 1996 curato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ha data grande risalto alla “solitudine del bambino domestico”, riferendosi alla mancanza di possibilità di relazioni sociali che hanno le giovani generazioni, a causa di una nuclearizzazione sempre più marcata delle famiglie e di tempi di vita molto serrati. Nello stesso documento si riportano i risultati di un’interessante ricerca condotta da Tullia Musatti, dalla quale emerge un contesto di socializzazione familiare in cui per la maggioranza dei bambini non è presente nessun altro non adulto e, nella stragrande maggioranza, non è presente nessun bambino in età prescolare. Più della metà dei bambini (53%) non gioca mai all’aperto e un altro 18% lo fa per un’oretta. Ben il 64% dei bambini gioca da solo, o comunque in un’attività di gioco non strutturata (gioco libero) per più di due ore e mezzo nella giornata (il 16% per più di cinque ore); così ben il 38% non gioca mai in un’attività proposta da un adulto o condivisa con lui o ci gioca solo fino a un’ora (20%), mentre solo un terzo di bambini (30%) gioca con l’adulto tra un’ora e mezzo e due ore e mezzo. L’esperienza sociale con coetanei non avviene mai per un’altissima percentuale di bambini (80%), solo per pochissimi (6%) supera le due ore e mezzo. I dati mostrano anche che la condizione socioeconomica della madre condiziona pesantemente il modo in cui i bambini trascorrono la giornata. Risulta evidente, infatti, che le madri a più bassa scolarità e casalinghe giocano meno con i loro figli, i quali guardano più spesso la TV; essi stessi, d’altra parte, hanno meno possibilità di esperienze sociali con coetanei e vivono molte più ore all’interno dell’ambiente domestico. Paradossalmente, in conclusione, tanto maggiore è il tempo che la madre trascorre con il bambino tanto minore è la ricerca da parte sua di occasione di relazione sociale per il proprio figlio. Questo può sembrare un dato solo apparentemente contraddittorio e che, al contrario, può forse essere spiegato con la “sindrome della casalinga” che alla fin fine si lascia irretire
completamente dagli impegni domestici. Il risultato complessivo che emerge pertanto dalla ricerca della Musatti è quello di una profonda solitudine del bambino, privato di esperienze sociali e condizionato dai tempi di vita degli adulti che non paiono modificare più di tanto la organizzazione temporale della loro giornata per rispondere a bisogni psicologici infantili, quali quelli del contatto con i coetanei e del gioco con gli adulti. Questo vale molto spesso anche per le situazioni in cui la madre lavora ed il bambino è affidato ai nonni o alla baby-sitter6. Questa situazione, senz’altro allarmante sotto il profilo educativo, può essere ricondotta alla devianza solo in modo indiretto. E’ comunque opportuno considerare che un rapporto diadico (es. tra madre e figlio) “è in grado di porsi come contesto efficace per lo sviluppo umano solo qualora possa contare sulla presenza e partecipazione, cruciali, di terze persone, ad esempio il coniuge, parenti, amici, vicini. Se queste persone mancano, oppure se giocano un ruolo distruttivo piuttosto che di supporto, il processo evolutivo, considerato come sistema, subisce dei danni”7.

NOTE
1 Nella mia pratica clinica ho potuto osservare spesso come la scuola sia usata dai minori come oggetto di contrattazione con i genitori, per richiamarli ad un’attenzione che non c’è.
2 Per una definizione puntuale di questi termini si veda: L. Regoliosi, La prevenzione del disagio giovanile, NIS, Roma, 1994, p. 25, oppure N. Coco, C. Serra, Devianza, conflitto, criminalità, Bulzoni, Roma, 1983.
3 I. Mastropasqua, I servizi della giustizia minorile: una chance per la prevenzione, in A. Mangano, A. Michelin Salomon, La devianza dei minori come problema educativo, Lacaita, Manduria, Bari, Roma, 1996, p. 141.
4 Citato da P. Watzlawick P. et al., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971.
5 T. Harris, Io sono OK, tu sei OK, Rizzoli, Milano, 1974.
6 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Affari Sociali, Centro Nazionale per la Tutela dell’Infanzia, Rapporto sulla condizione dei minori in Italia 1996, Roma, 1996, pp. 357-358.
7 U. Brofenfrenner, Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna, 1986, p. 34.


Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Marzo/Aprile 1998 del giornale «il GRILLO parlante».